Doctor Strange nel Multiverso della Follia

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Sono passati ben 15 anni da quando Sam Raimi mise per l’ultima volta le mani sulla sceneggiatura di un cinecomic (Spider-Man 3) e, diciamocela tutta, non fu particolarmente soddisfacente. Erano dunque legittime certe perplessità sul suo ritorno alla Marvel per dirigere Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Non certo perché non sia un ottimo autore, ma semplicemente perché alcune soluzioni estetiche o narrative tipiche del suo cinema sono già state al centro di polemiche e discussioni, soprattutto dopo il terzo capitolo della sua saga dedicata all’Uomo Ragno.

Doctor Strange Multiverso della follia Wong America Chavez

Non si può negare inoltre che il cineasta è anche un esteta molto particolare, con un certo gusto per l’esagerazione e il grottesco e – per quanto il suo lavoro con i lungometraggi dedicati all’alter ego di Peter Parker sia stato generalmente molto equilibrato – il franchise incentrato sullo Stregone Supremo è di gran lunga più delicato. Raimi, che con i suoi cinecomic ha comunque dato un punto di svolta al genere, fin qui si era dovuto misurare sostanzialmente con un personaggio solo e una serie di scelte estetiche ben inquadrate; negli anni però i film sui supereroi Marvel si sono evoluti e si è creato un tessuto dove ogni saga ha senza dubbio la sua unicità, ma deve comunque cercare di intersecarsi armoniosamente con le altre.

Un esempio molto semplice lo fornisce lo stesso Doctor Strange. Il precedente film a lui dedicato gode di una certa eccentricità, che di fatto non appartiene ad altri personaggi come Wanda, per cui metterli in comunicazione creando un prodotto omogeneo ma dove, al contempo, nessuno dei due perda la propria unicità non è certo qualcosa di semplice. In tal senso, infatti, il vero Multiverso del film (ancor prima di essere un espediente narrativo) si basa anche sulla molteplicità di personaggi proposti, provenienti sia dal grande che dal piccolo schermo. Inoltre, dal momento che l’intera sceneggiatura ruota attorno a questo importantissimo tema, è stato più che mai complesso riuscire ad unire diverse suggestioni senza farle stridere tra loro. Raimi, dunque, è riuscito a gestire una situazione così complessa? E come?

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La risposta non è tra le più semplici, perché le aspettative erano molto alte e, purtroppo, in almeno un paio di occasioni la regia non è stata esattamente impeccabile. Sono soprattutto le panoramiche a schiaffo ad aver sofferto maggiormente in questo caso; senza dubbio inserirne così tante è stata una precisa scelta che mirava a rendere le sequenze il più possibile dinamiche, ed è anche comprensibile se si considera la natura estremamente frenetica della sceneggiatura. Nonostante una mano sapiente come quella di Raimi, però, a volte il ritmo non è stato sostenuto a dovere, creando una strana situazione in cui sembra addirittura che l’occhio dietro la macchina da presa arranchi nel tentativo di misurarsi con esso.

Per quanto riguarda invece scenografia e costumi, ancora una volta i Marvel Studios hanno dimostrato di essere impeccabili e saper curare ogni minimo dettaglio. Grazie anche al direttore della fotografia John Mathieson – che è riuscito a ricalcare alla perfezione il lavoro fatto nel primo capitolo – per la maggior parte del tempo i colori vibrano sullo schermo proponendo allo spettatore un intenso mosaico che fa da ottimo contraltare per le sequenze più cupe e prettamente horror.

Infatti non si può dimenticare la grande importanza data in questo capitolo alle sequenze orrorifiche, che grazie alla rinomata esperienza di Sam Raimi con il genere godono di un immenso impatto visivo. Tolto qualche jumpscare non poi così spaventoso, il clima che si respira in diverse sequenze è inquietante e angosciante al punto giusto, riuscendo anche a spingere il Marvel Cinematic Universe verso lidi finora poco esplorati.

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Arriviamo però alle note dolenti parlando della sceneggiatura del film, non sempre il suo punto di forza (come purtroppo accade spesso nei cinecomic Marvel). Da un lato, con tutte le indiscrezioni uscite negli ultimi mesi e le ipotesi diffuse dai fan sui vari social, si è un po’ perso quell’effetto sorpresa legato ai camei di alcuni personaggi (fortunatamente non tutti si sono rivelati veritieri), dall’altro alcuni passaggi sembrano fin troppo semplificati.

Almeno due importantissimi plot twist arrivano in maniera sbrigativa, quasi come se gli autori avessero voluto tagliare corto. Cercando di fare un esempio che non riveli troppo della trama, non è affatto credibile che un personaggio si opponga al villain rifiutandosi di rivelare un segreto di fondamentale importanza, per poi spifferare tutto un secondo dopo senza che il nemico abbia nemmeno forzato la mano. Da questo punto di vista, infatti, sembra addirittura che alcuni passaggi siano stati tagliati. Un’ipotesi che non si può totalmente escludere, dal momento che per essere un film con così tanta carne al fuoco 2 ore sono quasi poche.

In ultima battuta vale la pena sottolineare che la maggior parte delle star coinvolte nel progetto si sono rivelate perfettamente all’altezza della situazione. Un ottimo lavoro da parte di Benedict Cumberbatch, che si è trovato ad esplorare il proprio personaggio in un modo completamente inedito ma sempre efficace, ma ancora di più da parte di Elizabeth Olsen (a dir poco perfetta in questa particolare versione di Wanda). Solamente un cameo, tutto sommato, si è rivelato deludente a causa dell’interprete, apparso in realtà piuttosto sottotono e piatto rispetto a tutto il resto.

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Doctor Strange nel Multiverso della Follia è un progetto ambizioso, forse troppo, e inciampa in alcune soluzioni fin troppo raffazzonate o in espedienti estetici che non funzionano, ma resta senza dubbio un buon film che si incastra alla perfezione nel grande mosaico del MCU, diventandone peraltro parte fondamentale. Forse la delusione deriva proprio dal fatto che non si tratta solo di un tassello importantissimo per il futuro della fase 4, ma anche di un film di Sam Raimi, sul quale si erano riposte delle aspettative. Nonostante ciò a livello narrativo è sicuramente più valido del suo immediato predecessore (Spider-Man: No Way Home) e riesce nel tentativo di strappare un’ampia sufficienza.




Claudia_Smith Articoli
Piccola bambina cresciuta a pane e Dragonball, in tenera età scopre l'amore per tutto ciò che è narrazione, dai film ai libri fino ai fumetti di ogni tipo. Ad oggi cacciatrice compulsiva di news per tutto ciò che riguarda la cultura Nerd.

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