The Fabelmans, la magia del cinema attraverso la vita di Spielberg

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Fin dall’alba dei tempi, arrivati alla vecchiaia gli uomini hanno sempre guardato indietro verso la loro storia personale, ricordando la giovinezza con un filtro di nostalgia e tenerezza, in cui i ricordi positivi e negativi si mescolano diventando un grande sentimento unico. I registi hanno spesso trasposto questo sentimento su pellicola, raccontando parallelamente alla propria infanzia com’è nato l’amore per il cinema – alcuni esempi celebri possono essere Nuovo Cinema Paradiso o il più recente È stata la mano di Dio – in film che sono spesso considerati come un testamento artistico.

È sicuramente questo il caso di The Fabelmans, il nuovissimo film di Steven Spielberg a un solo anno di distanza dal suo remake di West Side Story, in cui il regista ripercorre la sua giovinezza raccontando approfonditamente (tramite alter-ego) tutti gli aneddoti dei suoi esordi come filmmaker, mentre in parallelo riesce anche a disegnare un ritratto familiare dell’epoca assolutamente autentico, in cui a brillare sono proprio i personaggi che lo compongono.

the fabelmans famiglia

Affiancato dal fedele sceneggiatore Tony Kushner, che ha già collaborato con lui in Munich, Lincoln e il già citato West Side Story, Spielberg riesce a condensare anni e anni della sua vita in circa 2 ore e mezza, che però sembrano volare davanti agli occhi sia per la potenza empatica che il film riesce a generare, sia per la potenza delle immagini, evocative e poetiche. Nonostante queste premesse, il tono del film però non è mai paternalistico o morale, anzi, Spielberg sembra ridere dei suoi problemi d’infanzia, permeando il tutto con un’aria da commedia che riesce a far anche più che sorridere.

Allo stesso tempo, i veri drammi familiari che accadono non sono né banalizzati né enfatizzati, risultando così fortissimi e carichi di emotività nel loro realismo. Il regista che ci ha sempre abituato ad una fantasia sconfinata in questo caso riesce a mantenere i piedi per terra con una storia piccola e intima, che però conserva il tema della meraviglia, della creatività e della fantasia proprio grazie all’elemento magico del cinema: un giocattolo bellissimo di cui il nostro protagonista si innamorerà e che lo porterà a incontri e situazioni assurde – ma comunque reali – facendoci subito riconoscere il regista di Incontri ravvicinati del terzo tipo.

La famiglia Fabelman è il classico nucleo familiare di quattro persone: la madre Mitzi (Michelle Williams), il padre Burt (Paul Dano), la sorellina Anne (Julia Butters), e Sammy (Gabrielle LaBelle), l’alter-ego di Spielberg, che vivono nella periferia del New Jersey negli anni ’50 insieme a Bennie (Seth Rogen), amico di famiglia che i figli considerano come uno zio. Quando all’età di sei anni i genitori portano il piccolo Sammy a vedere per la prima volta un film al cinema (The Greatest Show on Earth), il piccolo se ne innamora a tal punto da voler iniziare a filmare lui stesso la realtà che lo circonda, andando a creare le proprie storie e i propri mondi. Questa sua passione da una parte sarà osteggiata dal padre, uno dei primi ingegneri informatici dell’epoca, che continuerà sempre a definirla solo come un hobby cercando di indirizzarlo verso altre professioni più concrete, mentre sarà supportata dalla madre, ex-pianista, che vedrà nel suo sogno “artistico” quello che lei non è mai riuscita a raggiungere.

the fabelmans sammy

Un grande cortocircuito che fornisce ancora più profondità alla vicenda è sicuramente l’inversione dei ruoli tra madre e padre nel supporto del giovane Sammy: se infatti la madre è quella più incline a far coltivare la sua passione al figlio per cercare di trasformarla in un lavoro, la sua personalità istrionica e drammatica la porterà spesso ad allontanarsi dalla famiglia e rendersi quindi indisponibile, mentre il padre, pur non condividendo la strada che il figlio vuole intraprendere, cercherà sempre di aiutarlo in ogni modo nonostante gli scontri, anche duri, tra loro due. I rapporti tra tutti i componenti di questa famiglia allargata, dove anche personaggi marginali come lo zio o l’amico di famiglia diventano importanti per la formazione del piccolo Sammy, sono fondamentali non solo per far rifugiare il protagonista nella meraviglia del cinema così da evitare una “realtà scadente”, ma anche per generare tutto quell’immaginario dei film di Spielberg che, a posteriori, possiamo riscontrare in tutte le sue produzioni.

Il film, nonostante la sua natura da “slice of life” con frequenti salti temporali per andare a coprire i momenti più salienti della vita del protagonista, riesce comunque ad avere orizzontalità e non finire per essere solo una lista di aneddoti, costruendo miracolosamente il messaggio del “credere fino in fondo in quello che si vuole fare per riuscirci” senza mai cadere in una retorica fasulla da sogno americano. Se infatti Sammy/Spielberg riuscirà a diventare un grande regista lo dovrà anche al supporto delle persone care e ad una serie di fortunati eventi, oltre che alle sue forze e chiaramente alla sua volontà. Non perdendosi d’animo e buttandosi ogni volta in esperienze nuove, il protagonista riesce ad aprire porte che altrimenti gli rimarrebbero precluse, come l’incontro finale ai limiti del surreale, già descritto da Spielberg allo stesso identico modo in un’intervista.

the fabelmans madre e padre

È grazie anche a questi incontri fuori dall’ordinario (degno di nota quello con la sua prima “fidanzata” di religione cristiana, uscito da un film dei Monthy Python) che la fantasia del giovane viene stimolata a creare sempre qualcosa di nuovo, sia replicando che mescolando elementi sempre nuovi che osserva, a partire dal treno che vuole far deragliare a sei anni dopo essere stato al cinema. The Fabelmans è il film di un autore che è diventato il simbolo del cinema americano, che con le sue opere è entrato nell’olimpo della settima arte e che, come tutti, è partito con una telecamera in mano e qualche amico facendo quello che più voleva: raccontare la meraviglia nelle storie. Anche questa sua ultima opera, che diventa in più anche il testamento artistico del suo compositore di fiducia John Williams (prossimo al ritiro dal mondo del cinema per dedicarsi all’attività concertistica), racconta la meraviglia di un’infanzia e un’adolescenza come tante, costellate di gioie e dolori, che però riescono a diventare il simulacro dell’esperienza del cinema.

Seppur lontano dalla spettacolarità di film come Minority Report, Jurassic Park o Incontri ravvicinati, The Fabelmans è un’esperienza di pura meraviglia visiva ed emotiva, dove la regia di Spielberg riesce ad essere mirata per ogni “episodio” che vuole raccontare, senza scivolare negli eccessivi pietismi e buonismi che hanno spesso caratterizzato le sue storie. Un film sulla vitalità dell’uomo e la volontà di vivere di arte, l’unica cosa di fronte alla quale siamo tutti sullo stesso piano, che ci unisce di fronte alla meraviglia. Tutti dalla stessa parte dello schermo, con le luci spente, in silenzio.




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Professare l'eclettismo in un mondo così selettivo risulta particolarmente difficile, ma tentar non nuoce. Qualsiasi medium "nerd" è passato tra le sue mani, e pur avendo delle preferenze, cerca di analizzare tutto quello che gli capita attorno. Non è detto che sia sempre così accurato però.

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