Nope, una satira contro l’ufologia e la spettacolarizzazione hollywoodiana

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Voto:

Nope di Jordan Peele è senza ombra di dubbio un film atipico e originale. Se con Scappa – Get Out Noi il regista era riuscito a dare uno scossone all’industria cinematografica riportando in auge l’immaginario razziale – nel senso sociologico del termine – con questa sua ultima fatica firma un lungometraggio più tiepido che ha dalla sua buone intuizioni, ma anche alcune falle. Sono arrivato in sala “vergine”, senza approfittare di troppe anticipazioni e consiglio ai lettori di seguire lo stesso approccio, dal momento che ogni tipo di spoiler potrebbe addirittura rovinare l’intera visione. L’opera trae gran parte della sua forza proprio dalla costruzione narrativa e dalla sorpresa che cela per quasi tutta la sua durata, ma andiamo con ordine: qual è la trama?

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A destra, Keke Palmer nel ruolo di Emerald.

Otis “OJ” Haywood Jr. (Daniel Kaluuya) e sua sorella Emerald (Keke Palmer) ereditano il maneggio gestito dal padre (Keith David Williams); quest’ultimo è morto improvvisamente dinnanzi agli occhi del figlio, dopo essere stato colpito da una strana pioggia di detriti nel bel mezzo del deserto californiano di Agua Dulce, luogo dove il ranch è situato. Mesi dopo, i fratelli tentano di tenere a galla la baracca portando avanti il lavoro del genitore, ovvero affittare cavalli per il cinema e la televisione, con Emerald che spera di poter guadagnare un po’ di fama nel mondo di Hollywood. Uno degli ingaggi da parte di un famoso regista di nome Antlers Holst (Michael Wincott) però va storto e i due vengono licenziati.

Trovandosi in forte difficoltà economica, decidono quindi di vendere i cavalli a Ricky “Jupe” Park (Steven Yeun), un ex-attore di sitcom dal passato tormentato che ha da poco inaugurato il Jupiter’s Claim, un parco divertimenti a tema western. Poco prima che i due protagonisti cedano il resto dell’attività, cominciano ad avere luogo fenomeni insoliti: l’influenza di una presenza sconosciuta – che pare essere situata tra le nuvole – genera trombe d’aria e sbalzi di corrente improvvisi, facendo imbizzarrire o scomparire i suddetti cavalli senza motivo. Con l’aiuto di Angel Torres (Brandon Perea), un tecnico specializzato in videosorveglianza, il gruppo decide di documentare gli avvenimenti e di scoprirne la causa con la speranza di vendere lo scoop in cambio di soldi e notorietà.

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La notorietà, o meglio, l’ossessione per la notorietà è proprio uno dei temi cardine di Nope: il trio di sprovveduti eroi assomiglia molto ad una banda di cacciatori di UFO, non dissimile da quelle che è possibile vedere in programmi televisivi come Enigmi alieni, dove la mistificazione regna sovrana. Dai trailer molto vaghi, il lungometraggio di Peele sembra proprio essere un horror con gli extraterrestri, ma mi taccio sulla sua vera natura e su alcune delle tematiche che tira in ballo, in quanto la ragion d’essere del film sta proprio nello scoprire cosa nasconde. Posso sbottonarmi un po’ dicendo solo che l’autore – qui come sempre anche sceneggiatore e produttore – riesce a rivoluzionare sapientemente il genere fantascientifico, fondendo suggestioni da Incontri ravvicinati del terzo tipo Signs con lo spigliato sarcasmo che lo caratterizza e un interessante – ma ahimè poco approfondito – discorso metacinematografico.

Confrontandomi con i colleghi di Nerdevil Lorexio e JeruS, che hanno avuto l’opportunità di sviscerare la pellicola insieme a me, si tratta di un prodotto meno incentrato sull’horror e sulle invasioni aliene rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare. Personalmente lo etichetto – in parte – come una sagace parodia di film affini come Independence Day, visto che Jordan Peele rinuncia alla spettacolarizzazione morbosa e alle atmosfere tronfie per concentrarsi su una critica alla “monetizzazione dello spettacolo” e alla dipendenza che porta l’uomo moderno a drammatizzare ogni cosa in nome del passaparola. In altre parole, quei 15 minutes of fame che abusano persino di un fenomeno controverso come quello degli oggetti volanti non identificati, attorno ai quali si è radicata una sottocultura spesso estremista. Ironico che tutto ciò avvenga tramite la messa in scena di un “blockbuster estivo“, citando le parole di Daniel Kaluuya.

