Soulstice, un diamante imperfetto tutto italiano (PC)

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Da alcuni anni l’industria italiana dei videogiochi si è risvegliata dal torpore. A dimostrarlo sono piccoli gioielli come Mario + Rabbids: Kingdom Battle, Martha Is DeadDaymare: 1998 e tanti altri. Prodotti, insomma, che hanno preso alla sprovvista pubblico e critica per la loro innegabile qualità. Quest’anno lo studio milanese Reply Game Studios ha voluto alzare ancor di più l’asticella, pubblicando – insieme alla californiana Modus Games – niente di meno che un hack and slash con elementi stylish action; il suo nome è Soulstice.

Gli sviluppatori, dopo quattro anni di sviluppo, hanno affermato sin da subito che si tratta di un titolo influenzato pesantemente sia da classici della letteratura giapponese dark fantasy come Berserk e Claymore, sia da pietre miliari del genere come Devil May Cryil primo capitolo soprattutto – e Bayonetta. I giovani artisti hanno tenuto testa alle aspettative? Scopriamolo subito, sviscerando un prodotto più ricco di quanto si potrebbe credere.

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Briar e Lute, le eroine della storia.

Dall’alba dei tempi due forze opposte, l’Equilibrio e il Caos, si contendono il vasto Regno di Keidas. La prima è simboleggiata da tre entità chiamate Custodi: la Portatrice della Fiamma, il Giudice e lo Scultore (in una parola, la Triarchia); la seconda gode di folte schiere di creature mostruose note come Spettri, Corrotti e Posseduti. A combattere in difesa dell’Equilibrio vi è l’Ordine della Lama Cinerea, capitanato da un misterioso individuo di nome Lord Dugal: questa organizzazione è formata da Paladini e da letali Chimere, guerrieri “ibridi” nati dall’unione di due anime. Quando inaspettatamente il Velo che divide il mondo terreno dal Caos si squarcia, i servi del male invadono la cittadella di Ildenmere e iniziano a consumare la popolazione, impossessandosi dei corpi dei cittadini e trasformandoli in orrende mostruosità.

È qui che entrano in scena Briar e Lute, due sorelle dal passato tormentato, rinate come Chimera e divenute quindi Paladine Cineree. La prima è dotata di forza e resistenza straordinarie, la seconda – sacrificatasi per legare perennemente la sua anima a Briar – è un fantasma capace di scatenare poteri mistici e sovrannaturali. La loro missione è salvare Ildenmere dalla caduta, risanando la Breccia nel Velo per impedire il Solstizio delle Anime – da cui il titolo del gioco – un evento catastrofico capace di permeare il mondo di Caos e che pare essere stato architettato dai Trascesi, ex Chimere divenute creature ripugnanti. In tutto ciò, l’Ordine per cui operano Briar e Lute non è del tutto affidabile: nasconde forse altri piani? Le nostre eroine sono veramente pronte ad affrontare una così enorme minaccia?

Armate inizialmente di due sole armi – uno spadone e un martello da guerra – le protagoniste avanzano in direzione dell’acropoli attraverso cinque atti e venticinque capitoli. Questa scalata porta a conoscere altri personaggi chiave come l’Osservatore Layton, un collega che permette di acquistare buff e potenziamenti. Parlare con lui, inoltre, consente di ricevere informazioni aggiuntive sulla lore: in qualità di comprimario di spicco avrà ovviamente precise implicazioni con la narrazione. Un’altra figura portante è Donovan il Senza Ombra, un tributo al Gatsu di Kentaro Miura nonché guerriero che acquisisce un’importanza sempre maggiore nel corso del racconto.

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Il porto di Ilden, l’ambientazione che accoglie il giocatore.

