The Northman, l’epica secondo Robert Eggers

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Dopo gli eccellenti The Witch e The Lighthouse, Robert Eggers si è assicurato un posto d’onore tra i migliori registi horror degli ultimi 30 anni. I suoi primi due lavori sono il connubio perfetto tra classicità e modernità, poiché riesce ad unire una regia semplice e funzionale “à la Bergman” con delle suggestioni folkloristiche e letterarie importanti, raccontando però i suoi personaggi con l’occhio antropologico del 21° secolo.

Come infatti lo stesso Eggers ha specificato durante la presentazione al Cinema Troisi lo scorso 1° aprile, il suo intento è quello di osservare dall’esterno questi personaggi di un’altra epoca e provare a pensare come, con la loro cultura e forma mentis, questi possano interpretare la realtà, attraverso la credenza più o meno forte nella “magia“. In questo modo il regista riesce a non inserire alcun ideale o morale d’impronta moderna nei suoi personaggi, rendendoli totalmente umani e verosimili. In The Northman però le cose si complicano, essendo a tutti gli effetti un racconto epico e quasi mitologico.

the northman ahmlet alexander skarsgard

The Northman è la storia di Amleth (Alexander Skarsgård) – sì, il film è volutamente ispirato all’Amleto di Shakespeare, trasposto nella mitologia nordica – unico figlio di re Aurvandil (Ethan Hawke) e della regina Gudrún (Nicole Kidman), che dopo l’uccisione del padre e il rapimento della madre da parte dello zio Fjolnir (Claes Bang) per impadronirsi del regno, sarà costretto a fuggire e crescere lontano da tutti come guerriero, per poi finalmente avere la sua vendetta. Come di consuetudine per il regista, la storia di partenza è molto semplice, un classico della narrativa di genere, che tuttavia ancora una volta viene elevato dalla messa in scena e da come vengono trattati determinati temi della narrazione, elaborata in sceneggiatura non più dal solo Eggers ma anche dal poeta islandese Sjón, che per il cinema ha già collaborato alla sceneggiatura di Lamb e ai testi delle canzoni di Bjork in Dancer in the Dark.

Dopo film dal budget relativamente basso (4 milioni di dollari per The Witch e 11 per The Lighthouse), il regista americano si confronta per la prima volta con dei numeri quasi da blockbuster – il film, che doveva costare 65 milioni, è arrivato circa ai 90 per colpa del Covid e altri problemi organizzativi durante la produzione, a causa dei luoghi impervi – tanto che Eggers, sempre al Troisi, alla domanda “A che pubblico si rivolge il tuo film?” ha scherzato rispondendo: “Per quanto è venuto a costare, il mio pubblico deve essere qualsiasi persona possibile”. Infatti The Northman è sicuramente il film più accessibile della breve filmografia del regista, ma non per questo privo delle sue schegge personali, che lo elevano dalla mediocrità del cinema “epico” degli ultimi anni.

the northman Gudrún nicole kidman

Incredibilmente, la cifra registica di Eggers riesce ad essere riconoscibile anche in un genere che è quasi agli antipodi dell’horror – l’action si mangia facilmente tutta la tensione – e in un film in cui la macchina da presa è molto più mobile del solito, dove non solo la camera a spalla ma soprattutto i dolly, con carrellate e movimenti fluidi, la fanno da padrone. Non mancano infatti virtuosismi quali piani sequenza “virtuali” altrimenti impossibili o i movimenti innaturali a schiaffo già sperimentati in The Lighthouse. Nelle scene più calme, invece, la cifra Bergmaniana di The Witch torna preponderante, con dei primi piani ossessivi dei protagonisti, quasi sempre posizionati al centro dell’inquadratura, che creano tensione anche solo per come viene reso lo sguardo degli attori.

