Vorrei aprire questa recensione con una domanda: da fan di Assassin’s Creed, qual è la formula ludica che vi piacerebbe sperimentare di più in un capitolo della serie? Questo è lo stesso quesito che gli sviluppatori della piccola divisione di Ubisoft Bordeaux si sono posti quando sono stati incaricati di occuparsi della nuova iterazione di una delle saghe stealth più famose e amate al mondo. E la risposta del sottoscritto, un irriducibile appassionato che ha scoperto il brand grazie alle gesta di Ezio Auditore, è: vi prego, tornate alle origini.
Ormai stanco della dubbia svolta RPG intrapresa dai titoli precedenti, inaugurata da Origins e culminata per ora con il colossale e annacquatissimo Valhalla, non ero l’unico a sentire il forte bisogno di un gioco che recuperasse e rivisitasse il vecchio immaginario, insieme, soprattutto, al gameplay più snello del passato; elementi che hanno conquistato i cuori di moltissimi giocatori. Insomma, dopo ben quindici anni di storie, dalla Terza Crociata con Altaïr all’espansione vichinga insieme a Eivor, era ora di volgere lo sguardo indietro, dove tutto è iniziato. Questo ritorno ai fasti ha un nome: Assassin’s Creed Mirage.
Concepito inizialmente come un’espansione di Valhalla sotto forma di DLC, Mirage è stato subito arricchito – in sede di sviluppo – da numerose idee provenienti anche dai feedback della community che lo hanno trasformato in un capitolo a sé stante assai più intimo, dalle dimensioni relativamente ridotte, ma contenutisticamente non lontano dall’offerta ludica che era possibile aspettarsi dalla celeberrima saga di Ezio (cosa che gli autori non hanno mai nascosto, anzi). Si tratta di un gioco orgogliosamente story-driven che riporta la mente a un nostalgico 2010, “una lettera d’amore alle origini della serie, un racconto di formazione con ritmo e meccaniche che riportassero l’atmosfera dei primi giochi ai giorni nostri” per citare le parole del Creative Director Stéphane Boudon. In altri termini, una palese operazione nostalgia simile a quanto fatto con il sottovalutato Assassin’s Creed Rogue, un more of the same che stavolta, paradossalmente, risulta essere una bella boccata d’aria fresca.
La saga torna quindi in Medio Oriente, ma nella Baghdad del IX secolo d.C., trecento anni prima dell’epopea di Altaïr. Conosciuta come la “Città Rotonda” per via delle sue caratteristiche mura, l’ambientazione è stata fondata dal califfo Al-Mansur e nella storia è ricordata come un ricco e avanzato centro cosmopolita, meta fondamentale per la cultura e il commercio durante l’età d’oro islamica. Culla di numerosissime scoperte scientifiche rivoluzionarie, l’antica metropoli era il centro del mondo.
Le vicende – che come sempre mescolano verità e finzione – prendono piede nell’861, sotto il califfato abbaside di Al-Mutawakkil, periodo in cui il giovane protagonista Basim Ibn Ishaq, per sopravvivere, si dedica a piccoli furti insieme all’amica Nehal. Chi ha giocato Valhalla, sicuramente si ricorderà di lui in quanto è un comprimario di spicco nell’avventura di Eivor. Qui in Mirage, tuttavia, lo conosciamo vent’anni prima del suo viaggio in Inghilterra, decisamente più giovane e inesperto, non certo nei panni di Maestro Assassino.
Il nostro eroe è perseguitato da incubi e visioni in cui compare un orribile demone, un Jinn. Venuto a conoscenza dell’Ordine degli Occulti – ovvero una versione antica della Confraternita degli Assassini – spera di poter entrare a farne parte non solo per scoprire la verità sui suoi tormenti e sul suo passato, ma anche per destabilizzare il potente califfato che pare cieco e sordo nei confronti della gente comune come lui e i suoi amici.
Deciso a dimostrare le sue capacità alla Confraternita, Basim irrompe nel palazzo di Al-Mutawakkil per rubare un misterioso artefatto, non dissimile dalle reliquie dell’Eden presenti nei capitoli precedenti. Le cose, prevedibilmente, si complicano terribilmente e il ladro è costretto a fuggire. Non impiegherà molto a capire che dietro l’operato del califfo si cela un’organizzazione segreta – l’Ordine degli Antichi – che, attraverso controversi esperimenti e macchinazioni, governa una Baghdad corrotta fino al midollo.
