Il Buco, il thriller spagnolo di Galder Gaztelu-Urrutia

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Nel pieno di un periodo storico così straniante, arriva nel catalogo Netflix italiano Il Buco (“El Hoyo” in originale e “The Platform” nella versione inglese), thriller sci-fi spagnolo diretto da Galder Gaztelu-Urrutia, vincitore del premio del pubblico al Toronto International Film Festival 2019.

Goreng (interpretato da Ivàn Massagué) un giorno si ritrova in una cella di cemento, al 48° livello di quella che si scopre essere una prigione verticale con al centro un buco attraversato da una piattaforma. Mediante Trimagasi (un inquietante Zorion Eguileor) apprendiamo come funziona la struttura rinominata “la fossa”: ogni livello ha due inquilini che ogni mese vengono spostati in maniera casuale su un piano diverso; la piattaforma mobile al centro parte dal livello zero, con una quantità di cibo sufficiente per tutti i reclusi, e scende di piano in piano per consentire a tutti di pasteggiare.

Come Goreng scoprirà ben presto, però, l’avidità e la fame vincono su qualsiasi sentimento di collaborazione e la priorità sul cibo crea una gerarchia in continuo mutamento. Sarà proprio lui a tentare di sovvertire il sistema che governa la fossa.

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Il Buco è senza ombra di dubbio un film interessante. Gaztelu-Urrutia sceglie un approccio molto minimalista nella scenografia, ambientando la storia quasi esclusivamente in una cella di cemento, e questo lascia spazio agli altri elementi della pellicola. Il film unisce ad una base fantascientifica toni che vanno dall’onirico allo humor nero, passando per il grottesco e il gore. C’è da dire che a volte, nella ricerca di queste atmosfere disturbanti, la regia scade fino ad apparire più pretenziosa che effettivamente necessaria per dare tali sensazioni.

Il vero tasto dolente, legato sempre alla struttura del lungometraggio, è la sceneggiatura. La sensazione, una volta ultimata la visione, è che questa sia solo la prima parte di una storia più lunga, che sia necessario un secondo atto di vera azione. Questa impressione, ad essere totalmente onesti, può anche essere causata dall’inevitabile paragone mentale che si pone tra Il Buco e Snowpiercer (2013), che tocca gli stessi temi ma utilizzando uno sviluppo orizzontale invece che verticale.

Soprassedendo sulla sensazione di troncamento, la sceneggiatura rivela anche ad un’analisi non eccessivamente attenta varie incongruenze, necessarie per far muovere i personaggi, ma piuttosto ingombranti.

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Un elemento fondamentale è il significato della storia, il messaggio che la pellicola vuole far passare. Gli sceneggiatori, con una metafora tanto semplice quanto efficace, ci parlano di quanto possa diventare meschino l’essere umano se messo in una situazione di crisi. La regia non si fa problemi a cercare il disgusto nello spettatore, sia con le scene dei pasti, in cui l’avidità trasforma gli uomini in bestie, che con sputi, evacuazioni e gore, da cui emerge in pieno la prevaricazione e la disperazione che governano i reclusi.

La filosofia del film appare piuttosto negativa: il colloquio e la solidarietà sono realtà quasi utopiche, nessuno vede nella collaborazione la soluzione, e anche il protagonista, Goreng, nonostante prenda come missione la rottura di quest’ordine, non potrà fare a meno di utilizzare l’unico linguaggio comprensibile agli inquilini della fossa.

Il Buco non è un film perfetto e la sua morale di fondo è stata già approfondita da svariate pellicole (una su tutte Parasite di Bong Joon-ho). Tuttavia in un momento delicato come questo può essere ancora più interessante ed edificante vedere trattazioni del genere sul capitalismo e sui privilegi.




Fissato con le serie tv e sulla buona strada per esserlo anche con i film. Cosplayer di Abed Nadir e discepolo di Aldo, Giovanni e Giacomo.

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