MADiSON, scoptofobia portami via (PC)

madison gioco recensione

Voto:

Il panorama videoludico degli indie horror è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita. A maggior ragione se gli indie in questione sono realizzati in Unity, motore grafico tanto versatile quanto ingiustamente bistrattato proprio a causa della mole sterminata di giochi scadenti che vengono prodotti sfruttandolo. Fatta questa breve premessa, MADiSON – creato da uno “studio” composto da sole due persone – può sicuramente essere considerato del dolcissimo cioccolato. Sì, è un horror indipendente che ad una prima, erronea impressione pare seguire alla lettera gli stilemi di centinaia di altri titoli simili e sì, gira su Unity. Le possibilità di portare sul mercato qualcosa di mediocre erano alte, ma Alexis Di Stefano e David Lovera hanno sorpreso l’internet e il sottoscritto.

I ragazzi di Bloodious Games puntano sulla semplicità: una carta che si è rivelata vincente. Se volete scoprire il perché, proseguite nella lettura poiché al termine dell’articolo potreste ben pensare di dare una possibilità a questo titolo che timidamente si è fatto strada nella community, conquistando un successo virale in pochissimo tempo. Come si suol dire: nella botte piccola c’è il vino buono.

madison gioco stanza sedia

Il personaggio principale di questa breve ma intensa parabola orrorifica è Luca: il giocatore ne veste i panni e si ritrova nella casa dei suoi nonni, in una piccola stanza in disordine e piena di sangue. Dall’altro lato della porta di ingresso c’è John Maxwell, il padre del protagonista – un tributo ad Alberto Di Stefano, il vero padre di uno degli sviluppatori a cui MADiSON è dedicato – che piange a dirotto e che apparentemente ha rinchiuso il figlio per tenerlo lontano. Sul pavimento, due criptiche istantanee sporche e logore mostrano quelli che sembrano i resti di un’efferata uccisione. Cosa è successo? C’è decisamente qualcosa che non va, Luca in cuor suo sa di dover fuggire dall’abitazione: degli indizi che scopre poco dopo suggeriscono infatti che il padre ha indagato su una certa Madison Hale, una donna accusata di stregoneria e omicidio plurimo. A complicare la faccenda c’è persino un demone di nome Blue Knees, in agguato nella lugubre villetta, il cui intento è quello di costringere Luca a portare a termine un sinistro rituale iniziato anni prima. Come sottolineato in apertura, una trama molto semplice, ma d’effetto.

Tra citazioni più o meno esplicite a lungometraggi come The Ring, Il sacro male, L’esorcista e tanti altri, la componente narrativa si dimostra ottima: la ricostruzione della storia avviene pian piano, indizio dopo indizio; ciò permette a chi la segue di ricollegare il tutto senza difficoltà dal momento che, a livello di sceneggiatura, ogni ingranaggio combacia alla perfezione. In questo senso, aiuta molto la presenza di documenti come note, lettere o cassette. Queste ultime, se riprodotte, donano approfondimenti audio su alcuni elementi di lore. A questo proposito, ne esiste una – corredata da un achievement – che il gioco ci intima di non ascoltare. Non so dove ho trovato il coraggio per farlo: me ne sono pentito subito.

madison gioco cassetta
Se scovate una di queste, riproducetela a vostro rischio e pericolo.

Dal lato del gameplay, MADiSON è un horror vecchio stile interamente basato sulla risoluzione di enigmi, puzzle sulla falsa riga di un Resident Evil per intenderci. L’utente è quindi chiamato a trovare e sfruttare utensili di vario tipo – con cui è ovviamente possibile interagire tramite l’ausilio del mouse – per andare avanti. Di primaria importanza è l’uso di una vecchia macchina fotografica: immortalare porzioni di stanze e oggetti specifici – intrisi di malignità – permette di proseguire nell’avventura, arricchendo Luca di macabre istantanee che possono persino contenere indizi preziosi sugli eventi narrati o sui rompicapi stessi, come se fossero un diario di viaggio. Si dimostra utile anche il flash: in certi frangenti il protagonista avrà bisogno di sopravvivere, data la presenza di nemici pronti a ucciderlo. “Sparare” alle mostruosità può stordirle momentaneamente, una componente che personalmente mi ha ricordato la saga di Project Zero (Fatal Frame per l’occidente). Alcune sezioni specifiche della casa, infine, rivestono il ruolo di “Zone fotografiche“, posti dove scattare foto agli elementi più peculiari per avanzare con la trama; ovviamente è possibile scartare gli scatti inutili aprendo l’inventario.

