A Classic Horror Story, tra folklore italiano e splatter

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Roberto De Feo si era già fatto notare nel panorama cinematografico italiano e internazionale grazie al suo notevole esordio horror The Nest (Il Nido), del 2019. Quest’anno torna con un nuovo lungometraggio e continua a “giocare in casa”: la sua ultima fatica – scritta e girata a quattro mani con Paolo Strippoli – è infatti intitolata A Classic Horror Story, disponibile su Netflix.

Il trailer pubblicato qualche settimana fa è riuscito a far scattare immediatamente in me la molla della curiosità, poiché l’opera di De Feo e Strippoli si presenta come un curioso mix di elementi e suggestioni da vari, imprescindibili titoli horror, primo tra tutti La Casa di Sam Raimi. Quest’ultimo e diversi altri rimandi alla storia del cinema dell’orrore rendono A Classic Horror Story sia un acuto film-tributo, sia un prodotto dalla grande qualità. È tempo, quindi, di sviscerarne la trama che – come da titolo – risulta molto classica, ma efficace.

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Al centro delle vicende c’è un gruppo di cinque persone, guidato da un giovane di nome Fabrizio, che si ritrova a condividere un camper – in modalità car pooling – per i motivi più disparati:

  • Elisa (una bravissima Matilda Lutz), una neolaureata costretta a tornare dalla famiglia per interrompere una gravidanza indesiderata
  • Riccardo (Peppino Mazzotta, a dir poco glaciale), un medico divorziato dal passato turbolento, in viaggio verso casa della madre
  • Sofia e Mark, un’esuberante coppietta di origini inglesi, in vacanza
  • Il già citato Fabrizio, aspirante regista calabrese e proprietario del caravan

I protagonisti non si conoscono tra loro ed è difficile rompere il ghiaccio, nonostante ciò la traversata sembra proseguire tranquilla. L’ambientazione principale è la Calabria, un setting che viene presentato attraverso ripetute riprese aeree che fanno saltare subito alla mente l’incipit di Shining. Gli autori vogliono forse dirci – mostrandoci colline e impenetrabili boschi – che le cose sono destinate a prendere una brutta piega? Ebbene sì.

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Da sinistra: Sofia, Elisa, Riccardo e Fabrizio.

Mark, il più scapestrato dei cinque, dopo aver bevuto qualche birra decide di mettersi alla guida del mezzo per velocizzare il viaggio; Fabrizio non è d’accordo, ma dopo un po’ di riluttanza gli concede il volante. È notte e a causa di quella che sembra una carcassa di cervo in mezzo alla strada, i due conducenti sbandano per evitarla, andando a schiantarsi contro un grosso albero. Il “gruppo vacanze” sopravvive, ma il giovane americano è l’unico a superare l’incidente con delle gravi ferite alle gambe che gli impediscono di camminare.

Come se non bastasse, la strada che i protagonisti stavano percorrendo sembra misteriosamente scomparsa; al suo posto, i nostri si ritrovano in una radura desolata e circondata da una fitta foresta, i telefoni – prevedibilmente – non prendono. Tornare sui propri passi pare impossibile: è come se si continuasse a girare in tondo. L’unico punto di riferimento è una lugubre dimora al centro della spianata: è un riparo sicuro o tutt’altro?

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Roberto De Feo e Paolo Strippoli dimostrano di saper muovere egregiamente la macchina da presa, sfoderando una regia posata a servizio della storia che, tuttavia, non manca di inquadrature e travelling inusuali o particolari che sottolineano a dovere i frangenti più orrorifici. Come evidenziato in precedenza, l’angosciante setting calabrese corona il tutto, innalzando ancora di più l’asticella della tensione e della paura. Per questo motivo è possibile definire A Classic Horror Story un film fatto di ambienti; a molti, non a caso, le atmosfere boschive ricorderanno il celebre The Blair Witch Project.

Il lungometraggio non si perde in chiacchiere e inizia subito a sorprendere; lo chalet è impregnato di un’antica storia: l’avvento di Osso, Mastrosso e Carcagnosso. I tre sono dei tetri cavalieri giunti sulla Terra “da un’altra dimensione“, inoltre ogni membro del trio è dotato di una caratteristica che lo contraddistingue. “Il primo occhi non ha, ma anche al buio ti troverà; il secondo non ha udito, ma di certo ti avrà sentito; il terzo non ha bocca per parlare, ma se lo vedi non fiatare“. Il trio si palesò all’umanità che, tormentata dalla fame e dalla povertà, chiese loro aiuto. Le oscure figure offrirono il loro supporto ai bisognosi, ma ogni cosa ha il suo prezzo: in cambio pretesero dei sacrifici umani da eseguire periodicamente; lo scotto? Dei bulbi oculari, un paio di orecchie e una lingua umani.

