Finch, il film post-apocalittico di Apple TV+ con Tom Hanks

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Voto:

Siamo abituati a vedere Tom Hanks da solo. Lo abbiamo visto chiacchierare su un’isola deserta con un pallone e aggirarsi in un enorme e deserto terminal. Forse proprio per questo ci aspettiamo sempre interpretazioni di grande umanità, da parte sua: diciamocelo chiaro e tondo, quale momento migliore per essere profondamente umani, sinceri, senza difese, se non quando siamo lontani da occhi indiscreti e possiamo lasciar cadere la maschera quotidiana? E, in un certo qual modo, troviamo Hanks da solo anche in Finch, il nuovo film di Miguel Sapochnik in esclusiva per Apple TV+.

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Il film si apre con uno dei più classici scenari post-apocalittici e subito fa i conti con l’eredità di McCarthy inquadrando, di sfuggita, un carrello della spesa ravvicinato e ribaltato, sepolto dalla sabbia. Il mondo per come lo conosciamo è finito (ancora una volta!) e gli esseri umani devono fare i conti con l’ostilità di un’ambiente dove anche il sole stesso è nemico. Se nei film citati prima Tom Hanks in qualche modo si ritrova in una solitudine forzata, in Finch il protagonista brama questo status di atipico animale asociale, convinto, da un background abbastanza scontato, che gli umani rimasti e incattiviti dal nuovo prototipo di civiltà siano il vero nemico.

A fargli compagnia ci sono un cane e (dopo la prima decina di minuti di film) un robot da lui creato. Jeff, questo il nome del robot, risponde alle tre leggi di Asimov della robotica, ma con una quarta aggiunta: la sua priorità non è solo impedire che gli umani vengano lesi, ma anche difendere a ogni costo il cane, Goodyear, l’unico essere vivente che sembra aver fatto breccia nella dura scorza di Finch (che non è solo il titolo del film, ma anche il nome del personaggio di Tom Hanks). Un’imminente e nefasta tempesta costringe la cricca ad abbandonare il rifugio sicuro, in cerca di un nuovo posto in cui rintanarsi. Proprio così parte il canonico viaggio on the road, che ci porterà a scoprire non solo meglio i personaggi principali, ma anche questa nuova Terra pericolosa e inabitabile.

Finch Goodyear e Finch

Tutto ciò sembra formare un mix abbastanza solido, magari non sbalorditivo, ma almeno capace di stare in piedi sulle proprie gambe. In realtà, purtroppo, Finch non riesce granché. Lo sviluppo è alquanto prevedibile, non si ha mai la voglia di scoprire cosa succederà perché è tutto già scritto, tutto già predisposto e la strada intrapresa non accetta alcun tipo di volo pindarico o cambio di rotta. I tre atti sono chiari, scanditi da macro-eventi scontati fin dai primi minuti.

Il vero problema, però, risiede nella scrittura, fin troppo retorica e, in alcuni momenti, sdolcinata all’accesso, quasi da risultare implausibile. Dopotutto le scene di raccordo, così capillari e fondamentali per suggellare relazioni e dare spessore ai personaggi, sono le più difficili da scrivere, ed è facile scadere in retorica spicciola o inelegante. Questo, purtroppo, è quello che succede ripetutamente, fino all’inevitabile finale di speranza.

Finch crea Jeff

Altra cosa che fa storcere un po’ il naso è la gestione di Jeff, il simpatico robot chiacchierone compagno di viaggio di Finch. Il personaggio cambia modo di essere a seconda delle necessità narrative, comportandosi a volte da impacciato robot, altre volte in maniera molto umana, senza uno sviluppo che sia graduale e giustificato. Si va a infrangere quel patto con lo spettatore che si instaura sempre all’inizio delle storie, quando si dettano le regole dei mondi e l’essenza dei personaggi. Jeff, in qualche modo, è destinato a diventare umano, ma questo cambiamento è forzato, fatto di inversioni momentanee.

Il patto viene tradito anche in un altro momento, che non anticipo per non rivelare troppo della trama, ma che a un certo punto costringe inevitabilmente lo spettatore a farsi delle domande. Non tocchiamo, per favore, la sequenza delle cadute di Jeff con Sing, Sing, Sing di sottofondo al limite della slapstick più retro che vi possa venire in mente.

Anche nella regia, si fa il minimo indispensabile. Il film ci mostra sì campi favolosi e ambienti interessanti, ma poco di più. Non gioca, non osa e, salvo in pochissime occasioni, non appaga. In definitiva, un’idea che poteva essere sfruttata meglio e che lascia un po’ il sapore dell’insoddisfazione, della possibilità mancata. Sarà che i film con i cani sono sempre difficili da azzeccare.

Nasce a Firenze nel '91, è autore di fumetti e docente di storytelling all'accademia di cinema di Firenze.

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