Cinema, di Noboru Rokuda – Volume 1

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Talvolta le cose più belle si scoprono per caso. Mesi fa incappai nel bellissimo lungometraggio Il caso Minamata; in questa torrida estate, invece, la mia attenzione è stata attirata da un manga dal titolo semplice ma efficace: Cinema, di Noboru Rokuda. Si tratta di una miniserie divisa in quattro volumi, edita in Italia da 001 Edizioni sotto il marchio Hikari. L’autore è semisconosciuto nel nostro Paese, ma molto prolifico in patria: i lettori meno giovani potrebbero conoscerlo per i due manga spokon Gigi la trottola e F – Motori in pista, pubblicati in Giappone negli anni ottanta e adattati in anime dal discreto successo internazionale.

Cinema, invece, è un’opera nata nel 1998 e narra la storia di Sabani Aomi, un giovane che sin da piccolo riprende tutto ciò che vede – quasi ininterrottamente – grazie ad una videocamera legata alla sua spalla. Si autodefinisce un “predatore di immagini” la cui esistenza incarna la settima arte stessa. Suo padre è Seiji Aomi, un uomo che ha lavorato per tutta la sua vita sregolata come assistente alla regia. Prima di morire ha affidato al figlio un’importante missione: salvare dalla bancarotta l’unico cinema d’essai della piccola città di Enoshima. Armato di macchina da presa e di un’energia inesauribile, Sabani fa quindi la sua entrata in scena nel paesino, sconvolgendo le vite dei suoi abitanti.

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L’aspirante regista Sabani Aomi.

Enoshima è un paesello situato fra il mare e la montagna in cui è possibile trovare gente di ogni tipo, un luogo dai mille volti. Sulle pendici di un monte si affaccia il vecchio cinema in declino, coprotagonista della narrazione. Questa sala decadente ospita i comprimari:

  • Asami, vitale e graziosa proiezionista, innamorata persa del suo lavoro
  • Kenji, un impacciato assistente, innamorato perso della proiezionista
  • Sameda, un ometto sempliciotto e disilluso la cui unica preoccupazione è il denaro
  • Un anziano bonario e ingenuo, a capo della baracca, che i colleghi chiamano “il direttore

La situazione presso lo stabile non è delle migliori: Asami desidera licenziarsi perché, per principio, non vuole toccare film di serie B. Sameda, pragmatico e triviale, controbatte dicendo che non è la qualità dell’opera che conta, bensì il numero di spettatori; il radicalismo ha messo in difficoltà il cinematografo. La ragazza, tuttavia, è irremovibile: “il regista è libero di fare il film che desidera” – dice – il pubblico sceglie ciò che preferisce, ma anche l’esercente è libero di fare le sue scelte. Determinata a rivendicare questa libertà, vorrebbe convincere i colleghi a proporre prodotti radicali, appunto. Secondo lei il cinema è e deve rimanere un’arte sovversiva; è questa la sua ragion d’essere e deve accontentare i veri cinefili che, ogni tanto, occupano i pochi posti in sala.

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Il cinema d’essai di Enoshima.

Purtroppo però il misero apporto degli irriducibili appassionati non basta: la saletta potrebbe essere costretta a ripiegare persino su pellicole pornografiche da alternare al consueto cartellone. Una scelta estrema che alcuni esercizi hanno dovuto realmente compiere (anche e soprattutto qui in Italia). La crisi dell’industria cinematografica tra il 1975 circa e la fine degli anni ottanta, infatti, mise in ginocchio produttori e cineasti di ogni tipo, anche a causa dell’arrivo dell’home video. Il manga stesso profetizza: “Purtroppo i cinema come il nostro sono destinati a scomparire. Oggi gli spettatori preferiscono le sale moderne dotate di grandi schermi… O starsene spaparanzati sul divano a guardarsi un video in santa pace”. Una triste eventualità che strizza l’occhio al capolavoro statunitense L’ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich.

