Little Orpheus, il comico viaggio al centro della Terra di The Chinese Room (PC)

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Voto:

Se negli ultimi anni vi siete imbattuti nella dicitura “walking simulator”, con decine di videogiochi che hanno tentato di raccontarvi una storia in modo lineare e senza apparente gameplay, sicuramente lo dovete a The Chinese Room. Questo piccolo studio indipendente di Brighton, capitanato da Dan Pinchbeck, ha sempre posto la narrativa e la componente artistica come primi elementi nei videogiochi, riuscendo a rendere le proprie opere uniche e inimitabili, capaci di narrare una storia in un modo che solo un’esperienza interattiva potrebbe trasmettere così bene.

Passando dal poetico Dear Esther fino al filosofico Everybody’s Gone to the Rapture, con in mezzo il capolavoro Amnesia: A Machine for Pigs, la penna di Pinchbeck e di sua moglie Jessica Curry (la compositrice dietro ogni colonna sonora dello studio) non hanno mai smesso di meravigliare, ma il ristretto successo di pubblico non ha più permesso allo studio di realizzare un gioco “importante” dal 2015. Dopo Everyboy’s Gone to the Rapture, infatti, gli unici giochi realizzati dallo studio sono stati So Let Us Melt, per la piattaforma VR Daydream nel 2017, e Little Orpheus come gioco mobile nel 2020, solo su piattaforme Apple. Finalmente, dopo 2 anni, quest’ultima opera viene portata anche su console e PC, diventando di fatto il 4° gioco ufficiale di The Chinese Room.

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Little Orpheus narra la storia di Ivan Ivanovich, cosmonauta fallito dell’Unione Sovietica che, dopo non aver superato il test per andare effettivamente nello spazio, viene scelto per una missione segreta di esplorazione al di sotto della crosta terrestre. Tramite un razzo-trivella, il compagno Ivanovich deve cercare una zona adatta alla costruzione di un’eventuale colonia sovietica e poi, tramite il Little Orpheus – un congegno tecnologico attivabile con una bomba atomica – tornare in superfice. Il nostro protagonista però riemerge dopo 3 anni senza il Little Orpheus e senza la bomba atomica, così viene interrogato dal KGB per conoscere tutti i dettagli della sua missione. La sua strampalata storia sarà quella che andremo a giocare attraverso un semplice platform a scorrimento.

Nonostante le tragiche premesse del racconto, soprattutto conoscendo i precedenti giochi degli autori, ci si aspetterebbe un dramma incredibilmente toccante, ma non è questo il caso. Little Orpheus ha sicuramente la narrativa più divertente, frizzante e leggera che Dan Pinchbeck abbia mai scritto, non cadendo però mai nel banale e riuscendo lo stesso ad approfondire temi importanti anche tramite la comicità. Il viaggio del compagno Ivanovich, oltre ad essere ispirato palesemente a Viaggio al centro della Terra di Jules Verne, attinge a piene mani anche da miti come la città di Agartha, da narrazioni popolari come Pinocchio e dalla fantascienza anni ’50/’60 (usata spesso come propaganda), facendosene beffe e rendendola ancora più ridicola di quanto non possa sembrare a degli occhi “moderni”.

Nonostante poi il chiaro schieramento a sinistra dell’autore e dello studio – A Machine for Pigs finiva proprio con una citazione di Trotsky – Little Orpheus non risparmia critiche anche al regime sovietico, che sebbene esca vincitore dal confronto con lo zarismo, viene elevato dagli autori puramente per l’ideologia socialista che tuttavia si stava andando sempre più perdendo.

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Al netto di tutti i sottotesti politici, però, il tema principale di Little Orpheus è diverso, ed è più metanarrativo: il bello di raccontare delle storie, di ascoltare e di crearle, nonostante la realtà possa essere assai diversa. Se nelle prime fasi di gioco può sembrare che la storia raccontata da Ivan nel suo interrogatorio sia sì assurda, ma comunque di fantascienza (e quindi sensata anche per il giocatore), con l’avanzare dei livelli – 8 in totale, divisi come gli episodi di una vecchia serie tv – il racconto si farà sempre più sfilacciato, improvvisato, pieno di coincidenze e falle logiche (che verranno fatte presenti dall’interrogatore). Il nostro protagonista però riuscirà quasi sempre a divincolarsi per far proseguire il suo “viaggio” e trovare una spiegazione che sembri valida sul perché non abbia più né il Little Orpheus né la bomba atomica.

A livello di gameplay, nonostante nasca come gioco mobile, Little Orpheus è probabilmente l’opera più “ludica” di The Chinese Room, dove al platform vengono mescolati anche accenni di stealth e di puzzle, ma tutto sempre in maniera molto blanda e rilassata. Pur essendo così semplice, il gioco non risulta mai noioso o stucchevole, e la parte ludica ben accompagna la storia che altrimenti, se narrata come “walking simulator”, non avrebbe avuto la stessa potenza dei precedenti giochi, soprattutto perché la comicità deve tenere un ritmo ben diverso dal dramma.

Ottime anche le musiche di Jessica Curry, che per la prima volta segue melodie tradizionali russe e crea motivetti che potrebbero benissimo far parte della colonna sonora di una vecchia serie tv, con tanto di bellissima sigla iniziale. Fantastica la traccia che accompagna il finale, dove viene mescolato il classico stile orchestrale/emotivo della compositrice a questo nuovo approccio “uplifting” che crea un esperimento musicale interessantissimo.

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Little Orpheus è il gioco che forse mi ha lasciato meno tra quelli di The Chinese Room, ma non per questo deve essere considerato un fallimento, anzi. A livello artistico è incredibile, con delle soluzioni di design (soprattutto nelle ambientazioni) veramente fantastiche, e anche graficamente, pur essendo un porting da mobile, regge benissimo il confronto con altre opere simili. In questa nuova edizione inoltre è presente un capitolo bonus, una piccola storiella che rispetta perfettamente tutti gli standard già incontrati nel resto del gioco, e che quindi apprezzerete se vi è già piaciuta l’esperienza principale.

Purtroppo i limiti tecnici di una produzione per smartphone si fanno evidenti al paragone con i giochi precedenti dello studio, ma la scelta di affrontare una narrativa di questo tipo era probabilmente l’unico modo sensato per riuscire comunque a colpire nel segno e creare un’esperienza che non verrà presto dimenticata. Quello che posso augurarmi è che Dan Pinchbeck e soci possano presto tornare a lavorare su un gioco per PC e console, per consacrarsi definitivamente – si spera anche nel pubblico – come dei geni della narrativa videoludica.

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Professare l'eclettismo in un mondo così selettivo risulta particolarmente difficile, ma tentar non nuoce. Qualsiasi medium "nerd" è passato tra le sue mani, e pur avendo delle preferenze, cerca di analizzare tutto quello che gli capita attorno. Non è detto che sia sempre così accurato però.

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