Quest’ultimo è composto da 10 slot. La sua gestione consapevole può rivelarsi provvidenziale; non a caso, per riporre certi strumenti superflui, di tanto in tanto troveremo delle casseforti. Fondamentale poi l’uso della luce – attraverso il già citato flash della fotocamera o altre fonti – per illuminare zone buie e svelare sezioni di luoghi che possono celare arnesi da sfruttare o strade non ancora esplorate. Senza energia elettrica il giocatore è costretto a muoversi spesso in un’oscurità pesta, e fidatevi se vi dico che non è affatto una passeggiata.

madison gioco zona fotografica
Un esempio di Zona fotografica.

La complessità dei puzzle è variabile: certi sono abbastanza intuitivi e mettono insieme diversi oggetti o componenti che è possibile trovare esplorando bene tutto l’ambiente di gioco, altri sono volontariamente cervellotici e portano via più tempo. A ciò si aggiunge il fatto che specifiche soluzioni sono randomizzate e variano di playthrough in playthrough; fortunatamente non si arriva mai all’autentica frustrazione. L’unica porzione di avventura veramente troppo contorta e tediosa – secondo il sottoscritto – è rappresentata da un rompicapo diviso in molteplici parti in cui attraversare altrettanti labirinti colorati – più e più volte – dove posizionare oggetti, distinti a loro volta per colore. Spiegarlo a parole è difficile, figuratevi risolverlo (sì, anche questo è randomizzato).

Un plauso va all’ultimo enigma che, nella sua linearità, risulta il più macabro di tutti, proprio grazie ad una pensata elementare ma maledettamente inquietante. Impossibile risolverlo senza un po’ di pelle d’oca lungo la schiena. Portarlo a termine conduce ovviamente al finale della storia, forse leggermente prevedibile, ma certamente coinvolgente.

Tengo a rimarcare che si tratta di un titolo orgogliosamente old school, e proprio per questo caratterizzato da frangenti trial and error o in cui è necessario annotare manualmente i suggerimenti sparsi in giro, onde evitare confusione. La formula pen and paper potrebbe far storcere il naso ai giocatori più moderni o abituati a opere più permissive. Non nascondo di aver vissuto anche io momenti in cui non sapevo come muovermi, essendo impossibilitato a esplorare oltre: l’unica soluzione è stata tornare sui miei passi, prestando maggiore attenzione ai documenti a mia disposizione così come al resto dell’inventario.

madison gioco labirinto
Ecco un segmento del famigerato labirinto multicolore, una sfida che mette alla dura prova ingegno e pazienza.

La difficoltà artificiale di MADiSON, ovvero quella che è possibile impostare dal menu principale, si divide – a scanso di futuri aggiornamenti – nelle due classiche opzioni: normale e difficile. La prima, quella a cui ho affrontato il titolo, permette al giocatore di avere suggerimenti visivi per individuare meglio le Zone fotografiche, gli strumenti e le sezioni interagibili dello scenario; i nemici sono impegnativi ma non troppo. A questo settaggio, infine, il gioco consente di avere istantanee illimitate e di tenere traccia dei progressi tramite salvataggio automatico. L’alternativa più ostica, al contrario, elimina ogni tipo di aiuto e, sebbene dia comunque la possibilità di scattare foto infinite e di salvare la partita automaticamente, rende gli avversari decisamente più ostili.

La longevità varia da player a player, giacché si deve tenere conto del tempo impiegato nel risolvere i rompicapi o banalmente per capire cosa fare per proseguire. Personalmente ho raggiunto i titoli di coda in poco più di 6 ore, andando spedito in certe sezioni e più lento in altre. Sicuramente gli enigmisti appassionati potranno finire tutto in 4 ore o meno, soprattutto se si tiene in considerazione l’achievement The struggle within, che richiede di completare la storia in meno di 3 ore. Senza dimenticare la presenza di una trentina di collezionabili o di obiettivi come Lived to tell the tale, 666 e simili che richiedono di portare a termine l’intera avventura o parti di essa nel minor tempo possibile e alla difficoltà massima. Tutto ciò va a favore della rigiocabilità.

madison gioco rompicampo
Quando un rompicapo si presenta così, sfido chiunque a trovare il coraggio per affrontarlo.

