Un posto dove vivere, di Midori Yamane

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Un posto dove vivere è un manga delicato e sognante di Midori Yamane, un vero balsamo per l’anima, perfetto per gli amanti del Giappone ma non solo. L’autrice, che debutta con questo volume autoconclusivo per Upper Comics, ci trasporta nella sua infanzia, vissuta all’interno di una casa tradizionale giapponese che fa da sfondo assoluto ad ognuna delle storie raccontate. È proprio questa dimora di legno e carta, infatti, il fulcro della vita familiare.

Attraverso il suo sguardo innocente e gioioso di bambina, vengono narrate vicende quotidiane, con una semplicità che non risulta mai banale né superficiale. Lo stile di disegno, allo stesso modo, riproduce i ricordi d’infanzia con tratti delicati e apparentemente semplici, che in realtà denotano una cura e un’attenzione capaci di rendere estremamente vivide le scene rappresentate sulla carta e al tempo stesso convogliare l’attenzione del lettore sulla voce narrante. Già dalle primissime pagine, infatti, sembra proprio di sentire il canticchiare della mamma che lava i piatti o la voce tonante del padre.

Nonostante l’autrice, Midori Yamane, viva in Italia da molti anni, Un posto dove vivere ricalca appieno la “regia” tipica del manga giapponese, dove le vignette si susseguono come inquadrature di un film, rendendo tangibile il passare del tempo, un aspetto spiegato anche nell’introduzione al volume.

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Entriamo in punta di piedi nell’infanzia della Yamane, incontrando subito la sua famiglia, composta da un fratello più piccolo e i due genitori. Il volume si compone di 18 racconti brevi, momenti condivisi che hanno lasciato una traccia nel suo cuore, alcuni gioiosi e altri dai toni un po’ più scuri, ognuno incentrato su un evento o un’abitudine di quando era bambina.

Fra quelli meno gioiosi ci sono l’atmosfera solenne e austera durante la celebrazione del Natale e il racconto dal titolo “Punizione in Oshi-ire“, che vede la piccola Midori rinchiusa nell’armadio dei futon come punizione, una scelta che oggi può sembrarci terribile, ma che era considerata normale in una famiglia degli anni ’70. Il padre poi appare nuovamente come protagonista in un altro racconto, in cui però riporta a casa moltissimi libri, che affascinano immediatamente la piccola Midori con fiumi e fiumi di parole, nonostante non sia ancora in grado di leggerli.

Sulle pagine si susseguono altre scene quotidiane, che vanno dal semplice litigio col fratello minore al rituale della cena in famiglia, con dettagli come la dimensione diversa delle ciotole in base al ruolo ricoperto nella famiglia (il padre mangia in una ciotola più grande, ad esempio). Ma ci vengono raccontate anche feste tipiche come l’Hina-matsuri (la festa delle bambole), che esercitava un grande fascino su Midori, la quale attendeva con ansia questa tradizione ogni anno e dedicava grande cura a vestire la bambola.

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Quest’opera ha il pregio di spiegare numerose tradizioni del Paese del Sol Levante e anche gli appassionati di cultura giapponese potrebbero trovarvi qualcosa che non conoscevano o nuovi spunti di lettura. Ai racconti veri e propri segue inoltre un’interessante sezione di approfondimenti, dove vengono spiegati più nel dettaglio gli eventi, le usanze e le abitudini trattate dall’autrice.

Un esempio è sicuramente il kotatsu, un tavolo basso munito di coperta o futon e nel quale viene montata una fonte di calore. Il kotatsu consentiva all’intera famiglia di stare al caldo mentre ci si sedeva per mangiare e spesso si restava più a lungo del dovuto per non abbandonare quel piacevole tepore. Nonostante oggi siano moltissimi i modi per scaldare una casa, il kotatsu non è scomparso dal mercato, forse anche per nostalgia di quel senso di calore e vicinanza con la famiglia rappresentati in modo così vivido nel manga.

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L’apparente semplicità di questo manga nasconde tante sfaccettature e una delle riflessioni che più mi ha colpito è stata quella legata alla pratica della sostituzione dello shoji, ovvero l’importanza dell’ombra e dell’ambiguità fra luce e oscurità nella cultura giapponese. Questa “ambiguità” si denota anche nel parlato (la tendenza dei giapponesi a non rispondere mai con un secco “sì” o “no”) e nella struttura stessa della casa, così come nelle tonalità scelte per gli utensili e l’illuminazione adottata.

Un posto dove vivere non è solo un insieme di ricordi di infanzia, ma anche la fotografia di un momento di transizione per il Giappone che, uscito dalla Seconda Guerra Mondiale, resta ancorato ai pilastri della “giapponesità”, ovvero il rispetto e l’armonia, pur volgendo lo sguardo al futuro. Racchiude al suo interno riflessioni sull’infanzia, sul calore della famiglia, sull’importanza del seguire le proprie tradizioni e non dimenticare il proprio passato. Questo manga è un piccolo gioiello che mi sento di consigliare davvero a tutti.

Un ringraziamento speciale ad Upper Comics

Melancoliae Articoli
Una traduttrice made in Italy appassionata di videogiochi (in particolare j-rpg), fumetti (Bonelli, americani e giapponesi), anime, letteratura fantasy e sci-fi e serie tv.

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