Grazie a titoli come Forza Horizon 5 il mercato dei racing game sta acquisendo maggiore notorietà, e proprio in questi giorni, con l’uscita imminente di Forza Motorsport, l’attenzione sulle quattroruote videoludiche si è fatta particolarmente alta. Mentre una serie storica come Need for Speed arranca nel costruire un’esperienza arcade e open world degna di nota, Ubisoft ritenta la fortuna con The Crew Motorfest, nuovo capitolo della serie racing sviluppato dal team di Ivory Tower.
Il successo di The Crew 2 ha portato la casa francese a realizzare questo nuovo titolo, che riprende a conti fatti l’atmosfera da festival del suo predecessore e prova a espanderne la formula, introducendo infine delle dinamiche da game as a service piuttosto preponderanti.
The Crew Motorfest conduce il suo festival dei motori ad O’hau, nel cuore delle Hawaii, e lo fa con una formula rinnovata evolvendo quello che è stato il grande evento di The Crew 2, costruendoci intorno una stimolante serie di gare. Divise in playlist, le competizioni in questa nuova iterazione di The Crew ora godono di una miriade di sfaccettature che ambiscono a diversificare la carriera, proponendo soprattutto delle competizioni a tema che, per struttura, creano un’esperienza intrigante seppur non perfetta. Prendendo in esame la playlist Garage, che permette di sfrecciare sulle strade di O’hau a bordo di preziose auto storiche, si ha un’interfaccia snella che priva il giocatore del consueto GPS e tachimetro, costringendolo ad orientarsi con i solo indizi visivi che il gioco fornirà durante una gara. Questo non solo spinge ad un maggiore realismo nel gameplay, ma permette anche di sfruttare i punti di riferimento dell’open world.
Molte delle playlist hanno caratteristiche uniche, dando quindi quel pizzico di varietà che è assolutamente necessario per approfondire un’esperienza ludica come quella di un racing open world. Troviamo degli elenchi di gare con libero accesso, che forniscono direttamente al giocatore un veicolo per la gara facendo risparmiare diversi crediti; al termine il pilota viene ricompensato con una vettura speciale, permettendo così di costruire a piccoli passi il proprio parco auto. Per alcune categorie di competizioni tuttavia l’ingresso sottostà a un requisito, che perlopiù consiste nell’acquisto di un veicolo, e queste competizioni si contraddistinguono per un mix di gare a tema, basandosi soprattutto su una struttura da campionato. Alcune di queste playlist vedono inoltre il coinvolgimento di influencer che si occupano di motori, come Supercar Blondie che porta il giocatore a esplorare il fascino delle concept car.
The Crew Motorfest però è influenzato da una struttura di gioco fortemente live service, che si fa decisamente preponderante nella proposta dei suoi contenuti. Oltre alle gare che possiamo trovare nell’esperienza di base, ogni settimana il titolo si aggiorna con delle competizioni a tempo limitato, e anche qui è necessario acquistare delle auto per soddisfare i requisiti di ingresso. Ciascun evento ingolosisce l’utente con ricompense speciali, tra cui oggetti cosmetici e veicoli esclusivi ma, dato anche il rapporto fatica-ricompense, mettere le mani sulle vetture necessarie per parteciparvi potrebbe risultare alquanto ostico.
Il titolo comunque è ricco di contenuti, e oltre alle playlist troviamo una serie di sfide che rendono più denso l’open world. Alle già familiari challenge di velocità e drift, si aggiunge una serie di slalom che forzano la gestione del veicolo, una sfida di fuga che invece punta tutto sull’immediatezza della vettura e infine i checkpoint, dove viene richiesta una maggiore precisione sulle traiettorie. Tuttavia queste sfide, insieme alle gare, delineano un sistema di progressione fin troppo lento, a tratti assente. Prima di accedere al livello successivo del pilota ci vorrà diverso tempo, privando così il giocatore di una reale sensazione di avanzamento nel gioco.
Infatti in quel di O’hau racimolare qualche credito per acquistare auto dalle prestazioni superiori potrebbe richiedere diverso tempo, poiché la priorità spesso e volentieri si sposta su vetture indesiderate ma necessarie per svolgere altri eventi. Qui entra in gioco il sistema di microtransazioni di The Crew Motorfest, che attraverso una valuta in-game permette di acquistare immediatamente alcuni dei propri bolidi preferiti, mettendone però altri disponibili esclusivamente attraverso la moneta premium. Mettere dietro paywall le auto che sono effettivamente più interessanti è qualcosa di piuttosto grave per un titolo commercializzato a prezzo pieno.
Certo, il parco motori di The Crew Motorfest è incredibilmente vasto (attualmente si contano ben 605 veicoli), ma è anche vero che buona parte di esso è costituito da vetture che possono essere importate dal proprio salvataggio di The Crew 2: chi ha giocato al precedente capitolo della serie motoristica di Ubisoft può beneficiare del proprio garage, e risparmiare decisamente sull’acquisto di vetture in Motorfest. Un vantaggio fin troppo generoso, che nel tentativo di creare una sorta di fidelizzazione con la sua utenza penalizza chiunque decida di approcciarsi al franchise in questo momento, rendendo persino impossibile l’acquisto di tutte quelle vetture che restano un’esclusiva di The Crew 2.
