Murderbot – Il Terminator con l’ansia sociale di Apple TV+

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Voto:

Apple TV+ è sicuramente una delle realtà streaming più interessanti degli ultimi anni, tra le poche ad andare controcorrente rispetto ai maggiori competitor puntando, nella produzione di contenuti, più sulla qualità che sulla quantità. Non è da tutti annoverare tra le proprie fila serie come Scissione, Silo o Ted Lasso, oltre che, sul lato cinematografico, collaborare con registi del calibro di Sofia Coppola, Martin Scorsese e Ridley Scott. Certo, nel tempo ci sono stati anche degli inciampi come la serie basata su Fondazione di Asimov, ma in linea generale il reparto audiovisivo della compagnia di Cupertino ha sempre mantenuto uno standard abbastanza elevato.

Vista la particolare inclinazione che Apple sembra avere per la fantascienza, eccola pronta a proporci una nuova serie: Murderbot, tratta dai romanzi The Murderbot Diaries scritti da Martha Wells (nonché vincitori di uno Hugo Award), e con protagonista assoluto Alexander Skarsgård. Assieme a lui troviamo anche David Dastalmachian (The Suicide Squad, Late Night With The Devil) e John Cho (Star Trek, Cowboy Bebop), mentre il resto del cast include attori esordienti o prettamente teatrali (come Noma Dumezweni, l’Hermione Granger della pièce Harry Potter and the Cursed Child).

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Skarsgård veste i panni dell’androide (più precisamente una SecUnit) Murderbot, nome che si è dato da solo dopo essere riuscito ad hackerare il proprio modulo di controllo, decidendo di uccidere tutti i lavoratori della colonia mineraria in cui era confinato come agente di sicurezza. In seguito all’incidente Murderbot viene ritirato e resettato dalla sua compagnia produttrice, che però non si accorge del modulo hackerato, lasciandogli così il libero arbitrio.

Quando viene rivenduto come SecUnit “ricondizionata” a un gruppo di contractors per una missione mineraria su un pianeta alieno, l’androide si finge ancora “sotto le leggi di Asimov”, cogliendo in questo modo l’opportunità per sparire dai radar della corporazione e vivere finalmente la propria vita. Tuttavia l’esperienza nella colonia non gli sarà resa facile, sia per le pesanti task assegnate che per il gruppo di umani a cui deve costantemente fare da scorta, che non sembrano minimamente come quelli a cui è sempre stato abituato.

I registi e showrunner Chris e Paul Weitz hanno preso il primo romanzo della Wells, All Systems Red, e lo hanno adattato praticamente alla lettera con tanto di approvazione dell’autrice originale, entusiasta del progetto. La loro carriera (più di sceneggiatori che di registi) è sicuramente peculiare, ricca di alti come Rogue OneZ La Formica, e di bassi come i live-action Disney di Cenerentola (2015) e Pinocchio (2022), con in mezzo progetti sicuramente interessanti tra cui La Bussola d’Oro (2007) e The Creator (2023). Unica nota puramente negativa è la presenza tra i produttori esecutivi di David S. Goyer, showrunner e produttore di Fondazione, di cui ho già tessuto le critiche. Ma una singola nota stonata non può affossare un’intera sinfonia, giusto? In parte.

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Lungi da me voler affibbiare tutta la colpa a un singolo individuo, ma la precedente affermazione sulla nota stonata rimane comunque valida: la serie, pur essendo ricca di spunti interessanti, non riesce quasi mai a sfruttarli come si deve. La questione più spinosa è innanzitutto quella del suo genere di appartenenza: Murderbot vorrebbe (e dovrebbe) essere una commedia, ma nel corso delle sue 10 puntate riesce a strappare giusto un sorriso ogni tanto. Molto spesso sono proprio i tempi comici a mancare, e soprattutto all’inizio c’è un uso ossessivo del voice over dell’androide che, invece di renderci partecipi dei suoi pensieri e dei suoi commenti sugli umani, non fa altro che appesantire la narrazione e rovinare anche quei pochi momenti di physical comedy che invece potevano funzionare. L’idea del protagonista che, annoiato dal lavoro e dagli umani, si chiude in sé stesso a guardare infinite puntate di soap opere futuristiche, apprendendo da queste una versione distorta delle emozioni, è in realtà molto interessante e potenzialmente comica, ma ad eccezione di un paio di battute riuscite rimane solamente un sottofondo.

