The Menu, quando l’élite uccide l’arte

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Mark Mylod, autore di commedie di dubbio gusto come Ali G e (S)Ex List, non è mai stato un regista degno di nota. Dopo aver lavorato per diversi anni in televisione – curando episodi sparsi di serie come Game of Thrones Shameless – torna a occuparsi di cinema con The Menu, ennesima commedia satirica – stavolta dalle tinte horror – che spicca tra le uscite recenti per la presenza di Ralph Fiennes (No Time to Die, The King’s Man – Le Origini) e Anya Taylor-Joy (Ultima Notte a Soho, The Northman) tra i protagonisti.

Senza dubbio, a renderla ancor più accattivante sono le premesse di trama: Tyler (Nicholas Hoult) e Margot (Anya Taylor-Joy) sono una coppia di amici. Il primo va matto per la cucina ricercata e trascina la donna su Hawthorn Island, una fiorente isola fittizia nel Pacifico per mangiare – al modico prezzo di 1250 euro di coperto – nel ristorante del celebre chef Julian Slowik (Ralph Fiennes). Il flemmatico cuoco ha preparato un menu per pochi eletti, e questi ultimi non sono altro che il resto degli invitati: tre giovani fratelli esperti di finanza (Arturo Castro, Mark St. Cyr e Rob Yang), una coppia anziana e benestante (Reed Birney e Judith Light), una critica gastronomica (Janet McTeer) e il suo direttore senza spina dorsale (Paul Adelstein), un vanaglorioso regista di mezza età (John Leguizamo) con la sua capricciosa assistente (Aimee Carrero).

Come ogni thriller che si rispetti, il locale di Slowik – dove la maggior parte vicende sono ambientate – cela insondabili segreti che piano piano vengono a galla nel corso della serata, una serata all’insegna della tensione crescente, scandita dal sopracitato menu che diventa sempre più scioccante e imprevedibile.

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Sin da subito si intuisce che qualcosa non quadra: il personale dello chef – capitanato dalla frigida Elsa (Hong Chau) che ha occhi e orecchie dappertutto – è costretto a lavorare dalle 6 del mattino alle 2 di notte e si presenta asettico ed eccessivamente formale. Fredda e sterile è anche la struttura che ospita tutti i personaggi, a metà tra il brutalismo e il design minimale contemporaneo. Non è un caso quindi che le pietanze offerte siano marcatamente fusion e abbraccino l’innovativa cucina molecolare. A questo proposito, The Menu non è un titolo casuale: le varie portate dividono in capitoli la pellicola, configurando il tutto come un’esperienza immersiva per lo spettatore e i ricchi avventori del ristorante. Questi ultimi non sono chiamati a mangiare ciò che si trovano davanti, bensì ad assaporarlo, lasciandosi cullare dai paroloni di Julian Slowik che infiocchettano i momenti salienti della cena.

L’uomo è molto ben caratterizzato e sfaccettato nel suo elegante istrionismo, soavemente laconico e inquietante, portato in scena da un Ralph Fiennes in grande spolvero che riesce persino a suscitare simpatia. Slowik presenta ogni piatto con brevi ma magnetici monologhi: non mancano specialità concettuali come del “pane senza pane” o delle tortillas dedicate a ogni invitato; delle vivande che godono di un significato non casuale e sono indissolubilmente legate da un filo rosso da svelare. Chi è davvero il cuoco stellato? Ha forse un piano nascosto? Se sì, qual è il tema portante, la storia dietro al suo menu? È innegabile che le vicende narrate instillino una curiosità quasi morbosa che si mantiene costante fino alla fine, così come l’inquietudine. Gli avvenimenti sempre più macabri che si susseguono a Hawthorn Island sono solo una farsa o è tutto spaventosamente reale?

