Lamb, il coraggioso esordio di Valdimar Jóhannsson

lamb film recensione

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La casa di produzione statunitense A24 è certamente garanzia di qualità nella maggior parte dei casi, basti pensare che ad essa si deve la distribuzione di grandi opere come The Lighthouse, Swiss Army Man, Ex Machina, Midsommar, Hereditary, le pellicole dei fratelli Safdie e tante altre. Non deve sorprendere, quindi, la grossa attenzione mediatica che Lamb – esordio alla regia dell’islandese Valdimar Jóhannsson – ha riscosso da parte di pubblico e critica sin dal suo annuncio diversi mesi fa. Non nascondo che sia davvero un piacere vederlo proiettato in anteprima esclusiva per l’Italia alla 16ª Festa del Cinema di Roma, grazie alla sua sezione indipendente Alice nella Città.

Si tratta, stando alle premesse e al trailer minato da spoiler, di un horror soprannaturale la cui sinossi è davvero elementare: una giovane coppia sposata, María (Noomi Rapace) e Ingvar (Hilmir Snær Guðnason), vive allevando pecore in un pascolo immerso tra le montagne islandesi. Un giorno, a seguito di una tormenta di neve, una delle loro pecore partorisce un’inquietante quanto buffa creatura: una neonata con il corpo da umana e la testa di agnello, da qui il titolo del lungometraggio. Da dove arriva? È un buon segno da parte di Madre Natura o un simbolo di sventura? Questo è il nocciolo della pellicola.

lamb film pecora
Avviso ai lettori: in questo film ci sono pecore. Pecore ovunque.

Lamb si becca sin da subito la prima lode, perché si tratta certamente di un racconto che tiene ancorato lo spettatore già dalle prime battute; chiunque in sala desiderava una risposta alle domande: “che diavolo è quella mostruosità? Da dove viene?”, anche perché gli animali domestici dell’allevamento – un cane e un gatto – capiscono subito che nell’agnellina c’è qualcosa che non quadra. Inoltre, ciò che risulta assai strano è l’accoglienza che i coniugi le riservano: decidono infatti di trattarla come se fosse una figlia normale, facendole il bagnetto e raccontandole delle fiabe della buonanotte. Gli allevatori non sembrano spaventati da questa figura inusuale, anzi l’accettano di buon grado, tanto da chiamarla Ada, nome che – si scoprirà più avanti – cela un importante segreto per comprendere il sottotesto dell’opera. È innegabile che per digerire la narrazione alquanto grottesca serva una bella dose di sospensione dell’incredulità, tenendo conto che la progressione dell’intreccio – diviso in tre capitoli molto classici – è dotata di un ritmo disteso e contemplativo e di un build-up volutamente lento.

Quanto a quest’ultimo, la componente meditativa viene sottolineata dall’ottima colonna sonora di Tóti Guðnason (chitarrista degli Agent Fresco): un mix tra electro-ambient e una sinistra sezione di archi che mi ha ricordato la peculiare soundtrack composta da Hildur Guðnadóttir per Joker (che dire, gli islandesi ci sanno proprio fare con la musica). La OST viene utilizzata solo in alcune specifiche sequenze della storia, per sottolineare certi eventi; il resto del comparto sonoro – soprattutto nel corso del Capitolo I – è affidato a lunghi, significativi silenzi e suoni ambientali.

Le rarefatte atmosfere islandesi contribuiscono fortemente al mood generale del lungometraggio, sul quale il regista si è soffermato particolarmente; pensate che la lavorazione di Lamb ha avuto inizio addirittura nel 2008! C’è qualcosa di attraente e minaccioso nella fitta nebbia che serpeggia tra i monti, sembra proprio che essa celi qualcuno o qualcosa in agguato. L’effetto è garantito dal sapiente uso di campi medi e lunghi e da inquadrature quasi sempre fisse, senza dimenticare dei dialoghi molto risicati. Ciò rappresenta il vero nucleo horror del film che, tutto sommato, non punta a spaventare il pubblico con trovate dozzinali, quanto a incutere un crescente timore scaturito dall’immaginare chi o cosa si nasconda nei pressi dell’abitazione di María e Ingvar. La creazione di Jóhannsson, in definitiva, non è un horror puro, ma una favola popolare ispirata dal folklore nordico, dalla mitologia norrena e persino dalla Bibbia.