Nonostante quindi l’impianto epico-avventuroso sia molto classico, Eggers, oltre a inserire delle sequenze puramente horror – il “battesimo” del piccolo Amleth con suo padre Aurvandil e lo sciamano Hemir (Willem Dafoe) è un capolavoro di tensione – riesce a dare un taglio molto crudo e reale al film, che si contrappone alle sequenze più oniriche e mitologiche per perseguire un discorso molto più ampio sulla superstizione dei popoli antichi. La loro cultura (nordica in questo caso) è molto ritualistica e prevede una componente magica molto importante, tra divinità e artefatti leggendari. Il bello della narrazione di The Northman è che, come è accaduto per i videogiochi in Hellblade: Senua’s Sacrifice, viene reso palese come tutta la componente mitologica non sia altro che una sorta di “allucinazione collettiva” – In Hellblade era frutto della malattia mentale della protagonista – e che quindi molti dei passaggi di trama, come ad esempio la battaglia finale nella location più scenografica possibile, vengano decisi appositamente dai personaggi come rituali necessari al loro sviluppo.

the northman anya taylor-joy

Questo stile di narrazione tende quindi a decostruire l’epica classica, dove la catarsi dell’eroe si crea anche lentamente col mondo che cambia intorno a lui – un esempio ancora presente nelle nostre narrazioni è l’utilizzo della pioggia durante le scene tragiche – arrivando quindi a contestualizzare determinati snodi narrativi che logicamente potrebbero sembrare forzati (perché attendere tutti quei giorni prima della vendetta?), rendendoli coerenti col pensiero dell’epoca. Il problema principale del film però risiede comunque nella scrittura che, nonostante queste trovate interessanti, da circa tre quarti accelera fin troppo il passo per riuscire a iniziare e concludere un quarto atto che avrebbe richiesto un pacing più diluito e approfondito. In quel momento un paio di inquadrature di totali consequenziali fanno persino credere che, se fosse un film in pellicola, si sia perso un rullo intermedio.

Purtroppo questo non è l’unico inciampo che prende il film, che forse avrebbe avuto bisogno di più tempo per sviluppare meglio tutti i suoi personaggi presentati e trattenere di più alcune comparse, come il già citato Willem Dafoe o Bjork, che appare nei panni della veggente in una singola scena, sicuramente significativa, ma avrebbe dato un enorme valore aggiunto se inserita anche in altri momenti.

Nonostante questo comunque il film è visivamente sontuoso, con una fotografia di Jarin Blaschke (collaboratore di Eggers dall’esordio) veramente da pelle d’oca, che durante le scene in notturna desatura così tanto i colori da renderla quasi in bianco e nero, se non fosse per alcuni elementi, come il fuoco, che rimangono accesi e vivi per creare un contrasto incredibile. Anche la colonna sonora di Robin Carolan e Sebastian Gainsborough, duo inglese di musica elettronica alla prima prova cinematografica, è incredibilmente incalzante: classica nelle sonorità epiche e nordiche ma mai stucchevole o rileccata, riesce a seguire la crudezza del film con dei ritmi tribali e rituali veramente azzeccati.

the northman fuoco

The Northman è sicuramente il film più accessibile di Robert Eggers, quello che può diventare il punto di partenza dell’utenza mainstream per scoprire un regista che ha rivoluzionato il modo di fare horror del 21° secolo, e che stavolta ha cercato di spostarsi su altri lidi trovando il giusto compromesso tra la sua poetica e il grande pubblico.

Pur non essendo l’opera migliore del cineasta americano, The Northman è un tipo di film che vorrei vedere ogni giorno in sala, una pellicola di genere puro che viene elevata a qualcosa di molto più che mero commercio e che, più dei suoi lavori precedenti, potrebbe dare un colpo veramente forte ai blockbuster senza arte né parte che dominano i multisala, sparando il primo segnale di cambiamento anche nel cinema più ricco. Ma tutto starà agli incassi e anch’io, come Eggers, mi auguro che questo film possa avere più pubblico possibile.




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Professare l'eclettismo in un mondo così selettivo risulta particolarmente difficile, ma tentar non nuoce. Qualsiasi medium "nerd" è passato tra le sue mani, e pur avendo delle preferenze, cerca di analizzare tutto quello che gli capita attorno. Non è detto che sia sempre così accurato però.

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