Lies of P (PS5)

lies of p recensione

Voto:

L’anno scorso, più o meno in questo stesso periodo, uscì la mia recensione di Steelrising. Proprio quel gioco mi portò a dire che i souslike ormai erano diventati troppo onnipresenti nel contesto videoludico odierno, e ironia volle che pochi mesi dopo Elden Ring venne premiato come Game of the Year del 2022. Questo dimostra ancora una volta quanto il genere continui ad essere influente ed estremamente proficuo per chi crea i giochi, tant’è che anche quest’anno i cari soulslike non accennano a fermarsi.

L’inizio del 2023 è iniziato con Wo Long, proseguendo in estate con Remnant 2 (anche se qua la nomea di soulslike è molto forzata) e arrivando a settembre con Lies of P. Tra i titoli elencati, però, quest’ultimo è quello che è riuscito a catturare maggiormente l’attenzione dei giocatori, perché il concept alla base e le atmosfere al sapor di Bloodborne sono stati sufficienti per destare grande curiosità tra gli appassionati del genere e non solo.

È innegabile infatti che Lies of P abbia saputo vendersi ancor prima di mostrarsi davvero: già dai primi annunci e teaser il publisher e sviluppatore NEOWIZ ha alimentato abbondantemente l’hype attorno al gioco (e questo non è mai molto positivo). Negli scorsi mesi abbiamo anche avuto modo di mettere effettivamente le mani sul gioco attraverso una demo, che tuttavia presentava diverse sbavature. Ma ora, con la possibilità di giocare il prodotto finale, sarà riuscito lo studio sudcoreano a correggere il tiro e piazzare Lies of P tra i migliori esponenti del genere?

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Se siete estimatori dei soulslike o comunque conoscete le radici del genere, saprete che cercare di analizzarne la parte puramente narrativa è sinonimo di follia, ma non fraintendetemi. I titoli più blasonati sono sempre stati caratterizzati da una narrazione “passiva”, con le vicende raccontate in maniera perlopiù indiretta, ponendo una forte enfasi sulla lore. Quando alcuni sviluppatori hanno cercato di abbandonare questa formula, spesso ci siamo ritrovati davanti a prodotti non del tutto soddisfacenti (e qui ricito Steelrising), ma Lies of P si dimostra un’eccezione in questo senso.

Il gioco infatti è fortemente caratterizzato dalla sua componente narrativa “diretta”, con una storia ben raccontata e dei personaggi memorabili. Il racconto si ispira alla celeberrima fiaba di Pinocchio, che il team di sviluppo qui ha completamente reimmaginato, creando una versione alternativa delle avventure del burattino, ma riuscendo a conservare l’essenza di ciò che Collodi voleva trasmettere ai suoi lettori. La nostra avventura ha inizio nei panni di un automa senza memoria, che si risveglia in un mondo quasi distrutto, dove la tecnologia sembra essersi ribellata contri i propri creatori e a dominare è il caos. Una voce (la nostra fata turchina) ci guiderà aiutandoci pian piano a recuperare parte della memoria, e dopo esserci ricongiunti con i pochi sopravvissuti della città di Krat scopriremo che l’automa è il figlio (o meglio la creazione) di un tale Geppetto, un noto inventore e alchimista che ora sembra essere in pericolo. Il protagonista decide quindi di intraprendere un viaggio per salvare suo padre, un’avventura che però si rivelerà molto più grande, piena di guai, misteri e una miriade di colpi di scena.

Per ovvie ragioni non vi dico altro, ma ci tengo a puntualizzare di essermi trovato di fronte a una della storie meglio scritte per un soulslike. In più, sappiate che la storia di Lies of P riserva delle sorprese gigantesche per quanto riguarda il futuro di questo titolo. Ma se il comparto narrativo è pienamente da promuovere e applaudire, non si può dire lo stesso del gameplay.

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Sebbene la storia, il worldbuilding e la direzione artistica generale siano a un ottimo livello, infatti, i problemi più grandi emergono quando si prende il pad in mano. Purtroppo ci sono delle mancanze troppo evidenti e a tratti frustranti anche solo per la tipologia di gioco: sono anni che gioco ai soulslike finendoli al 100%, che analizzo il genere e cerco di trovarne validi esponenti, e raramente mi sono imbestialito così tanto come di fronte alla mancanza di bilanciamento di Lies of P. Il punto è che si è cercato di importare meccaniche viste altrove concentrando il fulcro del gioco su di esse, senza però curarne adeguatamente nessuna.

Faccio un esempio col parry: tecnicamente si tratta di un classico sistema già visto mille volte, FromSoftware ne è maestra in quanto ha saputo trovare la formula per renderlo soddisfacente (come in Sekiro). Quello che fa Lies of P è riprendere la stessa formula, senza però aggiustare a dovere la finestra di parry, e non dando nemmeno alcuna possibilità al giocatore per “migliorarla”. Provare a fare riposte qui è un po’ giocare d’azzardo: in circa 30 ore di gioco è stato più unico che raro fare delle deviazioni riuscite, in quanto non solo ogni nemico ha (giustamente) dei pattern d’attacco differenti, ma ogni millimetro dell’arma avversaria ha persino dei punti di deviazione totalmente diversi. Capirete che elaborando un sistema così “complesso” ci si ritrova a ritrova a penalizzare gravemente l’esperienza del gioco. Non c’è assolutamente bilanciamento, e questo incide su tutto l’impianto ludico.

