Madre, di Bong Joon-ho

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Voto:

La popolarità del buon vecchio Bong Joon-ho – chiamato affettuosamente “Bongone” tra noi redattori appassionati del suo lavoro – ha prevedibilmente conosciuto una rapida ascesa a seguito del suo ormai storico poker di statuette durante gli Academy Awards del 2020. Popolarità che non ha tardato a influenzare anche i distributori italiani che, dopo l’acclamatissimo (sebbene in netto ritardo) Parasite, hanno deciso alla buonora di lanciare nelle sale Madre (Madeo). Quest’ultimo è il quarto lungometraggio del cineasta, arrivato da noi con ben dodici anni di ritardo! Insomma, il prima ingiustamente sconosciuto Bong torna sulla bocca di tutti; è triste pensare che l’ora unanime riconoscimento giunga solo dopo la premiazione agli Oscar, ma questo è un altro paio di maniche.

Data la sua “età” (il film è del 2009) Madre è un’opera certamente già nota ai più irriducibili appassionati del cinema sudcoreano e spesso considerata la migliore di Bong Joon-ho. Secondo alcuni scalzerebbe addirittura il grandioso Memories of Murder, distribuito nei cinema italiani e in home video dopo diciassette anni di assenza, proprio in occasione del trionfo di Parasite a Hollywood. Dal canto mio, non sono qui per imbastire confronti fini a sé stessi per dimostrare quale delle due sia la pellicola più meritevole; voglio dire, quando ci si trova dinnanzi a lungometraggi di una fattura così cesellata, ogni conflitto diventa secondo me inutile.

Basti pensare che Madre trae proprio da Memorie di un assassino alcuni dei suoi punti chiave, legando i due thriller da un peculiare filo rosso, ma andiamo con ordine.

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L’attrice Kim Hye-ja nella sequenza iniziale del film.

La protagonista dell’opera è un’anziana ma energica signora (in sceneggiatura non ha un nome) – interpretata da una stellare Kim Hye-ja – che vive alla giornata gestendo un piccolo dispensario farmaceutico di erbe medicinali e praticando agopuntura in nero. La sua unica ragione di vita è il figlio Do-joon (Won Bin): un ragazzo quasi trentenne, disoccupato, che soffre di un leggero deficit mentale. Tutto ciò lo porta a vivere quasi alle complete dipendenze della madre; quest’ultima gli riserva un amore oltremodo caloroso che sin dalle prime battute del racconto scopriamo essere a dir poco maniacale.

Il rapporto tra i due incontra un ostacolo imprevisto, di fatto il motore della storia: il figlio, di ritorno da una notte passata ad ubriacarsi, incrocia per la sua strada una studentessa. Decide, annebbiato dai fumi dell’alcol, di seguirla finché la ragazzina non scompare in un misterioso vicolo buio. Il mattino seguente, la suddetta ragazza viene trovata morta proprio in quel luogo e l’ingenuo Do-joon viene accusato di omicidio dallo sparuto e negligente dipartimento di polizia che trae conclusioni molto affrettate. Il sopracitato attaccamento morboso della madre si trasforma, quindi, in una disperata e coraggiosa lotta per scarcerare l’amatissimo figlio, ritenuto innocente dalla donna.

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La trama è tutta qui. Semplice, asciutta e credibile: il primo punto di forza del film grazie al quale la sceneggiatura muove agilmente i suoi fili. Gli amanti più devoti di Bong Joon-ho non potranno non notare – e qui si ritorna all’incipit di questa recensione – come, nuovamente, il regista si accanisca in primis contro il sistema giudiziario e penitenziario coreano: dalla moralità corrotta e volubile, composto da poliziotti, investigatori e avvocati disinteressati, alle vittime coinvolte e ai risvolti ultimi dei casi. Una giustizia degenere che punta solo ad una risoluzione raffazzonata dei drammi, esattamente come accade in Memories of Murder, un noir poliziesco che mette in scena protagonisti boriosi, scioccamente testardi e troppo attaccati al distintivo.

Anche in Madre ritroviamo personaggi molto simili, uno tra tutti il tenente Je-moon che, nonostante sia quasi un amico di famiglia per la protagonista del film, porta avanti le indagini in maniera incerta e sbrigativa, riducendo – a volte involontariamente – le possibilità di salvare il povero Do-joon. Questo radicato disinteresse della polizia, misto ad uno spiccato alone di disillusione vengono tradotti dal punto di vista estetico con un commissariato dagli ambienti angusti e asettici, messi ancor più in evidenza da una fotografia tendente allo scuro.

