Thymesia, un soulslike manierista (PC)

thymesia recensione

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Si sa, il mondo dei soulslike è vasto ed estremamente variegato, soprattutto negli ultimi anni. Sin dalla nascita del genere, una nutrita fetta di sviluppatori arricchisce annualmente il mercato con nuovi prodotti che tentano di emulare l’inimitabile formula originale targata FromSoftware e, come capita sempre con gli esperimenti, esistono giochi riusciti così come palesi buchi nell’acqua. OverBorder Studio è un neonato gruppo di sette sviluppatori taiwanesi che provengono da diverse compagnie, e Thymesia è il loro esordio come team indipendente.

Il titolo, pubblicato dalla prolifica Team17, si presenta come un dark fantasy con evidenti tratti gotici che mischia influenze, più o meno evidenti, da molteplici videogiochi: Demon’s Souls, Sekiro e Bloodborne più di altri. In Thymesia, tuttavia, non si ha a che fare con orrori lovecraftiani bensì con un mondo permeato dal controverso potere dell’alchimia. Scopriamo quindi cosa ha da offrire questo curioso soulslike venuto dal lontano Oriente.

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Corvus, il protagonista.

Il fiorente Regno di Ermes, governato dal re Edoardo detto “Il Benedetto”, è nel bel mezzo di una peste letale e dilagante causata dal sangue vile (un rimando o una scopiazzatura dal Sangue smunto di Bloodborne, a voi il verdetto). Tra i morti, chi sopravvive subisce spaventose trasformazioni. In questo disastro di proporzioni mai viste nasce la scienza alchemica, una dottrina che potrebbe salvare il continente dalla caduta. Un’esperta alchimista chiamata Esmeralda spicca tra gli scienziati: la donna è convinta di poter trovare una cura sfruttando la malattia stessa; le sue ricerche danno quindi il via all’Era dell’Alchimia, un periodo storico in cui pochi eruditi mirano a riportare il regno al suo splendore originale.

Ermes è sotto una rigida quarantena: il popolo non può uscire di casa e i beni di prima necessità vengono distribuiti dall’esercito; i contagiati vengono “purificati” (o uccisi per dirla senza eufemismi). Per arginare la peste vengono eseguiti diversi esperimenti, tutti fallimentari. È in questo contesto che si inserisce Corvus, un cerusico la cui missione è scovare la formula esatta con cui realizzare la Soluzione di Ermes, l’unico intruglio che può guarire il suo paese.

Una breve cutscene riassume tutto ciò e getta immediatamente il giocatore in un tutorial molto lineare, al termine del quale vi è – prevedibilmente – un primo boss impossibile da sconfiggere. Il protagonista viene preso a sonore randellate per poi risvegliarsi presso la Collina dei Filosofi, un’amena ambientazione boscosa dove la famiglia reale era solita rifugiarsi per studiare tutto il sapere dei loro avi. Ad attendere Corvus c’è una giovane di nome Aisemy – l’immancabile maiden – niente di meno che la figlia di Edoardo Il Benedetto. La ragazza vorrebbe portare avanti le volontà del padre, grazie agli insegnamenti di Esmeralda, ed è proprio per questo che ha inviato il nostro eroe ad indagare sulla malattia.

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La Collina dei Filosofi dove Aisemy ci attenderà al termine di ogni scorribanda.

Il cerusico però ha un problema: ha perso la memoria dopo l’ultimo scontro. Chi era prima della pestilenza? Per scoprirlo, Corvus deve addentrarsi nei meandri del mondo di gioco partendo dall’hub centrale; ricordare gli eventi passati equivale a sbloccare nuove missioni così come luoghi da esplorare. La trama viene quindi portata avanti dalle ambientazioni che, come d’abitudine, non mancano di arricchire la lore dell’universo narrativo. Alcuni dei boss principali presenti alla fine di ogni zona sono il risultato dei già citati esperimenti fallaci degli alchimisti; sconfiggendoli si prelevano i loro Nuclei, oggetti unici che Aisemy potrà analizzare – insieme ad altri documenti sparsi per le mappe – così da ottenere più indizi sulla pandemia e donare una manciata di Frammenti di ricordo (i punti esperienza di Thymesia). Ogni tanto farà la sua comparsa Esmeralda: consegnarle gli stessi drop fornirà altre informazioni inedite.

