Perfect Days, Wim Wenders e la bellezza delle piccole cose

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Wim Wenders è uno dei registi più importanti del secolo scorso, in quanto esponente principale del Nuovo Cinema Tedesco insieme a registi del calibro di Fassbinder, Herzog e Reitz, ed è probabilmente il più conosciuto all’estero grazie a film come Paris, Texas o Il cielo sopra Berlino. In più di 50 anni di carriera il suo stile è cresciuto e variato moltissimo, mantenendo però sempre una sorta di poetica minimale che si concentra sulle piccole cose e sui piccoli gesti, riuscendo ad elevare a livello artistico ciò che, in mano ad altri registi, sarebbe diventato banale.

Se però il Wenders post-2000 non è mai riuscito ad arrivare qualitativamente vicino ai suoi capolavori passati – cosa che comunque dopo una carriera del genere non sarebbe nemmeno richiesta – è proprio con questo Perfect Days, co-prodotto e girato in Giappone, che il regista sembra aver ritrovato l’ispirazione che da più di vent’anni mancava ai suoi lavori.

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Hirayama (Koji Yakusho) è un uomo sulla sessantina che lavora pulendo i bagni pubblici di Tokyo. Abita da solo nel suo piccolo appartamento e conduce una vita tranquilla all’insegna della lettura dei classici, della musica in audiocassetta – che diegeticamente fa da colonna sonora con classici di Lou Reed, Van Morrison, Patti Smith e Nina Simone – e della fotografia; quest’ultima è rivolta specialmente agli alberi, che ritrae con la sua vecchia macchina a pellicola Black & White, e che inoltre coltiva attivamente come bonsai. Il film ha la struttura di un classico slice of life giapponese – infatti la sceneggiatura è co-firmata da Wenders con Takuma Takasaki, che probabilmente l’ha anche aiutato ad essere più pertinente e realistico riguardo agli usi e la cultura locali senza scadere in cliché da turista – e si snoda semplicemente illustrando le varie giornate (lavorative e non) di Hirayama. Nonostante la sua metodicità e attinenza alla routine, gli incontri che farà durante questi suoi “giorni perfetti” serviranno a romperne la regolarità e a portare lo spettatore a scoprire di più sulla sua persona e le sue scelte di vita.

Il film, così semplice alla base – e potenzialmente anche noioso – è invece ricchissimo di riflessioni e sottotesti, che vengono sottolineati non solo dalle poche parole del taciturno protagonista, ma soprattutto dalla messinscena di Wenders, che cerca sempre di inquadrare il protagonista come unico punto statico di un mondo in continua evoluzione e perenne movimento. La città di Tokyo è infatti la perfetta ambientazione, essendo un luogo – come tutto il Giappone – ricco di contraddizioni, dove convivono tecnologia e progresso più sfrenato insieme però alle tradizioni religiose e agli enormi parchi naturali. La fissazione di Hirayama per la natura, e in particolare per gli alberi, è sicuramente una presa di posizione nei confronti di una società che non ha tempo neanche di sedersi e osservare la meraviglia che la circonda; non a caso il regista punta spesso la camera verso una torre della città chiamata Sky Tree, che si vede perfino dalla casa del protagonista, ed è il simbolo perfetto di un mondo di uomini che ricostruisce il mondo naturale per controllarlo piuttosto che preservarlo e venerarlo.

Perfect Days film Hirayama

Le contemplazioni e lo stupore di Hirayama verso tutto ciò che incontra sono sicuramente accomunabili a quelle del protagonista del manga L’uomo che cammina, di Jiro Taniguchi, che in maniera simile descriveva le passeggiate di quest’uomo senza nome soffermandosi, senza alcun dialogo, sui piccoli dettagli che se non si prestasse attenzione non verrebbero notati. È importante poi come nel film tutte queste piccole esperienze giornaliere vengano sedimentate nella mente di Hirayama al momento di andare a dormire, dove gli si ripresentano i momenti salienti come sogni “in celluloide”, essendo in bianco e nero e simili alle fotografie che lui stesso scatta e che, una volta sviluppate, divide in varie scatole come fossero ricordi buoni o brutti, strappando quelle venute male. Se il mondo digitale è rapido e pieno di infiniti stimoli a cui è impossibile dare attenzione, la pellicola anche qui rappresenta qualcosa a cui si deve prestare tempo e dedizione per avere un risultato, così come i bonsai che il nostro coltiva.

Ciò che però il film vuole mettere alla luce – e che il protagonista scoprirà con l’ultimo emozionate incontro alla fine del film – è la caducità di questi piccoli momenti, questi “perfect days” che sono perfetti ma destinati a svanire prima o poi, perché, per dirlo con le parole del film: “è impossibile che qualcosa non cambi”. Ma questa consapevolezza non deve portare tanto a una tristezza per l’imminenza della fine, quanto più a una gioia per la possibilità di vivere dei momenti del genere. Un concetto espresso anche dalla parola giapponese Komorebi, impressa alla fine del film, che oltre a significare “la luce del sole che filtra attraverso gli alberi” indica un momento breve, intenso e sfuggente, da vivere nel momento in cui accade e che difficilmente ritornerà.

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Rimanere senza benzina, aiutare un compagno di lavoro, osservare una donna che mangia, incontrare dopo tanto tempo la nipote, perfino giocare una banale partita di tris (portata avanti con uno sconosciuto giorno per giorno tramite un foglio lasciato dentro una toilette) sono tutti quei piccoli dettagli che Wim Wenders vuole mettere in primo piano rispetto a un modello che invece vuole renderci sempre meno empatici e meravigliati verso la vita, degli automi che rifuggono ogni tipo di contatto invece di cercarlo. Così, anche la scelta consapevole di andare a pulire i bagni pubblici di Tokyo nonostante altre mille possibilità più “rispettabili” ci sembrerà giusta e anzi, l’unica forse sensata per non sprecare il poco tempo che ci rimane sulla terra.

Lorexio Articoli
Professare l'eclettismo in un mondo così selettivo risulta particolarmente difficile, ma tentar non nuoce. Qualsiasi medium "nerd" è passato tra le sue mani, e pur avendo delle preferenze, cerca di analizzare tutto quello che gli capita attorno. Non è detto che sia sempre così accurato però.

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