Dark – Un’analisi critica e filosofica dell’enigmatica serie Netflix

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È giunta al termine, dopo tre stagioni, una delle migliori produzioni televisive degli ultimi anni e sicuramente la migliore mai vista su Netflix.

Dark non ha riscosso subito il plauso di pubblico e critica, la prima stagione è passata abbastanza in sordina, pur essendo apprezzata dai pochi spettatori. È con l’uscita della seconda stagione che la serie scoppia sulla piattaforma, complici sia un marketing aggressivo altamente collegato alla narrazione (data di uscita della serie in date cardine della storia), sia l’effettiva presa di coscienza del pubblico di star guardando qualcosa di veramente impressionante, nonostante il rischio, sempre presente in questi casi, di forzato apprezzamento o disprezzo per i motivi sbagliati, riconducibili troppo spesso a “non si capisce un cazzo”.

In questo articolo il mio intento principale sarà quello di andare ad analizzare, insieme alla filosofia che permea tutta la narrazione, i motivi per i quali la serie sia non solo comprensibile, ma anche sensata e piena di dettagli e soluzioni narrative geniali.

Prima di proseguire, mi preme avvisarvi che l’articolo contiene spoiler su tutte le stagioni di Dark.

La filosofia di Dark tra Nietzsche e Schopenhauer

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Dark nasce chiaramente come figlia illegittima di Twin Peaks, come un po’ tutte le serie tv moderne, anche se qui i rimandi all’opera di David Lynch sono, almeno nella premessa, più espliciti. Abbiamo una cittadina fittizia sperduta, dove tutti gli abitanti si conoscono; sotto una facciata di buone intenzioni però si nascondono numerosi segreti e intrighi, molti dei quali gravitanti intorno ad un punto di interesse, la centrale nucleare (la segheria in Twin Peaks), ed infine la sparizione di un ragazzo, Erik Obendorf, il motivo scatenante della trama.

La serie di Lynch però mescolava la pura soap opera ad elementi onirici e surreali, mentre Dark si muove in un territorio molto più fantascientifico e verosimile, trattando i viaggi temporali con un’originalità ed una cura mai viste prima d’ora e riuscendo ad essere coerente fino alla fine, senza inciampare in contraddizioni logiche; questo è possibile grazie ad una filosofia di base ben fondata, che non vede il viaggio nel tempo come un espediente, ma come meccanica fondante della narrazione.

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Il tutto è fondamentalmente ispirato all’eterno ritorno di Nietzsche, teoria filosofica secondo la quale il tempo non è altro che un ciclo infinito di ripetizioni degli stessi eventi, fissi e necessari, come dannazione dell’uomo, costretto a ripercorrere per sempre i suoi passi. Soprattutto nella terza stagione, questo concetto di “eterna predisposizione” viene ampliato con una frase di Schopenhauer che considero esplicativa della serie stessa: “Un uomo è libero di fare quello che vuole, ma non è libero di volere quello che vuole“; una chiara dichiarazione d’intenti da parte degli sceneggiatori, che sono andati a costruire un universo narrativo immutabile ed imperturbabile, ma che riesce sempre a stupire lo spettatore.

Volendo ancora soffermarsi sulla filosofia in senso stretto, lasciando per dopo un’analisi più approfondita dei viaggi nel tempo, un altro tema cardine della serie è sicuramente il senso di colpa. Grazie alla non-linearità dei rapporti causa-effetto si riescono a creare situazioni paradossali, nelle quali questo tema viene sviscerato con ancora più potenza, mostrando le colpe dei padri e dei figli. Tornando ai due filosofi, parliamo di un senso di colpa che annichilisce totalmente le possibilità dell’uomo il quale, non riuscendo a perdonare né gli altri né se stesso, è per sempre vittima ed artefice del proprio destino, senza la possibilità di poter guardare oltre, accecato dai propri fardelli.

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Proprio il perdono e l’autoaccettazione saranno i temi cardini del finale, la conclusione di un viaggio dannato che da sempre si svolge nello stesso modo, che ha generato un tumore inestirpabile, se non tramite la presa di coscienza della propria parte nel tutto, una non centralità assoluta. Ogni piccola parte ha senso nel mosaico finale, ma da sola è perduta e pecca di superbia nel sopravvalutare il proprio ruolo ed autoconvincersi che la strada sia solo una. Senza poter scegliere cosa volere, l’uomo ricade per sempre nei suoi rimpianti, non riuscendo a liberarsene per poi andare avanti.

Le meccaniche dei viaggi nel tempo

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Arrivando finalmente ai viaggi nel tempo, il bello di Dark sta proprio nella loro costruzione assolutamente pensata in partenza, con regole ferree che garantiscono una coerenza interna senza eguali tra le serie che affrontano lo stesso tema. Partendo dalla prima stagione, i 3 cicli di 33 anni ciascuno sono fissi ed è possibile viaggiare solo in quelle date prestabilite: 2019, 1986 e 1953, riuscendo così a mantenere comprensibili tutti gli eventi che vedremo a schermo. Inizialmente ci si potrebbe trovare disorientati, venendo mostrati gli stessi giorni in 3 epoche diverse con gli stessi personaggi (magari interpretati da attori differenti per via delle diverse età), ma appena si entra nella logica della serie la comprensione viene da sé, purché mastichiate questo tipo di fantascienza da un po’.

