Army of the Dead, lo zombie-heist movie di Snyder che si prende troppo sul serio

army of the dead zack snyder netflix

Voto:

Io non sono un estimatore di Zack Snyder. L’unico suo film che posso dire di aver apprezzato, ad una prima visione, è stato il suo Watchmen, quando ero ancora vergine della graphic novel di Alan Moore. Ho rivalutato in negativo anche quel film, non solo dopo aver letto l’opera originale, ma soprattutto dopo aver visto la scena iniziale utilizzata come esempio, all’università, su come non si debba girare una scena d’azione. Nonostante la mia poca ammirazione per quest’uomo e la sua “poetica”, ho voluto guardare di mia spontanea volontà Army of the Dead, in quanto dal trailer pubblicato da Netflix sembrava essere quantomeno divertente e frizzante, e se davvero Snyder fosse riuscito a creare qualcosa di leggero e fruibile non sarei mai stato così duro come potete intuire dalla votazione, ma procediamo con ordine.

army of the dead zombie

Zack Snyder, arrivato al suo 9° film da regista, decide di tornare agli esordi con uno zombie movie – il suo primo film infatti è stato il remake de L’alba dei morti viventi di George Romero – nel quale ormai non solo tutta la critica sociale delle creature Romeriane è stata eliminata, ma troviamo anche imposte un’etica ed un’estetica puramente supereoristiche che stonano ampiamente nel contesto del film.

Più che morti viventi, gli zombie di Army of the Dead sembrano metaumani: sono molto più agili e veloci di una persona normale, sono più forti, ce ne sono più varianti, tra cui anche quelli “intelligenti” e quelli che finiscono persino per “procreare” – ovviamente Snyder non si degnerà mai di spiegare come una cosa MORTA possa generare una VITA – come se fossero proprio una nuova razza. Infatti gli zombie qui sono anche organizzati in una società monarchica nella quale la Regina è truccata come la cosplayer di un Lich di Dungeons & Dragons alla fiera del del fumetto, mentre il Re cavalca un cavallo zombificato, indossando un mantello e un elmo da Uruk-hai de Il Signore degli Anelli e impugnando una lancia.

army of the dead personaggi

Il problema con cose del genere, volutamente over the top, è che non possono essere prese seriamente, e tutta la narrazione deve essere costruita appositamente per risultare credibile. Qui invece la narrazione, basandosi sulla rapina che il protagonista Scott (Dave Bautista) deve compiere nella Las Vegas invasa dagli zombie e sotto contenimento, vuole essere seriosa, pregna di significato e di emotività, finendo solo per risultare assurda in un contesto del genere.

Infatti il “motore immobile” che fa partire tutta la storia altro non è che il desiderio di Scott di riavvicinarsi alla figlia, colpevole di averla abbandonata dopo aver sparato alla moglie zombificata. Per farlo sfrutterà l’occasione fornitagli da una multinazionale giapponese, che gli chiederà di rubare 200 milioni di dollari dal caveau di un casinò di Las Vegas, ormai già completamente rimborsati dall’assicurazione e quindi totalmente fuori tracciamento, promettendogli 50 milioni da dividere con la squadra che formerà. Il problema principale è che tutti i personaggi presentati sono bidimensionali e tagliati con l’accetta, andando a prendere i più bassi cliché esistenti – tra cui l’esperto di casseforti tedesco fissato con Wagner – e incredibilmente solo Dave Bautista riesce ad essere credibile nel ruolo, dimostrando di esser anche un buon attore, purtroppo però diretto in modo totalmente schizofrenico.

army of the dead sega circolare

Se da una parte vengono presentati personaggi sopra le righe – uno ha anche una sega circolare alla Dead Rising che non userà mai – dall’altra il regista li mette in scena con una pesantezza da film di Bergman, con la differenza che qui si sta raccontando solo una storia d’intrattenimento. Anche l’umorismo che viene inserito in alcune scene sembra fuori luogo (per Snyder probabilmente un ragazzo che dice ad un altro ragazzo “Mi  piacciono i tuoi capelli” è una scena divertente), non trovando mai lo spazio giusto.

Poi troviamo i soliti slow motion da videoclip a cui ci ha abituato il regista, inseriti in maniera minore rispetto agli altri film, ma usati in modo così abominevole che riescono, invece di enfatizzare le scene, a renderle anticlimatiche. Si può prendere come esempio la scena in cui i protagonisti devono scappare dall’hotel appena finito il colpo: uno zombie strappa la borsa piena di soldi e lì inizia uno slow motion di 5 minuti dei protagonisti che sparano all’impazzata sotto una pioggia di banconote. Dopo una scena del genere, come fa lo spettatore ad empatizzare con un personaggio morente, nel finale, fotografato come se fosse The Revenant?

Il problema di Snyder è tutto qui, nel credere di poter parlare di cose importanti in qualsiasi contesto, volendo rendere tutto super serioso, quando invece registi come James Gunn hanno dimostrato che il lutto si può mostrare anche in un film “leggero” e irriverente come Guardiani della Galassia 2, facendo arrivare il messaggio molto più forte rispetto al metodo Snyderiano.

army of the dead focus lens flare

Inoltre, in questo film Snyder sembra essere appena uscito dalla scuola di cinema ed aver scoperto il focus in e focus out, ovvero la composizione della scena con un soggetto a fuoco ed il resto sfocato. Più dell’80% delle scene che non sono al rallentatore sono girate usando questa tecnica, che, pur risultando buona per qualche momento narrativo, non è assolutamente digeribile per tutta la durata del film. Come ciliegina sulla torta, il regista qua figura anche in veste di direttore della fotografia, regalando ai nostri occhi lens flare degni del Michael Bay dei bei tempi di Transformers e una patina plasticosa che fa sembrare anche gli zombie appena usciti da un salone di bellezza.

Quello che ho odiato più di tutto in Army of the Dead è proprio la mancanza di senso della misura da parte di Zack Snyder, che, come al solito, dimostra di avere anche delle buone idee di partenza ma una scarsissima competenza nella messa in scena cinematografica, non riuscendo mai a coniugare le sue due anime – quella super seriosa e quella sopra le righe – e creando mappazzoni finto-autoriali che il pubblico moderno, incapacitato a un giudizio critico, si beve come grande cinema. E poi far finire un film di zombie con la canzone Zombie dei Cranberries penso sia la più grande cafonata che abbia mai visto nella mia vita.

Un ringraziamento speciale a Netflix




Lorexio Articoli
Professare l'eclettismo in un mondo così selettivo risulta particolarmente difficile, ma tentar non nuoce. Qualsiasi medium "nerd" è passato tra le sue mani, e pur avendo delle preferenze, cerca di analizzare tutto quello che gli capita attorno. Non è detto che sia sempre così accurato però.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*