Il primo vero boss – un Arciere Posseduto con interessanti gimmick – scatena un plot twist: una sequenza, a cui ne seguono altre identiche più avanti, dove apprendere la storia delle due inseparabili sorelle e il loro passato, grazie all’esplorazione lineare dei ricordi di Briar. Non mancano quindi approfondimenti sui pesanti fardelli della Chimera così come sulle sue origini avvolte dal mistero e intrecciate con loschi intrighi. Il rapporto di Briar e Lute è genuino, credibile e scritto con buona mano; complice anche l’ottimo doppiaggio da parte di Stefanie Joosten (Metal Gear Solid V: The Phantom Pain). La loro parabola è ricca di dolore, un dolore inebriante che può donare grande forza, in cambio della propria umanità.

Il motore che spinge la storia è sicuramente la curiosità: l’intreccio è intrigante così come i suoi risvolti più inattesi. A ciò si aggiunge il desiderio di sfide sempre nuove e impegnative; Soulstice è di fatto un gioco perfetto per casual e hardcore gamer. Il mondo in cui si è immersi è denso di intrighi mondani e spirituali e risulta un’ambientazione viva e peculiare. È interessante notare come più ci si avvicina alla Breccia, più Ilden cambia volto, diventando sempre più inospitale e minacciosa. In questo senso, il Monastero ha al suo interno degli ambienti che godono di una direzione artistica davvero invidiabile. Da segnalare però alcune arene troppo ostiche in cui, data la nutrita presenza di trappole, i combattimenti risultano veramente difficili e forse eccessivamente punitivi.

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Insomma, la trama scorre bene, complici rivelazioni graduali che stuzzicano l’interesse del giocatore. Purtroppo, giunti oltre la metà della storia, quest’ultima viene frammentata eccessivamente attraverso una considerevole serie di livelli, cosa che mina decisamente il ritmo. Ritmo che – paradossalmente – verso la fine arranca abbastanza; in altre parole, Soulstice – nel bene e nel male – è più lungo del previsto. Questo difetto arriva al limite se si prende in considerazione uno dei capitoli più avanzati: una speedrun divisa in due parti – senza checkpoint – piena di battaglie rese frustranti sia dalla pessima gestione della telecamera e dell’agganciamento dei nemici, sia da sezioni platform avvilenti a causa della suddetta telecamera mal posizionata.

Come specificato, inoltre, saremo costretti a ripetere tutto dall’inizio in caso di fallimento: ciò può solo generare odio puro. Persino il boss finale non è esente da difetti: per quanto la lotta sia coreografica ed esteticamente lodevole, fa affidamento a trovate di game design troppo datate che portano lo scontro ad essere lungo, legnoso e ripetitivo. Quest’ultima fatica porta ad una conclusione resa imprevedibile da un colpo di scena che apre ad un seguito o eventualmente ad una saga, dal momento che pesanti questioni rimangono irrisolte.

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Sfido chiunque a dire che Donovan non sia la copia sputata di Gatsu.

Venendo al cuore di Soulstice, ovvero alle sue meccaniche di gameplay, voglio immediatamente sottolineare come il tutorial sia chiaro e lineare, perfetto per tutti, anche per i neofiti. Il tutto ha – viste le ispirazioni citate all’inizio dell’articolo – un “feeling da PlayStation 2” (nel bene e nel male). L’impostazione è quella del primo Devil May Cry: la telecamera è semi-mobile e le combo più basilari prevedono un attacco normale, uno pesante e un lancio per scagliare in aria i nemici. Il gioco si sviluppa quindi attorno a combattimenti – prevalentemente in arene – separati da sezioni esplorative. Queste sono riempite di semplici puzzle ambientali che fanno il loro dovere nello spezzare il ritmo tra i vari scontri (anche se, col passare delle ore, risolverli diventa proprio noioso per via della loro ripetitività).

Indagare minuziosamente a Ilden è utile per ottenere cristalli capaci di potenziare le abilità di Lute e sbloccare nuove mosse per Briar, nel pieno rispetto dei canoni del genere. A questo proposito, ogni tanto potremo imbatterci in potenziamenti segreti, preziosi consumabili o portali nascosti che conducono a sfide speciali. Queste ultime possono essere rigiocate in ogni momento dal menu principale per migliorarne il punteggio. Alcune sono veramente difficili – soprattutto nelle fasi più avanzate – e non è raro che palesino alcune lacune del combat system (su cui tornerò più avanti).