Insomma, una vera e propria leggenda che affonda le sue radici nel folklore italiano più cupo. Il mito, infatti, è la rielaborazione di un racconto tradizionale realmente esistente, inventato per giustificare la nascita di organizzazioni mafiose come Cosa NostraCamorra e ‘ndrangheta e per avvolgerle di fantomatica gloria. In sostanza, il lavoro di De Feo e compagni è palesemente carico di uno spiccato sottotesto sociale che, ovviamente, avrà le sue implicazioni nel corso della narrazione. Di certo, ad ogni modo, non è la sola componente degna di nota.

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I cinque sopravvissuti, intimoriti ma costretti a sfruttare la casa come riparo, fanno un’agghiacciante scoperta: in soffitta, in mezzo a un mucchio di rami secchi, c’è Chiara, una piccola bambina a cui è stata asportata la lingua. Cosa ci fa in quel posto? Ma soprattutto: se lei è lì in quelle condizioni, è forse possibile che i nostri non siano soli?

Infatti non lo sono: la fotografia del film si tinge improvvisamente di uno splendido e terribile rosso sangue e una sirena antiaerea fischia inesorabile. I tre cavalieri giungono alla radura e danno luogo ad una memorabile scena di torture. La sequenza spacca a metà il lungometraggio: l’immersione nell’horror è ormai completa. Sono attimi carichi di apprezzatissima e ben realizzata violenza splatter; a rendere il tutto ancora più iconico è una fantastica citazione a Zombi 2 di Lucio Fulci (sta a voi scovarla, non vorrei rovinare l’effetto sorpresa).

C’è di più: A Classic Horror Story spinge costantemente sull’inevitabile sensazione straniante che i suoi eventi veicolano. La sopracitata tortura, difatti, si consuma sulle note del brano musicale La casa di Sergio Endrigo. Devo fare i miei complimenti agli autori: sono riusciti a infondere una canzone della mia infanzia nell’ansia più nera. Una menzione speciale va anche a Il cielo in una stanza di Gino Paoli che accompagna altri avvenimenti della storia. Il resto della colonna sonora è curata da Massimiliano Mechelli: i componimenti sono vecchio stile – su una falsariga tipicamente anni ’70/’80 – dominano archi stridenti e dissonanti e bassi profondi. Una scelta quanto mai azzeccata.

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Chiara, la bambina rinvenuta dai protagonisti.

Sarà proprio la bimba rapita dai cavalieri a svelare a Elisa che, in realtà, il luogo in cui i suoi compagni si trovano non è affatto una foresta. Il significato di ciò è tutto da scoprire. I protagonisti sanno bene che la casa non è un posto sicuro, ma a quanto pare i “boschi” circostanti sono addirittura peggio; sono quindi bloccati nell’entroterra calabrese. Una bella pensata di sceneggiatura che non solo dà credibilità al racconto, ma carica lo spettatore di curiosità per il destino che attende i personaggi: chi o cosa sono Osso, Mastrosso e Carcagnosso? La radura ha una via d’uscita? Tutte domande che – complice l’originale elemento folkloristico della pellicola – avvicinano la creazione di De Feo e Strippoli a quel capolavoro che è Midsommar. 

Qualora ciò non dovesse convincervi a dare una chance a questo horror, sappiate che A Classic Horror Story – a partire da un momento che non preciserò – prende una piega totalmente inaspettata, impossibile da prevedere e assolutamente geniale. Un twist che lascia a bocca aperta per i suoi contenuti e le sue interpretazioni. È assolutamente vietato spoilerare, pena il taglio della lingua.

Tirando le somme, il nuovo film dell’orrore firmato da Roberto De Feo e Paolo Strippoli potrebbe essere scambiato per una sorta di teen movie di bassa lega, ma in realtà è ben altro, non c’è nulla di edulcorato. È qualcosa che nemmeno uno spettatore attento come il sottoscritto avrebbe mai potuto prevedere. Un’opera dal ritmo sostenuto che pecca solamente nel prologo, leggermente sottotono. Una ventata d’aria fresca – nonostante l’oculato citazionismo – per il panorama horror italiano ed estero. Da non perdere!

Un ringraziamento speciale a Netflix




Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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