Essendo tutta la storia di Dark un enorme ciclo dove la fine e l’inizio coincidono, le stesse stagioni sono dei cicli prestabiliti che si svolgono in date prestabilite. La messa in scena si svolge pensando a noi come osservatori di questo enorme circo immutabile che da sempre si svolge allo stesso modo, assumendo che quello che guardiamo noi si stia svolgendo per l’ultima volta, dal momento che il finale rappresenta un modo per sciogliere questo “nodo“, come viene chiamato nella terza stagione. Inoltre, grazie ad una sceneggiatura ben scritta già dall’inizio, la serie riesce sempre a cambiare le carte in tavola aggiungendo qualche nuova “meccanica” ai viaggi temporali, che vanno così a rendere ancora interessante qualcosa che altrimenti si sarebbe esaurito facilmente in una singola stagione.

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Già dalla seconda stagione il viaggio diventa possibile non più solamente nelle epoche adiacenti, ma libero, purché il salto sia comunque di 33 anni, portando poi ad un cliffhanger che ha tenuto tutti con il fiato sospeso per un anno, andando ad introdurre il concetto di “mondi paralleli“, sviscerato con assoluta maestria nell’ultima stagione. Se infatti questo tema è la rovina della maggior parte delle serie che fanno del viaggio nel tempo la propria base, poiché nulla diventa più importante e rilevante se qualsiasi scelta genera infiniti percorsi, Dark nonostante tutto riesce a rimanere coerente alla sua immutabilità.

Questo è possibile soprattutto perché di mondi paralleli ne vengono fatti esistere solo 2 (anche se i più attenti avranno capito che il numero magico di questa serie è il 3), interconnessi in un singolo momento della trama, facendo in modo che il loop si propaghi generando contemporaneamente entrambi gli scenari. Così non si forma più un cerchio, in cui gli eventi procedono in fila dall’inizio alla fine per poi ripetersi, ma una sorta di nastro di Moebius, nel quale bisogna percorrere entrambe le facce della linea (superiore ed inferiore) per completare il loop.

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Una soluzione assolutamente originale e geniale che mai nessuno aveva messo in scena prima d’ora, che rende parte dello stesso ciclo interconnesso non solo epoche e personaggi, ma anche mondi con scelte apparentemente diverse che alla fine non sono altro che parte del tutto. Così facendo i personaggi, anziché risultare irrilevanti come nelle classiche rappresentazioni del multiverso, vengono resi ancora più sfaccettati ed approfonditi, dato che anche il mondo parallelo è costruito secondo la logica che una persona di base abbia sempre la stessa natura.

Ci viene mostrato come, anche in situazioni diverse, i personaggi compiano azioni perfettamente coerenti con i loro stessi che avevamo già conosciuto: esemplare il caso di Ulrich, che nel primo mondo tradisce la moglie Katarina con Hannah, la madre di Jonas, mentre nel secondo mondo è sposato con Hannah dopo essersi separato con Katarina, ma la tradisce ugualmente con Charlotte.

Un finale che lascia il segno

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Non essendo questa una recensione, finora non si è accennato al lato tecnico della serie, ma se l’avete vista non vi saranno assolutamente sfuggite la fotografia e la regia fantastiche, con un utilizzo del montaggio alternato e dello split screen in modi assolutamente originali. Il tutto inoltre è coadiuvato da una colonna sonora dark ambient assolutamente perfetta e presentissima nelle puntate, anch’essa volta a sottolineare l’inevitabilità di certi eventi, come ad esempio il montaggio musicale verso la fine della puntata, con una canzone che racchiude il significato di tutto quello che abbiamo visto fino a quel punto.

Non penso sia esagerato affermare che Dark abbia uno dei finali più impattanti degli ultimi anni delle serie tv (eliminando ovviamente dalla competizione Twin Peaks – The Return), trattandosi di un’opera superiore a qualsiasi cosa mai messa in scena per la televisione, che riesce a tirare le fila di tutte le sottotrame generate in 3 anni. Fantastica in particolar modo la penultima puntata, che va ad unire tutti i puntini riuscendo, senza spiegoni, a colmare i vuoti creatisi per 3 stagioni. Il modo in cui si arriva poi alla conclusione è l’unico plausibile, con una presa di coscienza amara ma inevitabile: è possibile cambiare le cose solo lasciandosi il passato alle spalle, smettendo di ripetere gli stessi sbagli e farsi accecare da essi, guardando oltre i propri limiti per perdonare e ricominciare con davanti un foglio bianco, non più viziati dagli errori.




    Lorexio Articoli
    Professare l'eclettismo in un mondo così selettivo risulta particolarmente difficile, ma tentar non nuoce. Qualsiasi medium "nerd" è passato tra le sue mani, e pur avendo delle preferenze, cerca di analizzare tutto quello che gli capita attorno. Non è detto che sia sempre così accurato però.

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