Sconvolto da tutto ciò, Basim intraprende dunque un lungo percorso di crescita sotto la guida del Mentore Rosham, presso la Fortezza di Alamūt (la celebre base degli Occulti): da criminale sprovveduto ma altruista si converte in un abile assassino, pronto a seguire ciecamente gli ideali della setta per sventare i piani degli Antichi in nome della giustizia (un prologo che richiama volutamente l’evoluzione di Ezio vista in Assassin’s Creed II).
Ci si trova al cospetto di un protagonista carismatico e sfaccettato – grazie soprattutto al doppiaggio italiano da parte di un sempre ottimo Claudio Moneta – che combatte con dissidi interiori e si interroga su temi importanti come il destino, la libertà e la sete di conoscenza (“Chi accresce la conoscenza, accresce il dolore” vi ricorda qualcosa?). Gli eventi che lo coinvolgono sono lineari e asciutti e scorrono con un ritmo abbastanza serrato, complici alcuni colpi di scena ben piazzati che ricollegano la narrazione – specialmente l’intricato finale – agli avvenimenti di Valhalla. Peccato per i personaggi secondari leggermente fiacchi, per non dire anonimi nel caso, per esempio, di Alī Ibn Muhammad, un riformatore religioso sciita alla guida della ribellione degli Zanj (gli schiavi di origine africana al soldo del governo abbaside).
Come in ogni Assassin’s Creed che si rispetti, ciò che salta subito all’occhio è la sua ambientazione: la città di Baghdad è stata considerata da Ubisoft Bordeaux come una dei “personaggi principali” del gioco. Il motivo è da ricercarsi nell’estrema minuziosità con cui è stata ricostruita da zero attraverso le informazioni storiche reali del periodo. Molte e variegate sono state le fonti: dal libro dell’orientalista Guy Le Strange “Baghdad during the Abbasid Caliphate” alle descrizioni di viaggiatori medievali, passando per i reperti archeologici delle zone vicine (senza dimenticare il prezioso e immancabile apporto di storici e specialisti).
Il risultato di questo enorme lavoro, votato alla fedeltà in tutto e per tutto, è una cittadina vibrante ed esteticamente pregevole, divisa in quattro distretti, ognuno con caratteristiche uniche e distintive. Karkh è il quartiere del mercato, Abbasiyah invece il centro culturale dove incontrare filosofi, scienziati e astronomi di alto calibro come i fratelli Banū Mūsā. La zona industriale è la malfamata e sporca Harbiyah, mentre la Città Rotonda (o Madinat-al-Salam, “Città della Pace”) è la lussureggiante sede del potere in cui non è raro sentire l’adhān, la chiamata islamica alla preghiera proveniente dalla moschea. Una dovizia di particolari così grande non è sfuggita all’occhio attento della comunità araba sui social che sin dal day one ha festeggiato l’autenticità priva di stereotipi di Assassin’s Creed Mirage con meme e tributi, definendolo scherzosamente “un gioco davvero halāl”.
Volendo imbastire un veloce confronto con le altre iterazioni della serie, Baghdad si colloca, per estensione, a metà tra la Parigi di Unity e la Costantinopoli di Revelations. A questo proposito, proprio Unity è servito come fonte d’ispirazione per dotare Mirage di una folla viva e reattiva: l’immersione è garantita dai comportamenti degli abitanti che reagiscono coerentemente con le azioni di Basim. Per esempio, essere violenti ci renderà dei ricercati e i cittadini potrebbero riconoscerci per poi allertare le guardie. Non solo: i gruppi di persone sono utili per mimetizzarsi sfruttando il caro vecchio sistema di “furtività sociale” o, in alternativa, un escamotage totalmente nuovo e molto stimolante che permette di utilizzare specifiche monete – ottenibili tramite esplorazione e missioni secondarie – per corrompere soldati, abbassare i prezzi dei negozi o tentare approcci di fuga non convenzionali distraendo la gente che ci circonda.