Purtroppo la varietà degli “oggetti di trama”, a confronto con i titoli FromSoftware, è veramente scarsa; inoltre, tutti i pochissimi ritrovamenti unici non presentano descrizioni ad accompagnarli. Manufatti preziosi a parte, il resto dell’inventario contiene due strumenti: il Pugnale intriso di sangue – con cui teletrasportarsi all’ultimo falò visitato perdendo però le “anime” collezionate – e la Piuma dimenticata con cui respeccare. In poche parole, il gioco – dal lato puramente narrativo – ha ben poca profondità; sarebbe stato opportuno aggiungere altri NPC con cui dialogare o drop più interessanti, ma così non è stato.

Dopo aver ucciso il boss principale di ogni zona, è possibile tornare nella stessa per affrontare missioni secondarie, un modo semplice ma riuscito per allungare la longevità. Si tratta spesso di banali fetch quest che portano a esplorare ambientazioni mai viste o, in alternativa, versioni leggermente diverse degli stessi livelli. Tutte le suddette quest sono collegate tra loro e una volta portate a termine sbloccano ulteriori incarichi più difficili dove affrontare fondamentali boss segreti. Questi ultimi rivelano cruciali elementi di trama o indizi sui personaggi già incontrati, ma tradiscono l’inesperienza del team taiwanese che non è riuscito a bilanciarli a dovere, rendendoli inappaganti o addirittura sleali per quanto riguarda i loro moveset o i loro gimmick.

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Varg, l’armatura cinerea: un boss carino, ma che saprà di già visto a chi conosce l’Artorias del primo Dark Souls.

Un altro punto a sfavore per questo soulslike è rappresentato proprio dalle aree da perlustrare. Sfortunatamente passano dalla linearità assoluta alla labirintite e la mancanza di una minimappa rende abbastanza facile confondersi, specialmente nella Fortezza di Ermes, una complessa cittadella dalla spiccata verticalità. Ad aggravare la situazione è l’environmental design non sempre ispirato, che rende certe location veramente scarne o anonime pur combinando varie suggestioni da titoli simili. A ciò si unisce un forte riciclo di miniboss e nemici. A mettere una pezza sono la buona gestione delle shortcut e la distruttibilità degli ambienti che – seppur ridotte all’osso – possono portare a scoprire strade segrete o drop rari.

Come se non bastasse, la struttura a livelli che ricalca il celebre Demon’s Souls è decisamente datata: un’impostazione simile rende la progressione legnosa, specialmente nel caso in cui si desideri completare al 100% tutte le ambientazioni. Queste vanno esplorate una ad una passando obbligatoriamente per la Collina dei Filosofi e non è nemmeno possibile scegliere il Lume – aka falò – dove spawnare: i souls originali ci hanno abituato troppo bene o è Thymesia a non essere al passo coi tempi? Scelgo la seconda alternativa.

Alla fine della fiera, è dunque impossibile giungere in zone di livello superiore al proprio perché tutto si sblocca piano piano; in altri termini – prima di aver concluso la storia – non è possibile visitare le location nell’ordine che più ci aggrada, ma in quello fissato dagli sviluppatori. Credo che la decisione sia stata presa per semplificare il lavoro del team, rendendo al contempo più chiara e uniforme la narrazione, ma la trovo una scelta pigra che mina l’offerta ludica.

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Il Mare d’Alberi, la prima area da affrontare, tana di reietti e criminali.

Nemmeno la formula di gameplay riesce a scampare a imperdonabili sbavature. Nonostante ciò, questa risulta più ispirata e coinvolgente, giacché i ragazzi di OverBorder Studio hanno avuto la premura di correggere alcuni dei gravi errori presenti nella demo pre-release, aggiustando il tiro sugli elementi che rendevano il titolo troppo difficile e disonesto. Corvus è dotato di una sola arma da mischia, la sua sciabola, accompagnata però da altri strumenti del mestiere: il cerusico può scagliare delle piume come se fossero dei coltelli da lancio, così da intralciare i nemici poco prima che effettuino degli attacchi critici, impossibili da deviare; una meccanica che ricorda molto da vicino le armi da fuoco di Bloodborne (si torna sempre lì insomma).