È in questa atmosfera grigia e mesta che fa capolino il nostro protagonista, determinato a salvare baracca e burattini con il suo più grande capolavoro, ovvero il lungometraggio che ha girato per tutta la vita grazie alla sua fedele videocamera. Il ragazzo – la cui figura viene sviscerata pian piano nel corso del racconto – segue le orme del padre Seiji che diede alla luce qualcosa di simile: egli, infatti, figura tra coloro che hanno lavorato a un’opera di enorme successo chiamata “The Perfect Movie” (acclamata dalla critica, ma mai scoperta dal pubblico medio). Il genitore, inoltre, ha uno stretto legame con l’anziano gestore del cinema d’essai: insieme passavano molte giornate a vedere film di samurai, senza stancarsi mai.

Se tra voi lettori c’è qualche studioso come il sottoscritto, l’operato frenetico di Sabani Aomi – un giovane alla costante ricerca di attimi intensi da riprendere – non potrà che ricordarvi ciò che si vede in L’uomo con la macchina da presa, lungometraggio imprescindibile del regista sovietico Dziga Vertov che consiglio caldamente di approfondire.

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L’aspirante regista fa di tutto per catturare le immagini che desidera, persino infastidire di proposito le persone sbagliate.

Tra denaro che scarseggia e abitanti sempre meno invogliati ad andare in sala, arriva addirittura la yakuza – il clan Bakufu per l’esattezza – a minacciare il vecchio direttore e i suoi compagni. Sull’uomo gravano pesanti debiti che, se non saldati, porteranno alla chiusura del suo stabile. Come se non bastasse, la presenza di Sabani – che per conto suo aveva già provocato la cosca – peggiora le cose: il gruppo di amici deve togliersi dai guai proiettando un film che elogi la malavita. Oltre a questo episodio paradossale, la vita quotidiana dei nostri verrà sconvolta da eventi sempre nuovi e inattesi che permetteranno a Sabani stesso di girare pellicole uniche e avanguardistiche.

La storia scritta da Rokuda non è del tutto originale, ma riesce ad essere sicuramente appassionante e a trasmettere al lettore tutta la potenza della settima arte come strumento di denuncia, come mezzo per testimoniare, documentare e immortalare gli avvenimenti del nostro mondo. Senza dimenticare qualche rimando ai precetti della Nouvelle Vague francese e del Free Cinema britannico.

La narrazione è dotata di una spiccata comicità di fondo che rende la lettura piacevole e divertente, complici le numerose gag slapstick e le irriverenti battute. Non mancano però attimi più drammatici e perfino erotici, a seconda delle disavventure che coinvolgono il personaggio principale.

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A sinistra: Asami e Kenji.

Per quanto riguarda il lato artistico di Cinema, l’impostazione regolare delle tavole, il tratto ricco di personalità, la resa minuziosa degli ambienti, la mimica dei personaggi e le loro caratterizzazioni intriganti aumentano l’immersività e la scorrevolezza complessive. Il fumetto riesce a fondere egregiamente intrattenimento, critica socialecinefilia e tante altre tematiche collaterali, ma non per questo di minore importanza, e non è da tutti. I suoi frangenti migliori sono indubbiamente quelli ambientati nel piccolo teatro dove tutta la magia della sala cinematografica esplode tra le pagine. Proprio tra quelle poltrone, inoltre, il manga regala un tanto sorprendente quanto calzante cameo: verso la fine fa la sua apparizione niente di meno che Takeshi Kitano. È proprio lui o un perfetto sosia?

Con questo shock si chiude il primo volume della miniserie sceneggiata e illustrata dal talentuoso Noboru Rokuda. Un inizio perfetto per un’opera che si prospetta essere unica nel suo genere. Un gioiello imperdibile per tutti gli amanti della settima arte e per chi è in cerca di un prodotto orgogliosamente outsider e di nicchia.

Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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