Per quanto riguarda la già citata componente metacinematografica, questa viene portata sullo schermo articolando una tesi semplice e diretta: il desiderio di un cineamatore – leggasi OJ e compagni – di essere il primo a testimoniare un evento straordinario per tramandarlo ai posteri. In questo caso, il suddetto concetto che funge da base per il racconto è ben più intrigante della sua esecuzione, che avviene in maniera superficiale, sia grazie all’operato di uno specifico personaggio, sia tramite deboli rimandi alla storia del cinema. Non manca infatti un’esplicita citazione al fotografo britannico Eadweard Muybridge e alla sua magnum opus The Horse in Motion, entrata nell’immaginario collettivo come uno dei primi esperimenti di cinematografia.

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Benché OJ Haywood sia un personaggio delineato con semplicità, quanto ad astuzia risulta spanne sopra a molti altri protagonisti del genere horror.

Nel mix eterogeneo proposto dalla sceneggiatura, trova spazio anche un approfondimento naturalista, orchestrato con una breve sottotrama ambientata anni prima rispetto alla storia principale. L’appendice coinvolge il personaggio di Jupe e una buffa scimmia di nome Gordy: i due erano le star della sitcom Gordy’s Home, programma compromesso da un malaugurato incidente. Tutto ciò è un escamotage narrativo per rendere più chiara una delle chiavi di lettura del film, così come la sua morale non scontata. Purtroppo, l’esiguo screen time concesso a Steven Yeun – interprete tristemente sprecato – rende questa digressione un allungamento fine a sé stesso, proprio perché la stuzzicante storyline di Jupe risulta sì utile a livello logico, ma sbrigativa. Un gran peccato, soprattutto se si considera il fatto che il flashback che lo vede protagonista è davvero inquietante.

Nope non è quindi esente da cadute di stile, e quella più pesante forse è da ricercare nel ritmo complessivo: all’inizio la pellicola – divisa in capitoli – arranca abbastanza, senza contare delle fasi in cui lo scorrere degli eventi subisce improvvise battute d’arresto, restituendo allo spettatore frangenti in cui non accade nulla di interessante o di utile ai fini della trama. Detto in altri termini, Jordan Peele la tira un po’ per le lunghe. Un problema che diventa ancora più gravoso nel momento in cui si capisce che il lungometraggio non è altro che un’estesa preparazione al colpo di scena finale, che custodisce tutta la magia del castello di carte ordito dal regista (motivo per cui dovreste evitare gli spoiler come la peste). La conclusione, nonostante sia ben più coinvolgente e ricca di energia, presenta qualche stortura, ovvero scelte dubbie da parte di alcuni comprimari e attimi poco credibili o illogici.

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Steven Yeun nei panni di Jupe.

A livello tecnico, la creazione di Peele e colleghi è quasi ineccepibile: la regia è perfettamente al servizio della storia con movimenti posati che ricordano molto una certa poetica spielberghiana fusa con del fascino spiccatamente western. La pellicola non “fa paura” nel vero senso della parola, preferisce invece trasmettere un senso di meraviglia e inquieta curiosità che l’autore stesso spiega così:

In Nope mi sono concentrato molto sul riprendere le nuvole. La bellezza del cielo è affascinante. Ogni tanto c’è qualche nuvola solitaria che fluttua più in basso delle altre; mi dà un senso di vertigine quasi soprannaturale. Non riesco a descriverlo, ma penso che infondere questa sensazione in un film horror possa cambiare il modo in cui le persone guardano al cielo.

Un fattore glorificato dall’apporto del celebre direttore della fotografia Hoyte van Hoytema (DunkirkTenet) che, grazie all’utilizzo di pellicola Kodak in 65mm (formato IMAX), dona alla messa in scena colori vividi e lugubri atmosfere desertiche. A favorire ulteriormente l’immersione ci pensano le musiche di Michael Abels (Get OutNoi) che, a scanso di attimi in cui peccano di essere leggermente invasive, riescono ad adattarsi bene alle varie sequenze. Ottimo invece il sound design dedicato agli eventi paranormali.

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Questo terzo “horror” di Jordan Peele è per ora il lungometraggio più quadrato della sua carriera. Semplice nelle premesse, semplice – forse troppo – nell’esecuzione. Ha dalla sua un peculiare quanto criptico alone di mistero che lo separa da altri prodotti fantascientifici dozzinali, complice anche una stratificazione del racconto e delle sue tematiche. Sfortunatamente non tutti gli ingranaggi di Nope si incastrano alla perfezione e restituiscono un’opera potente e accattivante sulla carta, ma fiacca nel suo incedere.

Un ringraziamento speciale a Universal Pictures Italia




Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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