La vera peculiarità di Thymesia, ovvero l’elemento che lo rende unico in mezzo ad altri innumerevoli soulslike, è la possibilità di “rubare” le armi a tutti gli avversari, boss compresi. Prima di spiegare in cosa consiste questa interessante “dinamica del furto”, è utile analizzare il modo in cui si orchestrano gli scontri: ogni mob è dotato di una barra della resistenza che il protagonista può ridurre scagliando colpi con la sciabola; la suddetta vita dei nemici però, se Corvus non riesce ad attaccare dopo un certo lasso di tempo, si ricarica vanificando ogni sforzo. Semplificando al massimo, si può dire che Thymesia fonde un sistema combattimento votato all’aggressività e alla rapidità con la necessità di fiaccare pian piano la tempra delle creature. L’effetto finale è un mix stranamente riuscito tra Sekiro e il già ampiamente citato Bloodborne.

Detto ciò, come si fa a uccidere chi ci ostacola? Semplice: bisogna sfruttare l’Attacco con artiglio, una mossa diversa dalle normali spadate, che infligge danni ingenti alle ferite nemiche e ne impedisce la guarigione. Quando la salute dei mostri arriva a zero, questi rimangono storditi e sono pronti ad essere eliminati con un’esecuzione. Se caricato al massimo, l’artiglio di Corvus può inoltre depredare le armi altrui come descritto precedentemente: il prezzo da pagare è rimanere esposti alle offensive, ma sfruttare questo asso nella manica dona al personaggio una temporanea Hyper Armor (una meccanica che approfondirò più avanti).

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L’artiglio di Corvus in azione.

Le Armi pestilenziali da collezionare sono 21: presentano tutte statistiche e usi diversi per adattarsi a vari stili di gioco. Alcune sono dei buff, altre risultano davvero vantaggiose contro minacce specifiche; è quindi importante alternarle a seconda delle situazioni. Va precisato, tuttavia, che le armi rubate sul campo di battaglia svaniscono dopo un singolo utilizzo, mentre quelle equipaggiate ad un Lume tramite un’apposita scheda non spariscono una volta evocate. In sostanza, Corvus ha a disposizione ben quattro armamenti intercambiabili. Questi, oltretutto, possono essere potenziati con frammenti di abilità ottenuti da avversari morti, così da sbloccare caratteristiche aggiuntive.

A rovinare in parte il divertimento così come l’ingegnosità di tutto il sistema sono due buff in particolare: Miasma e Tempesta sanguinaria, eccessivamente potenti. Il primo, oltre a disorientare temporaneamente i nemici, dona al giocatore l’abilità di schivare all’infinito per una manciata di secondi, facendo perdere di senso il timing dei combattimenti (dato che, contro i boss più frustranti, basta attendere che si ricarichi per spammarlo). Il secondo potenziamento – ottenibile sconfiggendo un boss ridicolmente facile – consuma una piccola quantità di Energia – il mana – per ripristinare ben 200 punti Vita: una pozione potenzialmente illimitata che semplifica troppo l’avventura. A ciò si aggiunge una skill che permette di riacquisire mana colpendo i nemici. Inutile dire che, verso le fasi più avanzate della storia, Corvus diventa una macchina da guerra al limite dell’inarrestabile.

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L’iconica falce è una delle Armi pestilenziali più versatili.

Coronano la struttura di progressione tre menu distinti: uno per l’Avanzamento, il secondo per i Talenti e l’ultimo per le Pozioni. Il primo, tristemente basilare, serve per migliorare i soli tre attributi del nostro eroe, ovvero Forza, Vitalità e Pestilenza (abbastanza autoesplicativi).

