Il Diavolo in Ohio

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Una ragazza corre in un campo, con la camicia da notte sporca e un coltello tra le mani. Riesce infine a raggiungere la strada e a fermare, tra le lacrime, un’auto per mettersi in salvo. Vi suona familiare? È più o meno l’introduzione di 3/4 delle produzioni horror dall’alba dei tempi. Eppure non stanca mai, perché trascina lo spettatore nel cuore dell’azione, senza troppi giri di parole o preamboli noiosi. Funziona anche nel caso de Il Diavolo in Ohio, soprattutto per la fotografia che accompagna la scena, nonché per la fisicità della protagonista della sequenza, a dirla tutta sottilmente inquietante con i suoi grandi occhi azzurri terrorizzati.

La transizione al nero poi ci porta a conoscere la coprotagonista della miniserie Netflix, la dottoressa Suzanne Mathis, e la sua famiglia. La macchina da presa indugia su diversi particolari della donna, la psichiatra chiamata ad occuparsi di Mae, la giovane sopracitata. Ha una cicatrice sul polso sinistro, indice di qualche trauma che avrà senz’altro un ruolo fondamentale nella storia. Qui, dunque, la vicenda della vittima inizia ad intrecciarsi con quella della famiglia della dottoressa, che decide addirittura di accogliere la ragazza in casa nel tentativo di darle tutto l’aiuto possibile, mentre un inquietante sceriffo si mette alla sua ricerca.

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Prima di procedere a delle considerazioni generali, vorrei soffermarmi per un attimo su ciò che i primi 40 minuti del nuovo e chiacchieratissimo prodotto Netflix offrono al pubblico.

La prima puntata ha tutti gli ingredienti per una serie vincente, il che ovviamente porta lo spettatore ad alzare le aspettative. L’aspetto più affascinante risiede nel fatto che, a dispetto del nome del progetto, la trama non sembra essere incentrata sul sovrannaturale quanto piuttosto sulla realtà che anima alcuni paesi di provincia in America, fatta di sette sataniche e comunità dalle leggi deprecabili, di condizionamento psicologico e (soprattutto) delle torture fisiche a cui si può arrivare in determinati contesti. Personalmente dopo questo primo episodio ho davvero gridato al miracolo, sia per il fatto che molto spesso le produzioni della piattaforma raggiungono appena la sufficienza, sia per i temi presenti (a dire il vero sempre poco affrontati da registi e produttori americani).

Procedendo con gli episodi successivi, come si può immaginare, la trama si prende tempi più ampi per dispiegare la vicenda, ma non è una battuta d’arresto totale: ogni episodio lascia allo spettatore qualcosa da interpretare e permette di non creare tempi del tutto morti. Anche il genere muta leggermente, diventando per certi aspetti un vero e proprio investigativo grazie alla presenza del detective Alex Lopez, incaricato di far luce sul caso della giovane. Ciò che però colpisce maggiormente è il clima di angoscia costante che si respira, dovuto alla sensazione che nessuno dei protagonisti sembri al sicuro.

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Un esempio pratico è proprio il detective citato poc’anzi: man mano che l’uomo procede con le sue indagini è sempre più tangibile il pericolo che corre, il che ovviamente può anche portare ad una certa ansia per lo spettatore. Allo stesso tempo i modi di fare della ragazza si accompagnano ad una certa inquietudine, per cui è sempre legittimo chiedersi se stia per commettere qualche atto che possa danneggiare la famiglia Mathis, coloro che l’hanno accolta.

Dal punto di vista narrativo, dunque, Il Diavolo in Ohio offre interessanti spunti di riflessione, soprattutto come specchio di un’America isolata e rurale dove piccole comunità commettono atti moralmente discutibili sentendosi al sicuro proprio perché isolate (e magari in contatto con alte sfere della polizia o del governo che insabbiano ogni tipo di atrocità commessa dalle sette). Come si può immaginare la miniserie presenta anche sottotrame altrettanto intriganti, soprattutto per quanto riguarda Suzanne, il cui vissuto si collega in modo molto particolare (seppur non particolarmente innovativo) a quello della vittima protagonista.

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Ciò che purtroppo pecca in questo quadro è una regia alquanto semplice, se non banale, che non sempre riesce a rendere suggestive le sequenze più inquietanti. Allo stesso modo anche le star coinvolte non sono tutte ugualmente meritevoli di lode: se Emily Deschanel ha svolto un ottimo compito, così come Madeleine Arthur (che presta il volto a Mae), le ragazze (Xaria Dotson, Alisha Newton e Naomi Tan) e Sam Jaeger (il marito di Suzanne) spesso non riescono a trasmettere con esattezza le emozioni provate dai rispettivi personaggi.

Nonostante ciò, Il Diavolo in Ohio è una miniserie valida dal punto di vista narrativo e senza dubbio si può tollerare che abbia una regia non propriamente autoriale. Resta dunque un prodotto da consigliare, pur tenendo a mente i suoi limiti, che spesso possono rappresentare un grosso ostacolo per gli amanti del genere.




Claudia_Smith Articoli
Piccola bambina cresciuta a pane e Dragonball, in tenera età scopre l'amore per tutto ciò che è narrazione, dai film ai libri fino ai fumetti di ogni tipo. Ad oggi cacciatrice compulsiva di news per tutto ciò che riguarda la cultura Nerd.

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