Esattamente 10 anni dopo Si alza il vento, che già allora doveva essere il film conclusivo della carriera di Hayao Miyazaki, il maestro dell’animazione giapponese dà alla luce Il ragazzo e l’airone infrangendo per l’ennesima volta la sua parola. Infatti anche questo film era stato preannunciato come l’ultimo di Miyazaki, ma sembra che in realtà il suo ritiro dal mondo del cinema sia ancora lontano.
“E voi come vivrete?” è la traduzione letterale del titolo giapponese, mutuato dal libro del 1937 di Genzaburo Yoshino, da cui però Miyazaki non trae neanche il soggetto, ma solo le tematiche filosofiche ed esistenziali, descrivendo lui stesso il film come un regalo e una testimonianza per suo nipote, dato che a detta sua “Il nonno se ne andrà presto nell’aldilà, ma si lascia alle spalle questo film”.
Il ragazzo e l’airone ha come protagonista Mahito, un ragazzo di 12 anni che nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, perde la madre a causa di un incendio all’ospedale di Tokyo, e fugge poi dalla città con il padre trasferendosi nella villa di un’isolata campagna giapponese. Qui, un anno dopo il tragico evento, il ragazzo è ancora tormentato dai ricordi traumatici della morte della madre, continuando a incolparsi per non essere riuscito a salvarla. Non riesce a integrarsi né a scuola né nella sua nuova casa, dove il padre si è risposato con la sorella (identica ma più giovane) della sua ex moglie, Natsuko, che lui non riesce a soffrire soprattutto dopo l’annuncio della sua gravidanza.
A completare l’opera di tormento del povero Mahito c’è un airone cenerino parlante, che continua a presentarsi da lui dicendogli che sua madre è ancora viva, e che per trovarla dovrà seguirlo e addentrarsi in una vecchia torre abbandonata, che le anziane signore del luogo gli proibiscono di visitare. Quando però a scomparire nella torre è Natsuko, recatasi lì quasi come in trance, Mahito parte prontamente, quasi senza pensarci, e si avventura nella torre insieme a una delle anziane signore che cercava di fermarlo. Qui il signore della torre designerà l’airone, contro la sua volontà, come guida del giovane Mahito, e farà sprofondare i due in un mondo magico che sembra trovarsi al di sotto di quello reale.
Il film, artisticamente parlando, è probabilmente la vetta più alta mai raggiunta dallo Studio Ghibli insieme al film-testamento di Isaho Takahata La storia della Principessa Splendente. Come dichiarato dal produttore Toshio Suzuki, entrambi i film hanno goduto di un budget pressoché illimitato e una lavorazione di circa 8 anni, contando anche la pre-produzione. I fondali sono incredibilmente dettagliati e risultano perfettamente in armonia con i personaggi, senza mai dare la sensazione di un distacco tra questi ultimi o gli oggetti in movimento.
Miyazaki inoltre azzarda soluzioni visive e di regia inusuali rispetto alla sua filmografia, quali effetti di movimento cinetici che deformano la realtà (come per la scena dell’incendio), aiutando ancora di più ad entrare nel caos non solo del mondo, ma anche dell’interiorità di Mahito. Per riuscire a fare tutto questo per la prima volta è stato impiegato anche un aiuto esterno da parte dello Studio Ponoc (fondato da ex-Ghibli), e per coprire gli immensi costi di produzione lo Studio Ghibli ha dovuto cedere il suo intero catalogo precedente a piattaforme streaming come Netflix e Prime Video.
L’opera è parzialmente autobiografica, e non a caso richiama molto i film precedenti del regista. Tra questi sicuramente Il mio vicino Totoro, per l’incipit del trasferimento in campagna a causa del trauma riguardante la madre, ma anche La città incantata per la costruzione di un mondo totalmente surreale che il protagonista deve esplorare come una sorta di Alice nel Paese delle Meraviglie. Nonostante il ritiro di Miyazaki sembri ancora una volta scongiurato, è indubbio che il maestro abbia attinto moltissimo alla sua filmografia precedente, anche solo a livello puramente citazionistico, come a voler ritrovare quei mondi fantastici che aveva quasi completamente abbandonato con Si alza il vento (tolte le scene dei sogni condivisi tra Jiro e Caproni).
