Troll, l’enorme montagna di cliché di Roar Uthaug

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Su Netflix dal 1° dicembre è disponibile Troll, un film norvegese diretto Roar Uthaug (conosciuto per il non entusiasmante Tomb Rider con Alicia Vikander) e ispirato alle leggende scandinave su queste creature. Nonostante la produzione europea, quella che si respira dal primo istante è un’aria hollywoodiana, imitata in tutto e per tutto come se fosse sinonimo di “grande film”.

Troll infatti è una chiara imitazione dei più classici monster movie americani, a partire dalla semplicissima trama, passando per i vari e stereotipati protagonisti e terminando anche con una scena post-credits; ma se non sei Guillermo del Toro o almeno Gareth Edwards, rischi di ritrovarti tra le mani un’imitazione ridimensionata del Godzilla di Roland Emmerich.

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Troll racconta le disavventure della paleontologa Nora Tidemann (Ine Marie Wilmann), che assieme al governo norvegese e il suo esercito si trova alle prese con un’enorme creatura risvegliatasi dopo decenni dalle profondità dei monti Dovrefjell. Cambiate creatura e/o ambientazione e avrete la trama di decine di film simili. Il problema però non è tanto questo (dalle trame più semplici sono nati anche dei capolavori), quanto l’approccio estremamente superficiale e apparentemente svogliato, atto solo ed esclusivamente a realizzare un compitino senza neanche provare ad inserire un minimo elemento di novità.

Abbiamo la protagonista che è la più sveglia di tutti, il vecchio pazzo che “aveva ragione” (il padre), l’aiutante buono, il governo stupido pronto a sfoderare le armi pesanti, i militari idioti e il militare un po’ meno idiota che diventa amico e complice della ragazza. A fare da contorno, rapporti tra i personaggi ridotti all’essenziale e rivelazioni più o meno inaspettate inerenti al troll, che perlomeno riescono a far empatizzare quanto basta con quella che è la minaccia del film. Insomma, la perfetta riproposizione di tutti, ma proprio tutti, gli imprescindibili cliché di un modestissimo monster movie.

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Il problema di Troll è che nemmeno ci prova e segue un binario già tracciato, ma probabilmente è proprio questo che lo rende un film innocuo, senza alcuna pretesa di strafare. Come contraltare ha dalla sua una durata contenuta, dei buoni effetti visivi, una narrazione scorrevole e una regia di mestiere, equilibrata, che perlomeno riesce a valorizzare dignitosamente l’enorme creatura in questa atipica ambientazione rurale scandinava.

Il film di Roar Uthaug (anche co-sceneggiatore) altro non è che un leggero passatempo per la domenica pomeriggio; un compitino discretamente confezionato a cui si può anche voler bene, ma inesorabilmente pigro a livello concettuale. Insomma, un film in perfetta linea con la maggior parte del catalogo Netflix.




Il Tac non è un critico cinematografico o uno studioso di cinema, ma semplicemente un cinefilo, seriofilo e all'occorrenza fumettofilo, a cui piacere mettere il becco su tutto quello che gli capita sotto mano... o sotto zampa.

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