I Talenti non sono altro che ulteriori perk da ottenere in un albero delle abilità, spendendo un massimo di 25 punti. Una volta raggiunta questa soglia potremo solo respeccare, una scelta che non mi ha fatto impazzire. Riconosco però che rimaneggiare ad libitum i Talenti può essere utile nell’endgame per sfruttare alcune abilità particolari al momento giusto così come adattare Corvus allo stile di gioco prediletto (più offensivo e veloce o più difensivo).

Le Pozioni invece sono tre – Generica, Duratura, Rapida – ed è consentito portarne con sé un solo tipo. In aggiunta, trafficare con l’alchimia amalgamando diversi ingredienti trovati in giro per il mondo (pepe nero, menta, aglio…) fornisce alle suddette pozioni delle proprietà uniche.

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Lo spartano albero dei Talenti.

Lato gameplay, le sbavature più gravi e grossolane sono rappresentate in primis dalla cattiva gestione delle Hyper Armor nemiche. Ogni singola creatura del gioco, come espressamente evidenziato nel tutorial, è dotata di un’Armatura suprema che permette loro di non essere mai interrotte nel bel mezzo di un attacco (a meno di non usare specifiche Armi pestilenziali opportunamente potenziate). In soldoni, gli avversari sferrano offensive anche dopo essere stati colpiti dalle mosse più forti; ciò rende alcuni scontri troppo punitivi poiché si muore improvvisamente, specialmente quando si fronteggiano cavalieri armati di alabarde o lance, forti di un range e di un damage output esagerati.

Peggiora le cose un tracking eccessivo da parte di certi boss. Spesso tutto ciò rende Thymesia controintuitivo dal momento che si è spinti ad essere aggressivi, ma allo stesso tempo combattere in maniera irruenta può penalizzare nella maggior parte delle occasioni.

A completare la serie di strafalcioni vi è una terribile meccanica dedicata al parry: parare rasenta l’impossibile a causa di animazioni fluide ma imperfette e dal timing mal tarato. Lo stesso problema affligge le piume da tirare per interrompere gli attacchi critici, giacché non si capisce mai quando usarle al momento giusto. A fronte di combattimenti coreografici e sinuosi – valorizzati da un buon uso dell’Unreal Engine – il titolo può frequentemente diventare frustrante se si tenta di deviare i colpi ricevuti al posto di scansarli.

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In conclusione, il battesimo del fuoco di OverBorder Studio soffre decisamente di potenziale sprecato. Soprattutto se si tiene conto del fatto che la fine della storia arriva rapidissima e inaspettata, una volta battuti i pochi boss necessari a comprendere a fondo la pandemia. La trama termina troppo presto, non dà la possibilità di immergersi a dovere nel Regno di Ermes e nella sua lore. Non bastano i cinque finali distinti – intriganti e variegati – per risollevare una trama sì trascinante, ma poco approfondita.

Personalmente, in 20 ore circa ho raggiunto i titoli di coda e ottenuto quasi tutti gli achievement. Dico “quasi” poiché esiste l’obiettivo “La crème de la crème” che richiede di raggiungere il livello 50. Un trofeo fattibile solamente farmando in giro per le aree – abilitando eventualmente un perk per aumentare il drop dei Frammenti di ricordo – o continuando a sconfiggere il boss finale. Una scelta di design infelice che fa lievitare la longevità a 25-30 ore a seconda dell’abilità del giocatore.

Thymesia è un soulslike schizofrenico e manierista: unico e divertente per certi versi, un’ingenua scopiazzatura per altri; è assurdo pensare che possa avvicinarsi ai celebri titoli firmati da Hidetaka Miyazaki. Quello che FromSoftware sa vendere è la cifra stilistica non replicabile, il feeling. Questo “Bloodborne wannabe“, come tanti altri videogiochi sulla stessa falsariga, non riesce a raggiungere un equilibrio tra meccaniche di gameplay e level design. Il prodotto presenta tante buone idee originali, ma non gode della cura dello studio nipponico, manca “la mano del maestro”. La formula soulslike è, allo stesso tempo, una delle invenzioni più autoriali e commerciali di sempre: tutti la emulano, nessuno riesce a centrarla alla perfezione. A Taiwan ci hanno provato, ma l’inesperienza si è fatta sentire eccome.

Un ringraziamento speciale a Team17




Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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