Inoltre tramite la soap preferita del protagonista, Sanctuary Moon (una parodia di Star Trek), la serie cerca di intavolare un discorso metacinematografico sul valore di questo intrattenimento trash, che in realtà può rivelarsi molto utile come conforto nei periodi più bui e stressanti e che quindi, proprio grazie alla sua spensieratezza, può avere un suo valore e non essere solamente considerato “di basso livello”. L’idea della “commedia nella commedia” poteva davvero essere vincente, peccato che spesso le scene grottesche e idiote di Sanctuary Moon sembrino più sensate di quelle della serie principale.

Specialmente le prime puntate, quelle che dovrebbero dare almeno un setup alla storia e ai personaggi, sembrano esse stesse una parodia mal riuscita dei classici di fantascienza, senza però volerlo essere davvero. Fortunatamente, andando avanti e archiviata la deleteria vena comica – a cui anche la serie sembra dare progressivamente meno spazio, forse in uno slancio d’autoanalisi inaspettato – la stagione si concentra sul rapporto tra i personaggi (in particolare con Gurathin, interpretato da Dastmalchian) e sull’evoluzione di Murderbot stesso, e lo fa anche discretamente bene, arrivando a un finale inaspettatamente emotivo.

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Eppure tra tutti i personaggi, oltre al protagonista e Gurathin, ad essere un minimo caratterizzata ed evoluta è solamente la dottoressa Mensah (Noma Dumezweni), mentre gli altri sembrano esistere solo per dare un tono all’ambiente. È un peccato, soprattutto perché la serie vorrebbe mostrare il gruppo di lavoratori non come la classica squadra di mercenari alla Alien, ma come una vera e propria “queer family“. Inizialmente questa idea viene anche anche contestualizzata a livello narrativo, visto che i protagonisti provengono da un pianeta in cui la cultura è completamente diversa da quella terrestre, ma tutto ciò poi cade nel vuoto, diventando solo l’ennesima tematica gettata nel calderone e mai più approfondita.

Ciò che stona più di tutto nella serie però rimane la rappresentazione dell’androide interpretato da Skarsgård: nel suo comportamento non c’è niente che porti a pensare a qualcosa di artificiale che tenta di emulare gli esseri umani. Appare tutt’al più come una persona appartenente allo spettro autistico, con normali problemi relazionali (ad esempio il non riuscire a mantenere il contatto visivo) e null’altro. Tutto l’arco di evoluzione di Murderbot acquista di senso solamente se visto sotto un’altra ottica, ovvero quella della sovversione del genere e del rovesciamento del classico protagonista action muscolare.

A partire dall’attore che lo interpreta fino al nome che l’androide sceglie per sé, tutto vorrebbe far pensare a una specie di Terminator. La serie invece si muove in una direzione completamente opposta, nella quale Murderbot non è altro che il classico maschio virile che non riesce a esprimere le proprie emozioni, che vorrebbe fregarsene di tutti per essere un antieroe, ma che invece tramite le relazioni e l’autonalisi riesce a conoscersi meglio e a diventare una vera e propria persona, non solo una caricatura. Anche il corpo virile di Skarsgård viene evirato, con delle inquadrature che lo mostrano tranquillamente in nudo frontale perché senza genitali, piatto come una bambola, tanto che alcuni personaggi all’inizio si lamentano del fatto che le SecUnit non possano essere dei sex bot, soprattutto con quel corpo là.

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C’è tantissima carne al fuoco, soprattutto nelle intenzioni, ma molte, forse troppe cose si perdono nella realizzazione finale. Persino sul lato visivo, dopo che Apple TV+ ci ha mostrato la perfezione dei VFX di Scissione, sembra impossibile che questa serie possa appartenere allo stesso catalogo. Non tutto però è da buttare: grazie alla breve durata delle puntate, la serie scorre comunque abbastanza bene e potrebbe essere lo stesso apprezzata da chi cerca solamente qualcosa per superare i momenti più noiosi delle proprie giornate, proprio come quei programmi tv lasciati appositamente in sottofondo, che sono lì quasi più per compagnia che per altro.

Murderbot avrebbe potuto essere molto di più, ma forse non tutto è perduto, specialmente considerando la naturale crescita che sembra avere questa prima stagione. Dunque non rimane che attendere una possibile seconda stagione, perché il potenziale della serie non è ancora del tutto sprecato e potrebbe davvero portare a qualcosa di interessante in futuro se la produzione stessa, come l’androide protagonista, riuscisse a fare un percorso di autonalisi per capire davvero in che direzione andare, e far diventare anche questa serie finalmente adulta.

Un ringraziamento speciale a Apple TV+

Lorexio Articoli
Professare l'eclettismo in un mondo così selettivo risulta particolarmente difficile, ma tentar non nuoce. Qualsiasi medium "nerd" è passato tra le sue mani, e pur avendo delle preferenze, cerca di analizzare tutto quello che gli capita attorno. Non è detto che sia sempre così accurato però.

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