A sposarsi bene con l’ottimo level design, fatto di strade strette, piene di risorse e ostacoli, è il parkour che consente una navigazione cittadina rapida, appagante e divertente: scegliere il percorso giusto per muoversi elegantemente attraverso i tetti torna a essere un elemento chiave nell’interazione con il mondo di gioco. Sebbene le movenze di Basim siano quasi identiche a quelle di Eivor, al netto di qualche rigidità di troppo, il feeling dato dalle animazioni può dirsi soddisfacente e rifinito (ma lontano anni luce dalla perfezione di Assassin’s Creed Unity, mai più raggiunta).
Insomma, la mappa di Mirage è stata pensata per non essere dispersiva, opprimente o inutilmente ampia: là dove il deserto di Origins era solamente un’area di contorno – spesso miseramente vuota – qui le Terre selvagge sono un collegamento tra il centro e la periferia in cui è possibile trovare collezionabili, villaggi abbandonati e punti di interesse. Si gioca tanto e si vaga poco, non c’è spazio per annacquamenti futili in nome di un open world tanto immenso quanto inconsistente (tanto per fare una gara infantile a chi ce l’ha più grosso).
Venendo al nocciolo dell’opera, ovvero il suo gameplay, il lavoro che è stato fatto è perfettamente coerente con le promesse dello studio: la maggior parte delle meccaniche da gioco di ruolo sono state abbandonate in favore degli elementi iconici dei vecchi capitoli (opportunamente espansi, rivisti e modernizzati dove serve). In questo senso, le abilità di Basim sono divise in un albero molto semplice dove spendere dei Punti Talento guadagnabili completando missioni. I rami – Fantasma, Ingannatore e Predatore – sono legati rispettivamente alle tecniche di assassinio, a gadget e strumenti e all’aquila Enkidu che supporta l’Assassino in ogni momento (per scrutare la mappa dall’alto e pianificare gli ingaggi). Non è presente un sistema di level up, bensì – proseguendo nella storia – sarà il grado della Confraternita (da Iniziato a Maestro) a permetterci di sbloccare risorse utili come le tante e apprezzatissime personalizzazioni che restituiscono bene il senso di progressione e di crescita.
A proposito di storia, le missioni principali sono chiamate Indagini e ricordano per struttura il primo Assassin’s Creed: divise in piccoli “capitoli”, consistono in una lunga raccolta di indizi per svelare l’identità dei membri dell’Ordine degli Antichi. Gli incarichi sono variegati e al termine di essi viene chiesto di eliminare il “boss” designato all’interno di macroaree sandbox che riprendono lo stile delle Black Box introdotte in Unity e che permettono di sperimentare con gli approcci furtivi. La varietà di situazioni, ambientazioni e opzioni è buona, soprattutto in quest come L’antro della bestia o La mente nell’ombra in cui si è chiamati a ricorrere a travestimenti, diversivi e trucchi disparati.
Quanto alle attività secondarie, sono i Rifugi a dare accesso a dei Contratti – suddivisi in Assassinio, Scorta e Furto – che, se portati a termine, donano oggetti e materiali per potenziare l’arsenale di Basim. Quest’ultimo è composto – Lama Celata a parte – da spada e pugnale, mentre tra i già citati gadget si trovano coltelli da lancio, bombe fumogene, dardi soporiferi, trappole e petardi. Tutti attrezzi di morte che è possibile adattare alle proprie esigenze, scegliendo tra uno stile più offensivo o difensivo all’insegna della sperimentazione pura.
Non mancano poi i collezionabili che, inaspettatamente, sono spesso fondamentali per migliorare il proprio armamentario (e non semplici riempitivi stantii per allungare la longevità). Esplorando, depredando forzieri e risolvendo enigmi, non è raro infatti trovare progetti per armi uniche e più letali, dove “uniche” significa che non è contemplato – grazie a dio – l’orribile sistema di rarità già visto in Origins, Odyssey e Valhalla o in titoli RPG come Cyberpunk 2077 e Starfield. Inoltre – anche se non vengono tracciate come parte dei collezionabili – in tutta Baghdad sono presenti note nascoste che, insieme ai pezzi di Codice, contengono degli interessanti riferimenti alla lore della saga, oltre a dettagli aggiuntivi sulla trama e sul suo background culturale.
