Altered Carbon – stagione 1

Voto:

Il filone fantascientifico sta tornando in auge e io non potrei esserne più felice. Un’altra grande produzione di questo genere è Altered Carbon: serie originale Netflix tratta dal romanzo Bay City di Richard K. Morgan, che nel lontano 2003 gli valse il Premio Philip K. Dick (questo nome vi ricorda qualcosa?).

In realtà la storia fa parte di una trilogia e gli eventi raccontati in questa prima stagione dovrebbero corrispondere al primo dei tre libri (uso il condizionale poiché non ho letto il romanzo, semisconosciuto da noi ma adesso in ristampa, per chi fosse interessato). La sceneggiatura è stata scritta da Laeta Kalogridis (Shutter Island), che ne acquistò i diritti in attesa di trovare un produttore, attesa durata più di 10 anni. Quindi grazie Netflix per averci regalato questa fantastica serie tv.

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Nei dieci episodi della stagione veniamo catapultati in un mondo futuristico e fantascientifico nel quale la popolazione umana ha sconfitto (quasi del tutto) la morte, grazie ad una tecnologia aliena perfezionata ed adattata alle necessità umane: la pila corticale. Questo dispositivo viene inserito, proprio come se fosse un hard disk, tra le vertebre cervicali, in modo da registrare tutte le informazioni di personalità, memoria e intelligenza del soggetto. L’operazione di solito viene eseguita in tenera età, così che l’animus, ossia ciò che è contenuto nella pila corticale (quindi la vera essenza di ogni essere umano), possa crescere e svilupparsi. Questa “essenza” viene trattata proprio come se fosse una raccolta di semplici dati computerizzati, infatti è possibile fare un backup di se stessi oltre che trasferire la propria coscienza in altre pile corticali (naturalmente vuote), e la vera morte si ottiene quando la pila viene distrutta.

In un contesto del genere si può ben capire che il concetto di corpo come tempio dell’uomo viene completamente ribaltato; i corpi umani vengono chiamati “custodie“, considerati dunque semplici e banali involucri per ciò che è veramente importante: l’animus. Le persone più facoltose possono permettersi svariati involucri, cloni di loro stessi, corpi sintetici o modificati geneticamente, e in virtù della loro potenziale immortalità si fanno chiamare Mat (da Matusalemme). Chi invece non ha i mezzi per cambiare custodia a piacimento deve accontentarsi di cosa passa il convento, quindi può capitare che una donna si ritrovi nel corpo di un uomo, o una bambina in quello di una donna di mezza età: la disparità sociale è evidente. Non manca nemmeno l’elemento religioso, con una fazione estremista: i Neo-Cattolici, i cui appartenenti rifiutano il trasferimento della propria pila corticale in un’altra custodia, per la salvezza dell’anima.

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Il protagonista della storia è Takeshi Kovacs, ex-militare e in seguito ribelle, rimasto “ibernato” per 250 anni, per poi essere risvegliato e impiantato in una nuova custodia sotto richiesta di Laurens Bancroft, l’uomo più ricco della città, al fine di scoprire il colpevole del suo omicidio. Il magnate ha voluto proprio Kovacs poiché lui è l’ultimo degli Spedi: una fazione ribelle segreta, addestrata in maniera ferrea in attacco e resistenza, sia fisica che psicologica, dotata di un intuito particolare e capacità fuori dal comune. Un uomo tormentato dai fantasmi del suo passato, dalla psicologia complessa che però incarna l’archetipo del duro dal cuore d’oro. Possiede un suo codice morale che non infrange mai e anche se tenta di reprimere ogni tipo di sentimento è comunque un essere umano e alla fine vi cede.

La trama tutto sommato è molto lineare, e a rendere questa serie così avvincente e godibile contribuiscono molto le sottotrame, l’ambientazione e gli elementi da noir classico.

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L’ambientazione è squisitamente cyberpunk, con una città futuristica, Bay City (una nuova San Francisco), rappresentata con maestria, sia dagli effetti speciali che dalle scenografie. La disparità di classe è evidente nei luoghi in cui si muove il protagonista, che passa dai bassifondi ai -letteralmente- piani alti, mostrandoci con cruda realtà e con la vena critica tipica di questo genere di prodotti, la vita degli abitanti del XXV secolo. La corruzione che dilaga in ogni ambito della vita, sia pubblica che privata, è un tema centrale e portante della storia, e Kovacs assume (suo malgrado) il ruolo di eroe risolutore.

Le influenze esterne sono abbastanza evidenti in questa serie, a partire dall’opera di fantascienza per eccellenza, Blade Runner, fino a qualcosa di più moderno come Ghost in the Shell. Troviamo scene da film noir anni ’50 e anche un grande e gradito omaggio al maestro dell’horror Edgar Alan Poe. Un mix che funziona alla grande, regalandoci un prodotto di una qualità molto alta, sia dal punto di vista visivo che narrativo, perché una bella immagine senza una storia solida non è sufficiente a far appassionare lo spettatore.

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Ho avuto difficoltà a trovare dei difetti in questa produzione Netflix, ma volendo fare la pignola direi che alcune questioni del passato di Kovacs non sono spiegate in maniera soddisfacente, tanto da lasciare dei dubbi enormi che (almeno per ora) non vengono fugati. Il finale aperto non mi ha soddisfatta, la serie a mio parere è bellissima e completa così com’è, e proseguirla mi sembra una forzatura, ma dal momento che anche il romanzo va avanti con altri due volumi è quasi certo che vedremo altre stagioni basate su questo materiale.




Lizbeth Articoli
Come descrivermi? Sono una Wannabe, provo ad essere una: Youtuber, Scrittrice, Cuoca, Makeup Guru, Pasticcera, Cosplayer, e chi più ne ha più ne metta...

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