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La progressione risulta tutto sommato abbastanza lineare; dall’Atto II si fa leggermente più articolata ma è del tutto improbabile confondersi o perdersi. Questa semplicità di fondo non è assolutamente un male, visto che il tempo è un pesante elemento di valutazione sia dei combattimenti sia delle missioni nella loro interezza. Le sezioni dedicate al platforming favoriscono le speedrun, a maggior ragione se si pensa che alcuni capitoli sono interamente riservati a singole boss fight, tutte molto divertenti, equilibrate e dal design fantastico. Sfortunatamente, come capita in molti platform 3D, la posizione della beneamata telecamera in specifiche situazioni – certe volte troppo lontana da Briar – impedisce di comprendere appieno la profondità e la struttura di certe aree, rendendo difficile calibrare i salti da una piattaforma all’altra o causando cadute nel vuoto involontarie. Queste ultime potrebbero minare la progressione, dal momento che non è sempre possibile fare backtracking ed errori accidentali impediscono spesso e volentieri di investigare a dovere.

Gravi problemi simili si segnalano inoltre durante i combattimenti (specialmente in spazi stretti): quando certe arene si riempiono di proiettili e nemici – soprattutto gli Squartatori o le Urlatrici – anche agganciando gli avversari la telecamera fatica davvero tanto a seguire i movimenti delle orde. Nei casi peggiori si incastra negli angoli, impedendo di giocare come si deve. Ciò mette in seria difficoltà l’utente, costretto a incassare colpi alle spalle o da zone che non riesce a vedere in mezzo alla confusione. Un problema affine affligge anche il sistema di agganciamento: in campi stracolmi di nemici – grandi o piccoli che siano – è spesso arduo focalizzarsi su un mostro specifico dandogli priorità, poiché controllare il mirino – gestito in maniera semi-automatica – è tutt’altro che comodo.

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Briar, come sottolineato in precedenza, è dotata di una spada e di un martello – rispettivamente la Vendicatrice e l’Esecutore Cinereo – ma, come in ogni hack and slash che si rispetti, il suo armamentario viene via via espanso. Gli equipaggiamenti sbloccabili sono cinque e siccome ripetere gli stessi attacchi e le stesse combo influenza negativamente i punteggi, cambiare strategia è sia utile che obbligatorio. Ogni arma gode dunque del suo utilizzo specifico, ciò significa che non esistono oggetti più potenti di altri, ma ognuno di loro è efficace in determinate situazioni. Questa varietà fa sì che non ci si ritrovi mai ad usare soluzioni offensive identiche, dal momento che Soulstice spinge a sfruttare tutte le opzioni a nostra disposizione. Il summenzionato armamentario è composto da:

  • Mano punitrice, un guanto pesante combinato con uno scudo (vantaggioso contro le armature e da sfruttare per parare, spezzare la guardia o respingere gli avversari)
  • Cacciatore consacrato, un arco composito per braccare le creature volanti che spesso e volentieri possono risultare assai fastidiose
  • Contrizione lacerante, una frusta dall’ampio range che permette di fare zoning, arginando più nemici alla volta
  • Lame clementi, dei pugnali per sferrare attacchi più rapidi del normale
  • Zeloti ardenti, cannoni a forma di tonfa che uniscono combo melee con spari a distanza

La peculiarità grazie alla quale i ragazzi di Reply Game Studios vogliono distinguersi sta nell’impostazione delle lotte. Briar e Lute devono infatti combattere in sinergia, e ciò si traduce nel comandare entrambi i personaggi simultaneamente (chi conosce Astral Chain si troverà a suo agio). Mentre la spadaccina scatena le varie combo, Lute – in qualità di fantasma – argina gli assalti nemici e fornisce supporto offensivo o difensivo in numerosi modi, dettati dalle abilità che si andranno a sbloccare col tempo (deviare proiettili, piazzare mine esplosive, scagliare lontano certi mob, rilasciare sciami di energia e così via).

