Ghost in the Shell

ghost in the shell recensione

Voto:

Disclaimer: sotto suggerimento di un esperto ho visto il film senza aver prima guardato l’anime (o letto il manga), quindi la mia recensione parlerà solo ed esclusivamente del live action.

Giappone, in futuro imprecisato dove la tecnologia ha invaso finanche il corpo umano, una misteriosa ragazza viene salvata da morte certa tramite l’impianto del suo cervello in uno shell (lett. Guscio) robotico; questo processo le permette di conservare la sua coscienza umana: il Ghost. Ella così diviene il Maggiore Mira Killian, la protagonista della pellicola interpretata da Scarlett Johansson. Il merito di questa innovativa tecnologia è della Hanka Robotics, azienda che si prodiga in prima linea nella lotta contro il terrorismo, difatti il maggiore entrerà a far parte della Sezione 9, un gruppo di polizia speciale incaricato di difendere il governo dagli attacchi cibernetici, molto popolari in questo futuro alternativo.

Lo sviluppo di questo film ha fatto sorgere molte polemiche fin dalla divulgazione del cast ufficiale. È stato accusato di whitewashing, oltre che di aver completamente snaturato la trama principale del manga di Masamune Shirow, o l’anime del regista Mamoru Oshii. Personalmente penso che sia una polemica un po’ gonfiata, poiché i personaggi si adattano perfettamente al contesto del luogo in cui si muovono. La città futuristica che ci viene presentata è sì asiatica, ma comprende un melting pot non indifferente; mentre i protagonisti camminano per le strade della città si possono vedere persone delle più disparate etnie: africani, arabi, caucasici e asiatici, quindi la presenza di una protagonista non giapponese non è così assurda e fuori contesto.

Il mondo cyberpunk che il regista Rupert Sanders ci presenta è realizzato con degli effetti speciali magnifici e forse questo vale da solo il prezzo del biglietto. Abbiamo gigantesche pubblicità olografiche che fuoriescono dai grattacieli, geishe robot, uomini modificati dai più disparati potenziamenti robotici e ogni sorta di congegno ipertecnologico. Le riprese aeree della città sono splendide e rendono perfettamente l’idea di metropoli futuristica.

In questa ambientazione si svolgono gli eventi che costituiscono l’intreccio del film e vengono presentate le tematiche filosofiche che sono alla base del lavoro di Shirow: il rapporto uomo-macchina e la ricerca della propria identità. Temi principali di ogni opera di fantascienza che si rispetti, che però in questo film sono espressi fin troppo banalmente. L’approfondimento non è sufficiente a far scaturire nello spettatore un proprio pensiero in merito alle questioni presentate, perché l’identità del maggiore come macchina è svelata fin dall’inizio del film e quindi la ricerca della sua identità (di donna o di macchina) diventa invece un viaggio per scoprire il proprio passato. La sua condizione di robot dal cervello umano è nota a tutti e nessuno sembra sorprendersi più di tanto, quando invece dovrebbe essere un evento eccezionale e inspiegabile, essendo lei l’unica della sua specie. Anche il rapporto tra creatore e figlio è ridotto ai minimi termini e presentato con poche scene dallo spessore emotivo di una sottiletta. Alcune scene inserite per cercare di far capire la complessità del personaggio della Johansson e le turbe psicologiche che le offuscano il cervello sembrano messe lì a caso, senza un vero nesso logico con la trama principale.

Le scene d’azione si salvano solo grazie all’uso degli spettacolari effetti speciali; sono davvero pochi i combattimenti corpo a corpo e molte le sparatorie in puro stile americano. Per quanto riguarda i dialoghi, solo alcuni cercano di far riflettere sulle tematiche che il film tenta di presentare al grande pubblico, mentre la maggior parte di essi è solo una spiegazione didascalica di ciò che dovrebbe essere scoperto con l’andare avanti del film. Mi è dispiaciuto molto che questi temi importanti e profondi siano stati ridotti al minimo e presentati in modo superficiale, è come se il regista ci avesse fatto solo una panoramica sulle questioni umane in relazione ai robot e alla propria identità, senza approfondire questo complesso argomento che da solo avrebbe di certo fatto scaturire interessanti dibattiti post visione. Tutto è solo accennato, tanto che non hanno trovato il tempo per far capire allo spettatore cosa realmente sia il Ghost. È la coscienza individuale insita nel cervello? È l’identità personale, i nostri ricordi? O è qualcosa di totalmente nuovo? Nel film viene spiegato che il Ghost è strettamente collegato al cervello di una persona, ma la mente umana è così complessa che non si può ridurre ad una spiegazione così semplice; la nostra identità è tale anche grazie al nostro passato, ma in questo film viene ribaltato tutto e non è affatto analizzato bene, tanto che sono rimasta con un dubbio atroce.

La caratterizzazione dei personaggi principali è ben fatta, sono particolari e facilmente riconoscibili, i costumi sono originali e visivamente attraenti. Purtroppo non basta solo la bella presenza e un bravo attore per far vivere un personaggio, serve anche farlo interagire con gli altri e il mondo circostante; col secondo punto ci siamo, ma le relazioni interpersonali non sono affatto approfondite, ogni personaggio che ruota intorno al Maggiore sembra a sé stante; anche se si preoccupa per lei o sembra provare un interesse particolare, alla fine ognuno continua ad andare per la propria strada. Anche il rapporto Maggiore-Batou poteva essere approfondito in maniera migliore vista la complessità e la profondità di entrambi. Invece i personaggi secondari sembrano dei contorni messi giusto per fare numero: vengono presentati e caratterizzati, ma abbandonati a se stessi.

Scarlett Johansson è stata criticata per la sua interpretazione del Maggiore Mira Killian, ma io mi sento di dissentire. La sua performance è conforme al personaggio, distaccato e non del tutto umano, anche se la sua camminata “da robot” in alcuni momenti è esilarante; il problema di questo personaggio non è l’attrice che lo interpreta, ma il poco spazio dato alla sua psicologia, alla sua crescita e alle lotte interiori che dovrebbe avere, purtroppo quasi inesistenti in questo film.

Ghost in the Shell soffre di svariati problemi, ma non mi sento di bocciarlo totalmente. Forse da fan del manga lo avrei stroncato, ma ho deciso di non leggerlo proprio per cercare di dare un’opinione il più obiettiva possibile. Alla fine è stato un film godibile, esteticamente bello e senza la pretesa di diventare il nuovo capolavoro del genere fantascientifico, con una storia intrigante che purtroppo gratta solo la superficie di un universo troppo complesso per essere spiegato nella durata di un film.

Guarda la nostra video recensione di Ghost in the Shell




Lizbeth Articoli
Come descrivermi? Sono una Wannabe, provo ad essere una: Youtuber, Scrittrice, Cuoca, Makeup Guru, Pasticcera, Cosplayer, e chi più ne ha più ne metta...

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