Venendo alla componente horror, la gestione quasi sempre oculata di jumpscare autentici e non gratuiti, la cura superba quanto maniacale riservata al sound design e le musiche minimali ma azzeccate – sulla falsa riga di The Lighthouse – veicolano molto bene paura e ansia. Il titolo sfrutta egregiamente un sistema di audio 3D, goderselo con delle buone cuffie è quindi obbligatorio, magari abilitando – se possibile – la gestione spaziale del suono. A impressionare ulteriormente sono poi delle trovate classiche alla Layers of Fear, come far navigare il protagonista in spazi angusti o in zone della casa che modificano continuamente la loro conformazione, così come il posizionamento di specifici punti di riferimento al loro interno. Certi rumori all’apparenza innocui danno spesso la sensazione di essere seguiti o osservati oltre a infondere, di tanto in tanto, un falso senso di sicurezza. P.T. di Hideo Kojima è stato sicuramente d’ispirazione per i due giovani sviluppatori, così come Visage, un gioco recente meno conosciuto ma ben noto agli appassionati.

Dal canto suo, l’opera di Bloodious Games preme molto sulla scoptofobia – la paura di essere fissati da qualcuno o qualcosa – e altri disturbi come la claustrofobia (ciò viene confermato da un particolare diario davvero angosciante che è possibile rinvenire durante l’esplorazione). In MADiSON persino muovere la visuale può essere motivo di giustificato timore paranoico dopo aver avvertito uno scricchiolio, un tonfo, un fruscio indistinto o addirittura qualche evento non scriptato come lo sfarfallio di lampadine o lo scricchiolio di porte che si muovono a loro piacimento. A favorire l’immersione e l’immedesimazione, specialmente quando si incontrano le già citate presenze demoniache pronte a far tremare, è proprio il protagonista Luca – un personaggio timoroso ma “vivo” – che parla commentando ciò che accade, ansima e si spaventa insieme al giocatore.

L’unica nota stonata di questo insieme genuinamente raccapricciante risiede in una particolare stanza verso la fine del gioco: entrarci dà inizio ad un lungo puzzle che obbliga a esplorare la casa dei nonni in punti già visitati. Nel corso dell’indagine i jumpscare si intensificano troppo e, seppur giustificati a livello di trama, risultano fastidiosi nella loro casualità.

madison bloodious games
Come dite? Scoptofobia? Io rispondo “ALT+F4”.

Quanto all’aspetto puramente tecnico, il colpo d’occhio non è affatto male: gli autori dimostrano di aver sfruttato Unity in maniera eccellente – alla faccia dei noiosi detrattori – arricchendo gli ambienti con texture definite, modelli dettagliati e una resa realistica di materiali ed effetti (liquidi e luci in primis). Il tutto gira su PC senza incertezze.

Questo videogioco solletica quel timore diffuso che molti provano per le vecchie case dei nonni: piene di chincaglierie e arredi di dubbio gusto. L’abitazione che ospita la parabola orrorifica del povero Luca è un posto intricato e pieno di stanze – in cui per fortuna non ci si perde mai – che ricorda il setting di Resident Evil 7: Biohazard. A sorpresa, tuttavia, capiterà anche di imbattersi in luoghi totalmente diversi e stranianti, che talvolta hanno a che fare con gli ormai famosi spazi liminali e le backrooms tanto care alla cultura creepy di internet.

Peccato per delle impostazioni video spartane che permettono solamente di scegliere la risoluzione e di modificare la qualità generale, i riflessi e le luci volumetriche. Probabilmente il tutto verrà debitamente ampliato, dal momento che Bloodious Games ha annunciato poco tempo fa una patch dedicata alle performance.

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MADiSON è un ottimo horror psicologico che, nonostante prenda chiaramente ispirazione da titoli più noti, dimostra come gli sforzi di due sole persone – Alexis Di Stefano come game director e sceneggiatore, David Lovera come lead programmer – possano dar vita ad un prodotto che sa distinguersi nel mare di indie dimenticabili a cui siamo abituati da tempo. È stato realizzato nell’arco di cinque anni, durante i quali non sono mancati numerosi feedback da parte della community così come donazioni su PayPal e Patreon. Non è un gioco perfetto e purtroppo il prezzo di 35 euro potrebbe tenere alla larga molti utenti; ad ogni mondo, lo consiglio spassionatamente ai fan del genere, in particolare agli amanti dei puzzle game.

Il lavoro creativo di Bloodious Games ha trovato il perfetto equilibrio tra tensione, jumpscare e un immaginario orrorifico classico. Il risultato è certamente derivativo ma trova la sua grande forza nella semplicità, dimostrando che non c’è sempre bisogno di essere stravaganti o barocchi per creare qualcosa di memorabile. Un caloroso applauso è quindi doveroso, con la speranza che MADiSON raggiunga la popolarità che merita – magari grazie anche al passaparola – poiché si tratta di un punto di partenza ideale per un brillante futuro nell’industria dei videogiochi.

Special thanks to Bloodious Games

Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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