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L’atmosfera tesa viene egregiamente smorzata dalla comicità pungente veicolata da Tyler, Margot e comprimari. I primi due sono due compagni caratterialmente opposti: Nicholas Hoult (Deadpool 2, X-Men – Dark Phoenix) veste i panni di un ometto apparentemente ingenuo, impacciato e accecato dall’ammirazione che prova per Slowik; un fanatismo che lo porta egoisticamente a non curarsi degli eventi terribili che lo circondano, preferendo fotografare il cibo per vantarsi sui social. La bravissima Anya Taylor-Joy, al contrario, è una donna sagace e dalla lingua tagliente che non si lascia ingannare dalle sfarzosità del ristorante: il suo rifiuto di mangiare – giustificato da precisi ideali che verranno approfonditi a breve – attira l’attenzione dello staff. Una coppia che esemplifica perfettamente lo scontro filosofico tra cieca idolatria e razionalità pragmatica.

Un dualismo su cui si basano i molteplici messaggi del film insieme alle letture possibili per decifrarlo. The Menu è innanzitutto una critica a tutto ciò che c’è di pretenzioso nell’arte, non solo nella cucina. Quest’ultima è una disciplina ferrea sospesa tra invenzione e improvvisazione. L’impegno puro e formidabile di certi chef ha stregato Mylod e ha così deciso di imprimere su pellicola questa abnegazione totalizzante. Allo stesso tempo, tuttavia, questo andazzo può generare forme d’arte – prevalentemente performative – riservate alla sola élite, una classe sociale incontentabile.

Qual è quindi lo scopo dell’artista? Fin dove il suo amore, la sua ossessione, il suo dolore devono spingersi per dare vita ad un capolavoro? Tutti dubbi nati proprio a causa dei personaggi della storia: i consumatori agiati, i critici borghesi, gli influencer che impugnano le redini del mercato e che hanno rovinato l’arte e – di conseguenza – le vite di chi la produce. L’industria fagocita le menti e spinge a creare sempre qualcosa di inedito, fino a perdere qualsiasi libertà. Un creativo si trova davanti tanti dilemmi: è meglio costruire qualcosa di autentico e soddisfacente o qualcosa di destrutturato e artificioso? Cucina molecolare o cheeseburger del McDonald’s? Meglio contemplare i vacui sofismi della critica o essere felici della propria carriera?

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In soli 106 minuti dal ritmo pazzesco, quest’opera orchestra un discorso assai vasto e poliedrico, conducendo un’analisi che porta a chiedersi cosa sia l’intrattenimento oggigiorno, cosa è diventato e cosa sarà in futuro. Non manca un approfondimento sul consumismo e sul modo in cui, appunto, consumiamo un prodotto. Con un’intelligente metafora, l’ottima sceneggiatura di Seth Reiss e Will Tracy ci mette in guardia: chi è abituato a fruire solo di certe forme artistiche ricercate si distruggerà il palato e non sarà più in grado di sentire i sapori più umili. Un messaggio che personalmente mi ha colpito nel profondo, dal momento che conosco anche io persone snob così avvezze al cinema d’essai da non riuscire più a godere di prodotti commerciali (spesso più meritevoli di ciò a cui sono assuefatti).

Il dramma, grazie a una trama lineare con risvolti ben distribuiti in una sola ambientazione dalla precisa identità, è vicino a capolavori come Ratatouille della Pixar e Parasite di Bong Joon-ho (assomigliando ad un curioso mix tra i due). È un prodotto che sorprende nonostante sia possibile intuire dove vuole andare a parare, tutto merito della profondità dei contenuti appena discussi. Ciliegina sulla torta è il comparto tecnico in cui brillano le splendide musiche di Colin Stetson (Hereditary, Texas Chainsaw Massacre) e i dettagli dedicati ai piatti del famigerato menu. Non mi sorprenderebbe scoprire che alcune eleganti soluzioni di regia siano state suggerite dal talentuoso Alexander Payne (Nebraska, Downsizing) che avrebbe dovuto firmare l’intero lungometraggio al posto di Mark Mylod. Quest’ultimo – che ha dimostrato comunque una buona mano – gli è subentrato nel 2020 quando Payne ha dovuto abbandonare il progetto.

The Menu non è certamente il thriller più atipico che vedrete quest’anno, ma è senza alcun dubbio memorabile per messa in scena, recitazione e morale. Un film inaspettato e imperdibile che sarà nelle sale italiane dal 17 novembre grazie a Searchlight Pictures. Siete pronti ad assaporarlo?




Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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