In Assassin’s Creed Mirage non ci sono missioni aggiunte per “gonfiare” l’offerta ludica: ogni incarico offre quasi sempre ricompense vantaggiose. È il caso delle Storie di Baghdad, brevi quest terziarie autoconclusive che mettono in mostra il prezioso patrimonio culturale arabo.
Venendo al combat system e alle interazioni con i nemici, è qui che si incontrano le sbavature più grossolane: a differenza dei precedenti protagonisti della serie, anche con un equipaggiamento potenziato al massimo Basim non è esattamente un combattente provetto (colpa anche di alcune animazioni eccessivamente legnose). Nel bel mezzo degli scontri, il button mashing è del tutto inutile se non scomodo, data la grande capacità offensiva e difensiva di molte guardie. Per avere successo nei combattimenti è necessario pianificare in modo intelligente il proprio piano d’attacco, eseguendo combo ben calcolate e sfruttando parate e schivate laterali.
Il più delle volte – soprattutto all’inizio dell’avventura – lo scontro in campo aperto si dimostra essere l’ultima risorsa per sopravvivere, dal momento che l’Assassino è resistente come un fuscello se messo contro decine di uomini. In sostanza, lo stealth viene sempre promosso dal gioco come la soluzione più efficace (e vorrei ben vedere). Il sistema di ricerca da parte della fanteria è stato totalmente revisionato attraverso l’implementazione di tre “livelli” di aggressività, l’ultimo dei quali vede la discesa in campo degli Shakiriyya, delle guardie d’élite velocissime e da cui è meglio scappare a gambe levate. Poco comprensibile, infine, la gestione dell’IA che oscilla tra la scaltrezza e la deficienza assoluta senza vie di mezzo.
Combattimenti grossolani a parte, uno degli elementi che ha fatto più discutere è la Prontezza dell’Assassino, ovvero un potere sovrannaturale che – dopo aver riempito un’apposita barra – permette di “glitchare l’Animus” e bloccare il tempo per concatenare automaticamente delle uccisioni istantanee, fino a un massimo di cinque. Alcuni detrattori hanno criticato questa scelta di design bollandola come “overpowered”, io invece dopo averla utilizzata varie volte per tirarmi fuori da situazioni difficili ammetto di averla trovata assai divertente.
Concludendo con una rapida disamina del comparto tecnico e artistico, si può dire che il motore grafico Ubisoft Anvil fa un buon lavoro. Certo, il colpo d’occhio è meno appariscente del precedente Valhalla – anche a causa dei costi contenuti del progetto – ma la resa complessiva rimane notevole. Fanno storcere il naso le cutscene animate mediocremente: i personaggi coinvolti hanno movenze rigide ed espressioni poco realistiche, un discreto passo indietro per gli standard del brand. La colonna sonora curata da Brendan Angelides (13 Reasons Why), in collaborazione con la New Arabic Orchestra e il compositore palestinese Akram Haddad, cattura bene le atmosfere del Medio Oriente, fondendo in maniera interessante sonorità orchestrali ed elettroniche – in particolar modo nel Mirage Theme – senza però eguagliare mai la finezza dell’intoccabile Jesper Kyd.
In definitiva Assassin’s Creed Mirage, pur essendo un capitolo minore in una saga costellata di opere incredibili, merita attenzione e supporto per il suo essere “short and sweet“. Il plauso di pubblico e critica è stato quasi universale e ciò non può che rincuorare i fan di vecchia data che sperano che le future produzioni della serie seguano la strada tracciata da questo ritorno alle origini. Un esperimento simile è forse un DLC glorificato? Assolutamente no. Potrebbe cambiare per sempre il futuro del brand? È presto per dare una risposta, sarebbe bello se non si trattasse un caso isolato. Senza ombra di dubbio un Assassin’s Creed di 30-40 ore massimo come questo è decisamente più godibile rispetto a un blockbuster di 150 ore e passa che, alla lunga, mette a dura prova la pazienza dei giocatori. Questa volta la nostalgia canaglia ha trionfato su tutta la linea.
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