Lies of P soffre anche di una serie di sezioni che sembrano sviluppate apposta con lo scopo di far saltare i nervi. La struttura generale dei livelli (tra scorciatoie e posizione dei nemici) è totalmente caotica, rendendo l’esperienza frustrante anche quando si inizia a capire cosa sta succedendo. Per capire bene a cosa mi riferisco, ricordate Dark Souls 2 vanilla? Lì ogni singolo passaggio era caratterizzato dalla struttura “corridoio – imboscata nemica – miniboss and repeat”, tremendamente ripetitiva e ingiusta. Purtroppo la stessa cosa accade in Lies of P, per tutta la durata dell’avventura: un level design approssimativo e mal gestito come pochi se ne vedono in giochi del genere. Contando anche il fatto che quasi tutti boss usano tattiche a dir poco dozzinali tra effetti di stato e seconde fasi proprio per far snervare il giocatore, le cose chiaramente non funzionano come si deve.

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Ciò comunque non vuol dire che tutto il gameplay di Lies of P sia da buttare. La varietà dei nemici, l’unicità dei boss e anche di certe zone, invoglia il giocatore a proseguire ed evidenzia l’impegno profuso nella direzione artistica. Il gioco poi riesce ad ergersi sopra la media grazie a una marea di strumenti e opzioni che permettono di creare svariate build in grado di alterare il gioco, una serie di secondarie ben strutturate che ampliano la storia e un’ottima longevità. Piccola nota sulle secondarie: è la prima volta che vedo una struttura generale così ben gestita e per niente caotica (almeno nel genere); difficilmente in Lies of P ci si perde nel capire con chi parlare per avanzare, a chi dare un determinato strumento o cosa fare per salvare certi personaggi.

Poi ci sono gli aspetti più particolari del gioco, che consistono nel sistema di bugie e la durevolezza delle armi. Nel primo caso si tratta di un semplice sistema di scelte, che però altera in maniera diretta la narrazione del titolo portando a finali alternativi e scontri con alcuni boss totalmente diversi; un elemento che rende la struttura di gioco molto vicina ad un classico GDR, senza però perdere di vista gli elementi soulslike. Per quanto riguarda il sistema di durevolezza, questo ci imporrà di stare attenti a come usiamo le nostre armi, poiché si potranno deteriorare infliggendo minori danni o addirittura rompendosi del tutto, lasciandoci indifesi; l’attenzione verso questo aspetto renderà il gameplay più dinamico.

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Dal punto di vista tecnico non c’è tanto da criticare né da lodare. Lies of P è un classico prodotto cross-generazionale, dove l’ottimizzazione è più che buona e generalmente la pulizia grafica è resa bene. La versione da me provata è stata quella PlayStation 5, dove ho potuto godere di una risoluzione di 2K con un frame rate quasi sempre inchiodato a 60. Il gioco offre anche altre opzioni come una qualità grafica migliore a discapito dei frame o viceversa. I modelli poligonali rendono benissimo, ma nulla di sbalorditivo. Anche per quel che riguarda l’illuminazione siamo di fronte a un prodotto ben ottimizzato, con bei giochi di luci e ombre. Per quanto riguarda i controlli, tolta l’effettiva legnosità del sistema di parry e di schivata mi è sembrato tutto responsivo; a volte ho avuto leggeri delay nei comandi per certe azioni, ma niente in grado di rovinare l’esperienza generale di gioco.

In merito al comparto sonoro, Lies of P sicuramente si posiziona tra le produzioni meglio gestite e curate, con un doppiaggio (tutto inglese) solido che rende ogni personaggio credibile e unico, e una colonna sonora stupenda. Tra i brani delle boss fight e quelli ascoltabili nell’HUB del gioco, il gioco merita davvero un applauso.

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Lies of P è decisamente un gioco da non sottovalutare: pur peccando in un gameplay difettoso e mal bilanciato, dal punto di vista del comparto narrativo e della direzione artistica è una perla. Se apprezzate le avventure steampuk, fiabesche e siete disposti ad accettare dei compromessi dal lato puramente ludico, questo gioco è un must play; se invece cercate qualcosa come “l’erede di Bloodborne” o un nuovo standard per i soulslike, rischiate di rimanerne alquanto delusi.




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Il soggetto è particolarmente irritabile quando non sta in mezzo al proprio habitat che coinvolge la scrittura, i videogiochi, la musica (preferibilmente Metalcore) e il Wrestling. Suggeriamo di rinchiuderlo in una stanza piena di console, album dei Pantera (all'occorrenza degli Slipknot) e prodotti legati al Wrestling. Da liberare solo in caso di estremo bisogno!

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