Azzardo dicendo che Memorie di un assassino e Madeo potrebbero essere considerati due lungometraggi gemelli: da un lato abbiamo le investigazioni affannose e contro il tempo di un manipolo di detective, dall’altro l’altrettanto affannoso operato di una madre da sola contro il mondo.

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Da sinistra: il tenente Je-moon, Jin-tae – amico fraterno di Do-joon – e Do-joon stesso.

Sola ma non per questo sprovveduta: l’anziana donna orchestra, al meglio delle sue possibilità, “un’indagine fatta in casa” attraverso la sua furbizia, un pizzico di goffaggine e l’aiuto di Jin-tae, l’enigmatico e unico amico del figlio. Quella da dipanare è una matassa contorta che, personalmente, mi ha ricordato un lungometraggio giapponese di un altro grande maestro del cinema orientale contemporaneo: sto parlando di Kore’eda e del suo Il terzo omicidio. L’investigazione è complessa, il racconto tiene sempre sulle spine siccome non si comprende mai, fino all’ultimo secondo, dove le vicende vogliano andare a parare. Un film cattivissimo, dove non c’è scampo per nessuno; dove il male e le sue numerose sfaccettature vengono offerti allo spettatore su un piatto d’argento. Tutti i personaggi di Madre, in altre parole, pagano lo scotto per qualcosa e rimango volutamente vago su questo, dal momento che un thriller del genere è un campo minato da spoiler.

La protagonista delineata da Bong Joon-ho riporta sul grande schermo, in maniera tutta sua, il tema della vendetta tanto caro al cinema sudcoreano: la trilogia della vendetta di Park Chan-wook vi dice qualcosa? Vien da sé che l’opera sia densa di colpi di scena e dotata di un ritmo e di un montaggio folgoranti, il tutto coronato da una regia magistrale. Il tocco di Bong è palpabile.

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La mano dell’autore si palesa grazie all’uso intelligente e interessante delle soggettive: un escamotage che ci trasporta ancora di più all’interno dell’investigazione, che invita lo spettatore a studiare il caso insieme alla madre. È altamente probabile che nell’orchestrazione di tali soluzioni estetiche, il buon Bong si sia ispirato a La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, caposaldo del cinema giallo.

Ogni inquadratura è importante, non c’è un frame lasciato al caso e l’attenzione ai dettagli sparsi per le scene è d’obbligo. Nonostante gli sguardi più svegli possano tentare con tutte le loro forze di non essere colti di sorpresa, la sceneggiatura ha sempre qualche imprevedibile asso nella manica. La scrittura stupisce a tal punto da far venire i brividi in certi frangenti – finale incluso – a causa di ciò che si scopre.

I precetti hitchcockiani ritornano inoltre per la costruzione della tensione. A questo proposito è nutrito l’uso di inquadrature molto strette e primissimi piani utili per delineare gli stati d’animo dei personaggi a schermo; il tutto accompagnato da una gestione ottima della messa a fuoco che limita volontariamente il campo visivo del pubblico. Volendo fare un parallelismo con un lungometraggio europeo che ricorre alle stesse soluzioni registiche, potrei citare Il sacrificio del cervo sacro di Lanthimos, altra opera riconosciuta e ricordata per la narrazione tesa come una corda di violino.

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Do-joon in carcere.

Madre è uno dei tanti film di Bong Joon-ho che conferma – come se ce ne fosse bisogno – l’inattaccabile maestria di questo cineasta. Una pellicola articolata che rapisce e trasporta in un vortice di eventi turbolenti e al cardiopalma. Il nostro Bongone non ne ha mai sbagliata una e, se non si fosse capito, questa mia disamina esorta voi lettori a recuperare un gioiello pregno della sua poetica spietata. Segnate sui vostri calendari “giovedì 1 luglio 2021“, non ve ne pentirete.

Innumerevoli romanzi, film e programmi televisivi si sono avvicinati alla figura materna, ma io volevo esplorarla in un modo che fosse mio peculiare, funzionale a scoprire dove potevo portarla a livello cinematografico, per poi spingerla fino all’estremo.

Un ringraziamento speciale a PFA Films




Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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