Estraneo a bordo, l’intenso dramma sci-fi di Netflix

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Diversificare è la parola d’ordine in casa Netflix; nonostante, infatti, sia evidente come la piattaforma preferisca investire in commedie – che con un budget modesto possono offrire ottimi risultati – negli anni ha spaziato letteralmente in ogni genere. Non sorprende, dunque, che tra questi ci sia la fantascienza, sempre molto apprezzata dal pubblico in quanto offre la possibilità di aderire ad ogni sottogenere. In Altered Carbon, ad esempio, componenti noir e sentimentali avevano reso davvero grande e amata la serie (purtroppo senza impedirne la cancellazione).

Questo desiderio di espandere i propri orizzonti ha infine toccato uno dei sogni dell’uomo: cercare un altro pianeta da poter colonizzare e chiamare casa. Proprio da queste premesse parte Estraneo a bordo, nuovo lungometraggio di Netflix che con un cast di tutto rispetto affronta la questione in modo piuttosto originale.

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In un anno non meglio definito nel futuro, un gruppo di tre persone viene incaricato dalla misteriosa Hyperion di raggiungere Marte allo scopo di colonizzare il pianeta; l’equipaggio è costituito dal capitano Marina Barnett (Toni Collette) – alla sua ultima missione – il biologo David Kim (Daniel Dae Kim) e la ricercatrice medica Zoe Levenson (Anna Kendrick). Ognuno di loro ha investito moltissimo in questo viaggio biennale, soprattutto il Dottor Kim, che ha portato con sé delle alghe per svolgere delle sperimentazioni direttamente sul pianeta rosso, culmine di anni di ricerche.

Già in fase di decollo con lo shuttle non tutto procede come previsto, ma i tre riescono a raggiungere la stazione spaziale che li porterà su Marte; le cose, tuttavia, peggioreranno ulteriormente proprio durante le prime fasi del viaggio. La presenza di un estraneo non previsto a bordo complicherà notevolmente le cose e il danneggiamento dei supporti vitali li porterà a prendere in considerazione ipotesi piuttosto estreme.

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Nonostante il titolo scelto per la distribuzione italiana non sia dei più accattivanti – in originale il titolo è Stowaway, traducibile semplicemente con “clandestino” – il film presenta delle buone premesse; ricco di riferimenti ad altri lavori del genere sci-fi tra i più apprezzati, Estraneo a bordo ha tutte le carte in regola per essere vincente. È soprattutto la scelta di concentrarsi del tutto sulla situazione attuale e non definire un background per i personaggi ad intrigare maggiormente; ognuno di loro è definito già dai primi minuti sulla base di ciò che dice o fa piuttosto che su un passato che tanto o niente può dire di una persona. Non ci muoviamo a compassione per il vissuto di David o Zoe, ma per l’umanità che dimostrano o meno di fronte a scelte difficili.

L’unico di cui gli sceneggiatori ci dicono qualcosa è proprio il personaggio chiave della storia, Michael Adams (Shamier Anderson), in un interessante ribaltamento dei ruoli classici. L’estraneo è lui, esattamente come può essere la razza aliena incontrata in qualunque altro film del genere, eppure è l’unico di cui conosciamo il passato e non ciò che lo ha portato a bordo della nave. Al contrario, del vero equipaggio conosciamo solo i rispettivi ruoli e davvero poco – se non niente, nel caso del capitano Barnett – del loro passato e di come questo abbia influenzato le loro azioni nelle vicende a cui assistiamo. Tutto il film risiede nell’unico vero aspetto chiave importante: l’umanità dei rispettivi membri dell’equipaggio e la reazione emotiva che hanno di fronte ad una tragedia annunciata.

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Questa scelta ha una forte influenza anche sulla messa in scena del dramma; l’unico spazio che il regista mostra allo spettatore è proprio la nave su cui viaggiano i passeggeri. Non ci è dato conoscere il team che si trova a terra e che guida il viaggio dei tre, e proprio nel momento in cui comunicano con la Terra al pubblico è concesso conoscere solo le risposte di Marina, David o Zoe e non anche la domanda a loro rivolta.

Tutto ciò non solo crea una profonda sensazione di claustrofobia – nonostante le inquadrature sullo spazio sconfinato – ma anche un certo distacco con i più recenti blockbuster del genere. Basti pensare ad Interstellar, un film che ha fatto dell’emotività e dei salti logici un marchio di fabbrica; tutto questo non avviene in Estraneo a bordo: non c’è spazio per flashback o montaggi paralleli che raccontano ciò che il protagonista non può sapere. Il nostro punto di vista coincide perfettamente con quello dei personaggi, ma questo non implica certo una mutilazione della sfera emotiva. Tutto ciò che provano loro – in particolare Zoe e Michael – arriva come un macigno anche a noi, pur senza aver tutte le carte per giudicare appieno la situazione.

