Genius

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Genius racconta le vicende dello scrittore americano Thomas Wolfe, vissuto durante la catastrofica crisi economica del ’29, epoca in cui risuonavano intensamente nei circoli e per le strade di New York i nomi di Hemingway e Fitzgerald. Non avete colto pressocché nulla di quanto appena detto? Bene, risparmiate i soldi del biglietto: nonostante Genius sia opera degli stessi produttori de Il Discorso del Re -garanzia di un buon film- potrebbe annoiarvi non poco se non possedete un’infarinatura generale di letteratura americana, ma soprattutto, la passione per la lettura. Se state pensando ” ‘mazza che snob questa” siete entrati nello spirito del film!

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Thomas Wolfe è un giovane autore in cerca di editore: vaga per le strade piovose di New York con un’aria afflitta e decisa allo stesso tempo, lo sguardo frustrato di chi sa di avere tra le mani un ottimo prodotto che non viene riconosciuto tale. Dopo l’ennesimo rifiuto, prova a rivolgersi quasi per gioco alla Charles Scribner’s Son -che ha la fama di aver scoperto e pubblicato le opere di autori del calibro di Hemingway e Fitzgerald appunto- e a sorpresa viene convocato per un colloquio. Tom (Jude Law) irrompe senza preavviso nell’ufficio di Maxwell Perkins, un come sempre fenomenale Colin Firth, attratto dalla libreria antistante la scrivania, che, “tranne Tolstoj”, raccoglie tutte i libri pubblicati dalla sua casa editrice. Con grande sorpresa di Tom, il suo romanzo viene preso in considerazione, ma ci sono dei capitoli da tagliare: il suo scritto è troppo lungo affinché possa essere tramutato in un bestseller. Ciò porterà ad un serie di risentimenti e malcontenti tra i due in futuro, tuttavia, il compromesso raggiunto permette all’opera in questione di diventare un successo internazionale. E’ l’inizio di un proficuo rapporto lavorativo e di profonda amicizia tra Perkins e il giovane autore.

A questo punto della storia, ci vengono introdotti i due personaggi femminili principali, interpretati da due volti noti di Hollywood: Nicole Kidman e Laura Linney (la moglie di Jim Carrey in The Truman Show). Purtroppo, entrambe ricoprono due ruoli piuttosto marginali ed insipidi, il che è assolutamente uno spreco di talento e non solo: tutti ricordano il riuscitissimo “Ritorno a Cold Mountain” anche grazie alla chimica tra la Kidman e Jude Law, in questo caso intrappolati in una relazione triste e senza futuro, mentre Laura Linney funge esclusivamente come perno della famiglia e come appoggio per il marito (Maxwell); entrambe hanno una prospettiva di carriera nel mondo del teatro, che in un caso non viene presa sul serio e nell’altro non viene neanche nominata a cena. Ma, hey, sono gli anni ’30.

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Ciò che turba maggiormente lo spettatore è la palese mancanza di empatia di Tom verso le persone che lo circondano: un uomo in grado di cogliere con le sue parole l’intero spettro dei sentimenti umani, maestro assoluto nell’utilizzo delle figure retoriche, non sente il dolore che prova la sua compagna. La vediamo in una scena, dopo aver minacciato il suicidio per l’ennesima volta, camminare ciondolante per i corridoi della Charles Scribner’s Son, sotto lo sguardo incredulo di Perkins; nel frattempo Tom continua a parlargli imperterrito del suo prossimo romanzo. In contrapposizione al suo carattere egoista, il regista Michael Grandage ci presenta il personaggio di Francis Scott Fitzgerald: dopo il successo de Il Grande Gatsby, lo scrittore cade in rovina perché non riesce più a scrivere nulla e tira avanti solo grazie all’aiuto economico dell’amico Maxwell (che dimostra di essere il vero protagonista della storia). In più, porta sulle sue spalle il peso della malattia mentale della moglie, di cui continua a prendersi cura nel corso degli anni. Tom più di una volta non riesce a comprendere le scelte del collega, facendosi anche beffa delle sue disgrazie, finché Maxwell non gli dice quella che è stata la mia frase preferita del film: “5000 delle tue parole non valgono 5 di quelle di Francis”. Effettivamente, dopo tanti anni, parliamo ancora di Gatsby e non di Look Homeward, Angel.

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Non voglio svelarvi oltre, solo dirvi che l’intento di questo film è quello di sottolineare l’importanza dell’essenziale: nei romanzi, come nella vita, la chiarezza è la chiave per conquistare il lettore, quindi meno fronzoli, meno paroloni: delle volte bastano poche righe per entrare nella storia. Un’altra riflessione che segue la visione di questo film, è il pensiero di quanti potenziali artisti siano stati scartati nel corso della storia a causa degli editori e quanti romanzi che amiamo ancora oggi ci sono stati presentati profondamente modificati nella loro struttura originale. Sebbene sembri mancare di un corpo centrale solido, la pellicola riesce bene nel suo scopo: raccontare il viaggio e l’evoluzione di un uomo, di un artista, di un genio.




Princess_Leia Articoli
Classe 1990, appassionata di cinema, musica, serie tv, letteratura e quando il Dio Denaro lo permette, anche viaggiatrice compulsiva! - Books, records, films, these things matter. Call me shallow but it's the fuckin' truth -

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