È il Capitolo II a smuovere lo status quo: María compie un grave gesto che avrà pesanti ripercussioni sulla sua famiglia. Il personaggio di Noomi Rapace è una madre molto protettiva, quasi ossessionata da Ada; ritiene che l’avvento della piccola sia fonte di felicità per lei e il marito, un dono, un nuovo inizio. È così affezionata a sua “figlia” da dimostrarsi ostile persino con il fratello di Ingvar, Pétur (Björn Hlynur Haraldsson), un comprimario che entra in scena verso la metà del film, rompendo gli equilibri della coppia sposata e chiedendo di essere ospitato. Pare infatti che si sia messo nei guai con dei creditori; l’opera, tuttavia, non chiarisce a sufficienza il passato dell’uomo, lasciando un punto oscuro in sceneggiatura.

Questa nuova figura ricopre, almeno secondo la mia interpretazione, il ruolo dello spettatore stesso. Pétur difatti è molto scosso da Ada e non riesce a comprendere come mai i due amici la amino così tanto. Per lui si tratta semplicemente di un rozzo animale di cui liberarsi, ma i genitori non sono della stessa idea e lo costringono a trattarla come una bambina vera.

lamb film María e Ingvar
I due protagonisti della pellicola: Ingvar e María.

In sostanza, Lamb è un prodotto dalle numerose chiavi di lettura, che stende la sua storia attraverso un filtro metaforico: quello della famiglia, appunto, con tutte le complessità e le contraddizioni del caso. Stando alle parole di Valdimar Jóhannsson, sin dalla prima stesura dello script – nato dalla collaborazione con il poeta Sjón – l’obiettivo è stato quello di creare un lungometraggio inusuale che parlasse al pubblico; quest’ultimo deve trarre le proprie, personalissime conclusioni: non c’è un modo giusto o sbagliato di interpretare il film. C’è chi individuerà la parabola intima di un uomo e una donna o chi, di contro, apprezzerà di più l’aspetto soprannaturale. Senza dubbio si sta parlando di un’opera prima coraggiosa che ha visto la genesi del suo primo trattamento dopo cinque anni di cooperazione tra Valdimar e Sjón, e che rimane certamente impressa nella memoria.

Dal canto mio – anche alla luce di un pazzesco, imprevedibile e spiazzante colpo di scena nelle fasi finali – sono dell’idea che una delle varie morali inserite dagli autori riguardi il rapporto/conflitto tra Uomo e Madre Natura, dove María (la madre umana) e la Natura stessa non sono mai due simboli coincidenti. È impossibile imporre il proprio io sulla fauna, l’egoismo verrà sempre punito.

lamb film noomi rapace

Per chiudere il discorso, Lamb è sicuramente una delle opere più strane che ho avuto occasione di apprezzare alla Festa del Cinema di Roma, pur non essendo qualcosa di inedito. Si tratta di una fiaba inquietante pregna di un’oscurità latente e dotata di un’angosciante allegoria. “Cottagecore Eraserhead” è una definizione che ho scovato su Letterboxd: calza a pennello e mi fa molto ridere se ripenso a ciò che ho visto, sebbene il lavoro di Jóhannsson e soci risulti assai meno onirico del capolavoro di David Lynch.

Quanto ai difetti, ne ho riscontrati un paio: trovo che la divisione in capitoli citata in apertura sia abbastanza inutile, avrei preferito un atto unico senza tagli netti. Gli attori poi fanno un lavoro di mestiere abbastanza dimenticabile, personalmente avrei limato la recitazione qui e là. Nonostante ciò, riguarderei volentieri quest’horror islandese e soprattutto lo sottoporrei ad amici e conoscenti per assistere alle loro reazioni.

La Wanted Cinema si occuperà della distribuzione italiana di Lamb il prossimo anno, direi quindi che non ci sono scuse per lasciarselo scappare. Se volete un motivo in più per recuperarlo – a parte la sua presenza nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes di quest’anno – sappiate che il produttore esecutivo è nientemeno che Béla Tarr, folle genio del cinema nordico e mentore di Valdimar Jóhannsson. Quest’ultimo, dal 2013 al 2015, ha preso parte al programma di dottorato presso la Filmfactory del maestro ungherese a Sarajevo. Non mi stupisce, quindi, che il “dolce” agnellino islandese presenti leggere affinità con Il cavallo di Torino.

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Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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