Dylan Dog 350 – Lacrime di pietra

Il parere di Nessuno

Alzi la mano chi (ormai quasi un mese fa -mea culpa, mea grandissima culpa per il ritardo-) è andato in edicola col cuore pieno di cristiana speranza per quel nome che sapeva avrebbe trovato sul tamburino del DD di novembre, il nome del Conte Carlo Ambrosini, per la quarta volta sia ai testi che ai disegni sulla serie regolare. Mettiamoci poi la 12310629_967067760052716_5056044727946425706_nbellissima copertina evocatrice di grevi inquietudini, con quel cielo grigio e tumultuoso e quella statua austera che piange lacrime vermiglie sullo sfondo, e allo stesso tempo affettuosamente ma fortemente autocelebrativa, con i profili di Dylan e Bloch che troneggiano in primo piano a mezzo busto, schiena contro schiena, sguardi penetranti e i fidi cannoni sguainati.
Autocelebrativa, sì, perché il traguardo da salutare è quello della cifra dei 350 tondi tondi; e infatti, per festeggiare troviamo nelle 94 pagine anche i colori a tinte cupe di Giovanna Niro.
Insomma, l’appuntamento è di quelli imperdibili.

La sequenza iniziale ci porta subito dentro le atmosfere dominanti dell’ albo che è scandito da ritmi lenti, permeato da una tristezza disincantata che si insinua nelle inquadrature e nei dialoghi, straripante della fragile umanità dei suoi protagonisti, la quale alla fine è il centro di tutta la storia. La trama infatti è di per sé molto semplice e lineare, addirittura scarna, se non fosse che a dare il La sia una situazione anomala per noi dylaniati: infatti, come ci viene svelato nella scena iniziale in cui troviamo Dylan e Bloch chiacchierare nel cortile di una chiesa, il vecchio ex-ispettore si è innamorato! Si è innamorato di una giovane donna dal passato doloroso, un’ ex-ballerina taciturna e indurita dalla sofferenza che ha abbandonato la sua promettente carriera dopo aver perso tragicamente la vista e che ora si è trasferita a Londra insieme alla suocera, con la quale è solita frequentare la chiesa dedicata alla santa che porta il suo stesso nome, Crispille, la cui statua di pietra campeggia affranta e misteriosa nel cortiletto.
Bloch frequenta il posto proprio per avere modo di incontrare le due donne, sebbene sia in ovvio imbarazzo nell’ esternare i suoi sentimenti per una ragazza che anagraficamente potrebbe essere sua figlia.
Ma in questa storia nulla e nessuno sono ciò che sembrano, ci sono fantasmi che dal passato sono tornati ad agitarsi e forse Crispille e l’ anziana suocera nascondono qualcosa, forse Crispille non ha solo il nome e la nazionalità in comune con la martire portoghese violentata e uccisa da due balordi quattro secoli prima…

Credo che questa storia sia apprezzabile dalla maggior parte dei lettori di Dylan perché sa restituirci un contesto fortemente critico e introspettivo che ritrae crude realtà quotidiane e orrori senza tempo, c’ è il soprannaturale che compenetra la dimensione terrena per dipingere la dolente realtà umana, c’è un Bloch autentico nonostante la situazione in cui viene posto e certi comportamenti apparentemente singolari, c’è un Dylan convincente, malinconico e ironico, lontano da certe sparatorie alla Tex o inseguimenti alla James Bond, c’è una protagonista femminile enigmatica e ricca di fascino ambiguo delineata da un forte e simbolico profilo psicologico… c’è insomma Ambrosini, che aggiunge un altro tassello al rapporto decennale di fiducia che ha instaurato coi suoi lettori affezionati fuori e dentro DD.

L’albo non è esente da critiche: senza approfondire per non spoilerare (caso mai ne parliamo nei commenti), possiamo dire che ci si potrebbe vedere una pesantezza “filosofica” di fondo, un moraleggiare semplicistico e politicamente corretto, se non altro per il grande tema scelto, che è quello della dignità della donna; tuttavia lo spessore narrativo di Ambrosini riesce a catturare il lettore e portarlo nella sua poetica delicata e solo apparentemente moralista, ma in cuor suo caustica, priva di sentenziosità e ipocrisie, mai scontata (cosa che a mio parere lo accomuna al Maestro Sclavi).
Ambrosini si inserisce con classe anche nel discorso continuity, utilizzando con giudizio e appropriatezza l’elemento “Bloch in pensione” e, senza essere invasivo o ostentativo, disseminando rimandi a varie storie recenti. Nel finale c’è anche una “novità” sul tesserino scaduto di Scotland Yard (certamente non voluta dal solo Ambrosini ma concertata col curatore) che, parere personalissimo, mi ha dato l’ impressione di voler ridimensionare tutta questa percepita necessità di stravolgimento dei clichè, come a dire: “Ok, le novità sono importanti, l’abbiamo detto e ne stiamo inserendo tante, ma non sono il nocciolo della questione”… e questa buona storia del Conte pare porsi proprio nel segno di tale riflessione: fra novità e fasi 2.0, la sua autorevolezza era una vecchia certezza.

Nessuno

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