Esiste una netta linea di demarcazione tra semplificazione e semplicità. Se la prima tende a sottrarre elementi in favore della facilità, la seconda ha il potere della naturalezza, pur senza rinunciare alla responsabilità di essere profonda. Lo sanno bene i ragazzi di The Gentlebros, che con la serie Cat Quest hanno creato esperienze leggere, apparentemente superficiali, ma che nascondono più saggezza di game design di quanto non sia possibile osservare ad una rapida occhiata, plasmando nel frattempo un mondo coloratissimo, scanzonato e divertente. Il paradigma ludico con il quale gli sviluppatori hanno conquistato critica e pubblico negli anni torna questa estate in Cat Quest III, un capitolo che già dalle prime ore segna un netto passo avanti rispetto al passato.
Pur rimanendo entro lo spirito della serie di riferimento, sembra che questa nuova iterazione si spogli delle ormai troppo corte vesti della produzione mobile, conquistando a livello ludico il carattere necessario per paragonarsi a produzioni ben più blasonate. Raccolgo le mie impressioni su 4 dense ore di gioco, durante le quali ho potuto esplorare la prima area e avere un assaggio della storia principale.
Ambientato nel variopinto arcipelago dei Gattaraibi, le premesse narrative di Cat Quest III non si allontanano dalla tradizione di una scrittura semplice, mero canovaccio ed espediente per una esplorazione libera del mondo di gioco. Nei panni di un felini-bustiere ci imbarcheremo in un viaggio sulle tracce della stella polare, tesoro inestimabile le cui origini si perdono nel mito, e affondano gli artigli felini nella leggenda. Fa gola mettere le zampe sul bottino anche al Re dei Pi-ratti e la sua spietata ciurma, quasi certamente la nostra nemesi durante l’avventura.
Il tono scanzonato delle scene del prologo e quelle di intermezzo, ben animate, strappa già da subito qualche risata immergendo il giocatore in un’atmosfera piratesca leggera ma carica di fascino, in cui il mondo 2.5D della serie fa ruggire (miagolare di felicità) i colori al quale ci ha abituato. Protagonista assoluto di questo capitolo è il mare, che è anche elemento e novità di gameplay: potremo navigare con il nostro fido vascello in lungo e in largo per la mappa, esplorando e saccheggiando tutto ciò che ci capita a tiro. Le sezioni in mare e quelle a piedi si alternano fluidamente senza soluzione di continuità, grazie a un gameplay immediato ed efficace, che preciso e responsivo nei comandi restituisce un ottimo feedback pad alla mano, sia facendo a cannonate con i Pi-ratti di turno che tirando di spada.
Le novità rispetto alle iterazioni precedenti della serie però non si esauriscono qui, e tutte contribuiscono all’impressione che le architetture di game design tipiche del gioco di ruolo hack’n’slash, le cui complessità sono state sempre sacrificate in nome dell’immediatezza, qui si intreccino più armoniosamente che in passato con il gameplay e l’estetica di gioco.
Sparisce il livello suggerito per affrontare le missioni, così come la loro indicazione sulla mappa. Per accettare quest dovremo necessariamente interagire con gli NPC sparsi per le isole, meccanica che rende stimolante ma anche più pericolosa l’esplorazione, aumentando (per quanto sia possibile nei panni di un gatto) l’immedesimazione in un pirata che può raccontare storie sulle emozionanti avventure vissute in mare aperto. Coerentemente, il gameplay durante i combattimenti a terra si aggiorna sostituendo i classici indicatori del colpo simil-MMO con blink visivi ed effetti sonori; le armi sembrano avere ognuna una animazione dedicata e durante i combattimenti è possibile switchare da quelle melee alle ranged, donando varietà ad un combat system come sempre solidamente semplice, ma qui ancora più rifinito.
Anche per la componente ruolistica possono essere osservati passi in direzione di un’identità estetica e ludica più a fuoco, nonché aggiustamenti in termini di quality of life. Il loot sparso per le isole sembra invogliare la costruzione di una build più definita e ponderata che in passato, complici le abilità passive del vestiario e di particolari amuleti. Se le statistiche del personaggio come da tradizione salgono automaticamente al level-up, si possono migliorare magie, armature e armi presso luoghi appositi oppure trovando “doppioni” in giro per la mappa.
È ovviamente troppo presto per tirare somme sul bilanciamento e sulla difficoltà dell’esperienza, ma credo che gli sviluppatori si siano allineati sulle produzioni precedenti, limando ed espandendo una formula già convincente. Bastano le poche ore di gioco all’attivo per capire come anche questa volta l’aspetto visivo e artistico giochi un ruolo centrale nella produzione, e sono rimasto piacevolmente colpito dai dungeon e dagli interni in generale della prima zona: tutti ben disegnati, donano ancora più carattere piratesco e identità a una produzione che fa dell’estetica il suo punto di forza.
Cat Quest III sarà disponibile ufficialmente dall’8 agosto per PC e console, e a due mesi dal lancio la build da me provata non ha prestato il fianco a magagne tecniche, né a bug di sorta. The Gentlebros prova a far sue meccaniche prima prese solo in prestito dai capisaldi del genere, ma con la stessa leggerezza e semplicità che li ha contraddistinti nel panorama. Presto vedremo se l’esperienza si manterrà equilibrata e stimolante, soprattutto in direzione di un gameplay che mi è sembrato molto più stratificato. Rimane per il momento una certezza: non vedo l’ora di solcare nuovamente il mare dei Gattaraibi!
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