Tutta la pellicola è inoltre pervasa da un’atmosfera lugubre e funerea, sebbene i colori rimangano accesi come per i film precedenti, come se questo mondo “oltre la soglia” fosse statico e immobile, quasi senza quella vita che poi verrà portata dai personaggi. Per il mood infatti le ambientazioni sembrano quasi uscite da un quadro metafisico di De Chirico, tanto che verso il finale un luogo ne citerà palesemente l’utilizzo della luce e delle architetture. Il ragazzo e l’airone poi è forse (insieme a Mononoke) il film più crudo e violento di Miyazaki, dove il sangue scorre senza problemi e la morte viene mostrata con tutte le sue “mutazioni” sul corpo dei malcapitati, in un mondo dove la violenza si scatena nel momento in cui i personaggi vi mettono piede, andando a destabilizzarne gli equilibri già precari.
Un mondo che vorrebbe essere perfetto – e quindi statico e immutabile – secondo gli intenti del suo creatore, ma che non riesce a rimanerci perché, come in ogni film di Miyazaki, la vita ha la meglio. Continuando anche il discorso sulla natura, come sempre molto caro al nostro Hayao, non è un caso che gli “antagonisti” siano specie invasive come i pellicani o, ancora meglio i parrocchetti (che hanno un design umanizzato tra i migliori mai visti su schermo), e che questi non vedano l’ora di trovare un momento adatto per prendere il sopravvento.
Ma se questa perfezione viene sempre messa in discussione, allora che senso ha cercare di mantenerla? Questo non porterebbe solo dolore? Ed è forse questo che Miyazaki vuole dirci con il suo ultimo film, un monito per le nuove generazioni (essendo, come un personaggio del film, ormai troppo vecchio per operare un cambiamento) nella costruzione di una società dove si possa abbracciare la complessità della vita senza standard assurdi, gli stessi che sembra recriminare a sé stesso nei confronti del figlio Goro; nella parte finale del film uno scambio di battute in particolare sembra essere proprio un atto di scuse nei suoi confronti.
Quello che poi per Miyazaki è sempre stato importante è il senso di comunità verso le altre persone, e l’empatia per esse al di sopra di qualsiasi cosa. Mahito in questo strano mondo incontrerà altri personaggi come la pescatrice Kiriko e la giovane strega Himi, e più la storia andrà avanti più il giovane sentirà di voler aiutare e proteggere questi personaggi, arrivando a includere anche il tanto odiato airone. È una narrativa che sposta sempre il focus centrale verso un nuovo personaggio, a dimostrare anche lo smarrimento di Mahito nel suo trauma: non avendo ancora accettato la “nuova mamma” tanto quanto la “nuova vita” è bloccato in un limbo pericoloso e senza uscita, privo dell’amore e dei sentimenti per chiunque. L’incontro con questi personaggi, inconsciamente, gli fa provare qualcosa, fino ad arrivare all’accettazione.
Anche se nel mondo accadono cose brutte, queste non invalidano la bellezza e l’amore che proviamo, e solo perché qualcosa finisce non vuol dire che non possa vivere per sempre nel nostro cuore, trasformandosi nell’amore per altri. È lì che arriva un finale netto, quasi straniante e atipico nella filmografia di Miyazaki, quasi a testimoniare come il futuro non sia più importante per l’autore nipponico, ma non perché vada trascurato o ignorato, quanto perché è importante prima venire a patti con sé stessi per poter andare avanti, in un avvenire che va accettato senza compromessi nella sua interezza, proprio perché impossibile da prevedere. Non c’è bisogno quindi di mostrare altro, qualsiasi cosa avverrà noi saremo felici: la nostra vita varrà sempre di essere vissuta.
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