Tutto questo ricorda di gran lunga un altro neo-cult della fantascienza, Gravity, piuttosto che un vero e proprio cult di sempre, Alien. Entrambi – nonostante le dovute distanze di genere – sono totalmente ambientati in spazi claustrofobici e quasi del tutto concentrati sull’azione anziché sul passato dei protagonisti, con Alien che vira più verso l’horror, mentre nel film di Cuarón viene concesso più spazio proprio al background dei personaggi. Non è un caso che la tanto citata Hyperion di Estraneo a bordo rimanga interamente nell’ombra, al pari della famigerata Weyland del cult di Scott, lasciando difatti nel finale pari chance di sequel – per la trama nebulosa rispetto all’esterno.

Ma ad essere interessante, ancora dal punto di vista narrativo, è la distribuzione delle complicazioni; come anticipato, già dai primi momenti allo spettatore è concesso intuire che quello non sarà uno dei voli più facili mai eseguiti da un team di esperti, ma il vero incidente scatenante – la scoperta di Michael a bordo – non tarda ad arrivare. Da quel momento la sceneggiatura si prende una pausa e indaga molto di più nella mente dei protagonisti fino alla seconda metà del film.

Volendo esagerare si potrebbe dire che in quasi due ore di lungometraggio la vera azione si concentri negli ultimi quaranta minuti, ma non è lì il centro della storia. Proprio nell’occasione di conoscere meglio l’equipaggio ritroviamo il vero cuore del film, sebbene abbia senso proprio in virtù dell’incidente scatenante. Infatti, il primo plot twist è abbastanza scontato e passa quasi inosservato, tuttavia la sua prevedibilità non è solo una debolezza, ma offre l’opportunità di concentrarsi in toto su tutti i personaggi e sulle loro reazioni.

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Da punto di vista tecnico invece non c’è molto da dire: film che si concentrano prevalentemente sulla sceneggiatura e sulla profondità dei propri personaggi godono in genere di una regia e di un montaggio alquanto classici, che tendono a rendersi invisibili proprio in favore di una più semplice lettura della storia. Nonostante questo ci sono comunque degli apprezzabili carrelli a precedere, che concedono allo spettatore una posizione di riguardo a bordo e che grazie alla loro incredibile stabilità – considerando che non dev’essere stato facile girare in posti così stretti e angusti – rendono ancora più facile la lettura della sequenza.

Un’ultima menzione più personale vorrei infine rivolgerla al cast, davvero incredibile. Se a molti è già capitato di vedere Toni Collette e Daniel Dae Kim in ruoli drammatici, lo stesso forse non si può dire per Anna Kendrick, che di solito ricopre il ruolo di adorabile imbranata in commedie commerciali. Nonostante anche in Estraneo a bordo si porti un po’ dietro l’eco di questo tipo di personaggio, si apre anche ad un ruolo più profondo e drammatico con una naturalezza che mi ha piacevolmente stupito. Interessante anche l’interpretazione di Shamier Anderson, che senza dubbio fin qui si è misurato maggiormente con ruoli televisivi che non cinematografici.

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Unica piccola pecca del film è, purtroppo, proprio parte del suo punto di forza. Se in effetti Estraneo a bordo è accattivante proprio per le poche nozioni che dà, è pur vero che una spiegazione del perché Michael sia stato ritrovato ferito a bordo e chiuso in un angolo dell’astronave sarebbe d’obbligo. Tuttavia si tratta di un buco di trama talmente grande che potrebbe trattarsi non di una svista, ma della precisa volontà degli sceneggiatori di glissare sull’argomento, forse nell’ottica di un sequel o qualcosa di simile.

In ogni caso il dettaglio, seppur difficile da non notare proprio per le congetture che comporta, tende a non pesare più del dovuto, forse anche grazie per la capacità della sceneggiatura di catturare lo spettatore con altri elementi, fornendogli un film che va oltre lo sci-fi e si mescola con il dramma regalando emozioni intense.

Un ringraziamento speciale a Netflix




Claudia_Smith Articoli
Piccola bambina cresciuta a pane e Dragonball, in tenera età scopre l'amore per tutto ciò che è narrazione, dai film ai libri fino ai fumetti di ogni tipo. Ad oggi cacciatrice compulsiva di news per tutto ciò che riguarda la cultura Nerd.

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