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La prima, fondamentale manovra difensiva è il contrattacco: premendo il tasto corrispondente al momento giusto – un vero e proprio quick time event – è possibile mitigare la maggior parte degli attacchi. Nella sua forma base, il contrattacco blocca il tempo per i mostri, consentendoci di effettuare una schivata (abbastanza legnosa). Sbagliare il timing vanifica le nostre difese, mentre una parata perfetta può indebolire gli avversari (in varie modalità che cambiano a seconda dei potenziamenti). È un vero peccato che questo sistema, per quanto stimolante, si traduca a volte nel dover affrontare un numero schiacciante di orde che incoraggiano il giocatore a spammare il suddetto contrattacco senza imparare il timing, svilendo quindi la meccanica stessa.

Le altre due componenti che caratterizzano il combat system di Soulstice sono il Campo di evocazione e il Campo di esilio. Mosse chiave con cui sfruttare Lute per interagire con entità appartenenti ad un altro piano di esistenza. In parole povere – proprio come accade nel DmC: Devil May Cry di Ninja Theory – alcuni elementi degli scenari, così come certi nemici, sono distinti per colore – blu e rosso – e diventano tangibili solo all’interno dei sopracitati Campi. Attivandoli, tuttavia, l’Entropia di Lute salirà; una volta al massimo, la nostra compagna andrà in sovraccarico, scomparendo (non potrà quindi aiutare Brier per alcuni secondi). Ammetto di non aver apprezzato quest’ultima trovata di game design, anzi l’ho trovata tediosa a lungo andare, nonché decisamente datata.

Insieme ai Campi, la Coesione è un ennesimo dato da tenere assolutamente d’occhio durante le scazzottate poiché rappresenta il livello di unione tra le sorelle: più è alta la loro armonia, più saranno efficaci in combattimento. Giostrarsi tra combo articolate aumenta il moltiplicatore, subire danni e interrompere le offensive ci penalizza. Un alto grado di Coesione permette di agire in un paio di modi: scatenando potenti Attacchi sinergici di varia natura o cedendo al Furore. Questo non è altro che un potenziamento temporaneo di Briar che danneggia nemici di ogni tipo e classe, ma che – di contro – rende impossibile cambiare armi o usare consumabili. È uno status che ha un suo albero delle abilità dedicato – unito a quelli destinati ad attacco, difesa e Campi – i cui potenziamenti variano a seconda dell’allineamento di Lute (diviso in Equilibrio, Maestria, Caos e Astuzia). In questo senso, è molto comodo il respec gratuito delle abilità, che permette di provare diverse combinazioni per scoprire quale si adatta di più al nostro stile di gioco.

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Il Furore può trasformarsi in Follia se la salute scende sotto una certa soglia. In questo stato Briar diventa estremamente veloce e letale; attenzione però: abusarne può portare alla morte.

A proposito di alberi delle abilità, è un vero peccato che Briar – a differenza della compagna – non ne abbia uno altrettanto articolato. I power-up della Chimera, per tutte le armi, sono molto simili tra di loro e permettono di compiere azioni quasi identiche, c’è poca varietà. Il sistema fa comunque il suo dovere permettendo di indirizzare le risorse raccolte verso le armi con cui ci si trova a proprio agio. Ognuna di esse ha tre livelli di Padronanza da sbloccare: questi buff servono ad aumentare la loro efficacia in determinati ambiti (ad esempio l’aumento del danno agli scudi per la Mano punitrice o dei danni alle creature volanti per il Cacciatore consacrato).