Ogni auto in proprio possesso può essere personalizzata dal lato sia estetico che tecnico. Come il suo predecessore, il titolo riporta gli oggetti di personalizzazione classificati per rarità, i quali vanno a influire sulle prestazione della vettura. Questi pezzi si ottengono principalmente nelle competizioni e si distinguono per categoria d’auto come Racing o Drift, andando a intervenire su quello specifico assetto.
Il sistema di guida non ha subito grosse rivoluzioni: il feeling rimane più o meno quello del titolo precedente, e gli sviluppatori hanno cercato di alzare un pelino l’asticella sulla fisica dei veicoli, che si mostra alquanto curata e differenziata in base alla categoria di vettura in utilizzo. Che si tratti di una piccola coupé o di un massiccio fuoristrada, il peso di ogni veicolo è ben percepibile soprattutto in fase di accelerazione e in curva, anche se in quest’ultimo caso la fisica tende un po’ troppo a far slittare fuori strada. Un sistema di guida quindi non troppo simulativo, ma che può garantire un’esperienza migliore disattivando tutti gli aiuti disponibili nel gioco, cosa che darà persino dei punti esperienza in più.
La fisica di un veicolo chiaramente non dipende solo dalla stazza di quest’ultimo: anche l’assetto influisce enormemente su come il proprio bolide affronta un percorso, mettendo così a disposizione del giocatore diversi stili di guida. Un po’ più impacciata è l’esperienza a bordo di un aereoplano o di un motoscafo, le cui manovre rendono tali mezzi difficili da gestire, soprattutto per quanto riguarda la fisica. Anche qui ritroviamo l’apprezzatissimo sistema che permette di cambiare tipologia di mezzo di trasporto in un lampo e in qualsiasi situazione, il che rende il gameplay anche più scorrevole. Ciò che invece fa storcere il naso è il viaggio rapido: una feature così indispensabile rimane inaccessibile per gran parte dell’esperienza, poiché i requisiti per accedervi costringono a completare prima la maggior parte degli eventi presenti nel gioco.
O’hau non può competere in termini di grandezza con la mappa di The Crew 2, che comprendeva persino tutti gli Stati Uniti d’America, tuttavia riesce a racchiudere l’essenza di quel mondo di gioco. Nonostante il festival risulti ridimensionato, infatti, viene sfruttato ogni centimetro della mappa, regalando inoltre degli scorci visivi affascinanti. L’isola hawaiana è un mix di natura tropicale, paesaggi vulcanici e bellezze marittime, che restituisce una visione estetica stimolante anche per dei semplici giri in auto.
Da percorsi cittadini a distese desertiche, la composizione geografica della mappa permette di sperimentare gli stili di guida, creando così un’esperienza gradevole e raramente ripetitiva. Sul fronte visivo però il gioco mostra decisamente la sua natura cross-gen, con un comparto grafico non proprio al passo con le esperienze offerte dai titoli motoristici più recenti. Un problema è da ricercare nella cura per i dettagli, ad esempio l’illuminazione e come questa si riflette sulle carrozzerie, o la mancanza di riflessi negli specchietti retrovisori.
Mentre scrivo, il titolo soffre anche di un particolare problema nell’hub quando si avvia la partita: The Crew Motorfest ha un’area sociale in cui è possibile interagire con altri piloti e i loro mezzi, ma in questa zona – in cui purtroppo è obbligatorio passare prima di scendere in strada – si verificano dei grossolani problemi di stabilità del frame rate, che rallentano anche azioni banalissime come la navigazione dei menù. A parte questo, una volta al volante il titolo gode di prestazioni tecniche sufficienti, soprattutto nella versione PlayStation 5, in cui è possibile prediligere la performance o la risoluzione. Nel primo caso, il titolo gira a 60fps con una risoluzione dinamica di 1440p, confezionando un’esperienza visivamente godibile e fluida allo stesso tempo; nel secondo, invece, la risoluzione sale ai fatidici 2160p, abbassando però la performance a 30fps. Questo permette di avere una maggiore cura dei dettagli, interessando soprattutto la vegetazione e i particolari della carrozzeria.
The Crew Motorfest è in sostanza una versione migliorata del buon The Crew 2, ricca di contenuti di vario tipo che tappezzano l’esotica isola di O’hau. Nonostante la massiccia presenza di attività, non tutte però godono della medesima qualità e alla lunga rischiano addirittura di appesantire l’esperienza, influenzata inoltre da una forte componente live service. Indubbiamente questo dettaglio permetterà al titolo di evolversi in futuro con nuovi contenuti e playlist di gare fresche periodicamente, ma l’altro lato della medaglia esibisce un sistema di microtransazioni forse troppo invasivo per un titolo premium. Nel complesso, Ubisoft e Ivory Tower sono comunque riusciti a confezionare un’esperienza gradevole, che riconferma il buon valore di questa serie.
Un ringraziamento speciale a Ubisoft
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