Al termine di ogni capitolo si ricevono delle valutazioni tramite punteggi e medaglie come in ogni stylish action: le decine di modificatori tengono conto, ad esempio, del tempo impiegato, dei contrattacchi andati a segno, delle combo e via discorrendo. Ovviamente se si superano le zone illesi o a vari livelli di difficoltà, lo score sarà più alto; un modo classico per aumentare la longevità complessiva (già piuttosto alta). Per poter ottenere valutazioni prestigiose è bene conoscere le combo a memoria, soprattutto se si vogliono scatenare i potenti Attacchi sinergici per “pulire” le arene e completarle efficientemente. Nel Negozio, infine, è possibile acquistare un gran numero di oggetti utili con i Residui (valuta ottenibile come premio per i voti migliori: Soulstice ricompensa a dovere l’essere abili).

La varietà dei mostri affrontabili – ognuno con i suoi punti deboli – è davvero buona, e ciò argina la ripetitività. Il motto è “conosci i tuoi nemici“: un totale di 22 bestie. Persino nelle fasi più avanzate di gioco ne vengono presentate di nuove, un modo per tenere sempre vivo l’interesse. I mostri veramente frustranti da sconfiggere sono due: i primi sono i Penitenti, ovvero Spettri molto veloci e dai danni assai elevati, capaci di teletrasportarsi a proprio piacimento in vari punti delle arene. Oltre a causare vari problemi alla telecamera, sono resistenti e davvero difficili da acciuffare; ne risultano battaglie interminabili che spezzano troppo il ritmo della progressione (specialmente per chi è meno avvezzo alla rapidità degli hack and slash). In secondo luogo abbiamo le Arpie, così scattanti da far impazzire il sistema di puntamento e così letali da mettere in crisi anche nelle fasi più avanzate della storia (il loro damage output è altissimo, intollerabile). Sono creature sinceramente odiose, totalmente da rivedere, si spera con una patch.

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Chiudo questa recensione con una veloce analisi del comparto tecnico, dal colpo d’occhio notevole. Artisticamente parlando, Soulstice gode di uno stile riconoscibile nonostante le palesi ispirazioni, poiché combina intelligentemente queste ultime ad un leggero cel-shading per risultare subito memorabile. Evita così il rischio di apparire inutilmente barocco e anonimo come – ad esempio – il pessimo Godfall, avvicinandosi a ottimi titoli come Darksiders II.

Le texture sono curate e in alta definizione, la premura riservata al comparto luci è di prim’ordine: l’illuminazione è sempre adatta al contesto in cui è inserita e mette ottimamente in risalto i vari ambienti di gioco. Purtroppo, questi ultimi sono sì splendidamente realizzati, ma non così diversificati: specialmente nei primi due capitoli, tendono a essere leggermente ripetitivi per design e composizione. Bellissimi invece i modelli dei personaggi, dei mob e dei boss, sia per qualità estetica che per originalità. Ad aumentare la spettacolarità ci pensano poi le cutscene davvero ben fatte – firmate dal Maga Animation Studio di Monza – e la colonna sonora che fonde egregiamente musica elettronica e cori polifonici.

Su PC coronano il tutto delle impostazioni grafiche classiche ma impreziosite dal DLSS di Nvidia; qui e là fanno storcere il naso gli effetti visivi, un po’ eccessivi, dedicati alle esplosioni. Tali barocchismi potrebbero piacere ad alcuni, ad altri decisamente no. Io mi schiero nel mezzo: tanto belli e pirotecnici quanto invasivi.

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Nonostante diversi inciampi e alcune sviste grossolane, sono felice di promuovere Soulstice: nella sua imperfezione dimostra come la fatica e l’amore di un team orgogliosamente italiano possano dar vita ad un titolo accattivante, raffinato e soprattutto divertente. Il mio augurio è che questo gioco possa rappresentare l’inizio di un futuro roseo per Reply Game Studios: limando le incertezze, Soulstice potrebbe diventare la pietra fondante di una nuova saga di qualità nel mondo degli stylish action.

Un ringraziamento speciale a Labcom




Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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