Il codice delle creature estinte

L'opera perduta del dottor Spencer Black

il codice delle creature estinte moscabianca edizioni

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Avete mai sentito parlare delle Wunderkammer, o “camere delle meraviglie”? In queste stanze, tipiche degli ambienti nobiliari dal Cinquecento al Settecento, i collezionisti esponevano tutte le curiosità, le stranezze e gli splendori trovati durante le proprie ricerche, o acquistate con l’intento di stupire i frequentatori delle proprie abitazioni o un pubblico pagante.

Se avete deciso di intraprendere la lettura de Il codice delle creature estinte – L’opera perduta del dottor Spencer Black, di E.B. Hudspeth (pubblicato in Italia da Moscabianca Edizioni), preparatevi ad entrare in una delle camere delle meraviglie più inquietanti che siano mai state realizzate.

La vita e gli oscuri studi del dottor Spencer Black (nome e figura di fantasia) si dispiegano davanti agli occhi del lettore in una biografia dal sapore squisitamente gotico, e poi nel Codex extinctorum animalium (Codice degli animali estinti), uno studio anatomico sulle “specie meno note del regno animale”, in cui scienza e filosofia si fondono fino alla compilazione di un codice sulla veridicità del quale, a fine lettura, il lettore non avrà più dubbi.

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Ma partiamo dall’inizio. Spencer Black era figlio di un noto docente di anatomia nell’università di Boston, Gregory Black. Nel XIX secolo gli studi sull’anatomia umana non potevano avvalersi di tutti i mezzi moderni, e docenti e studiosi ricorrevano spesso all’aiuto dei cosiddetti resurrezionisti, persone che disseppellivano i cadaveri per rivenderli alla scienza. Vista la scarsità di corpi su cui effettuare i suoi studi, Gregory Black decise di procurarsi da solo la materia prima, ma disseppellire cadaveri non è un lavoro facile per una persona sola: per questo, spesso si avvaleva dell’aiuto di suo figlio Spencer, il quale, all’inizio molto reticente, finì per appassionarsi e intraprendere la stessa carriera del padre, superandolo anzi di gran lunga in fama e risultati ottenuti.

Gli studi anatomici portarono l’inesauribile curiosità di Spencer ad approfondire rami sempre più oscuri della materia, tanto che la teratologia, ossia lo studio delle malformazioni del corpo, diventò la sua specializzazione. È qui che la storia prende una piega intrigante e inaspettata, ma anche indiscutibilmente grottesca: gli studi sulle malformazioni indussero Spencer a catalogare queste non come “errori” della natura, ma come reminiscenze di un lontano passato in cui l’uomo condivideva la Terra, nonché il suo patrimonio genetico, con altre creature, che sono quelle che oggi chiamiamo (negandone in tal modo l’esistenza) mitologiche.

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Secondo Spencer, “Le tracce di queste antiche forme di vita si manifestavano a volte attraverso tratti latenti, ovvero in determinate malformazioni congenite”, e ancora: “gli esseri umani, attraverso determinati percorsi evolutivi e di selezione naturale, avevano perduto alcuni dei loro tratti essenziali: […] era stata la sparizione di questi elementi fondamentali a originare anomalie e deformità”. L’inconfutabile prova, secondo Black, che questa sua tesi fosse corretta, fu l’incontro con il “ragazzo cerbiatto“, un uomo affetto da una particolare malformazione degli arti inferiori che lo rendeva simile in modo inquietante ai satiri di tradizione greca e che, secondo Spencer, sarebbe stato la prova di un codice genetico non del tutto regredito.

Da quel momento in poi Black non praticò più la medicina convenzionale, lasciò da parte ogni principio etico cui aveva giurato di attenersi come medico e dedicò ogni istante della sua vita alla ricerca dell’esistenza delle creature estinte nel codice genetico umano. I suoi studi ed esperimenti lo risucchiarono in un vortice di follia e disperazione, fino a formulare la teoria dell’auto-resurrezione, secondo la quale “per sbloccare la memoria ancestrale del corpo bastava innestarvi degli elementi che ne rispecchiassero la natura recondita”, per cui “una volta sollecitati questi stimoli, il corpo sarebbe stato in grado di ricostruire la propria coscienza perduta e quindi di auto-risorgere”. Ad esempio, sarebbe bastato innestare delle ali d’uccello su una donna, per risvegliare quella parte di codice genetico che essa avrebbe in comune con l’arpia.

Il suo passato da resurrezionista gli fu a questo punto molto utile per riprodurre creature che, secondo lui, la natura avrebbe voluto far esistere ancora. Black arrivò al punto di realizzare una propria camera delle meraviglie con repliche in tassidermia di numerose creature mitologiche, ma, purtroppo, la sua sete di conoscenza lo portò a un delirio di onnipotenza del cui punto d’arrivo si accenna solo nelle inquietanti righe finali della sua biografia.

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La folle biografia del dottor Spencer Black è impreziosita da una splendida raccolta di studi e illustrazioni del suo visionario progetto, per cui ci troveremo davanti allo statuario apparato muscolo-scheletrico della sfinge, al complesso apparato respiratorio della siren oceanensis (molto diverso da quello delle nereidi o delle naiadi, se ve lo steste chiedendo), e a un’imponente sezione del torso di ganesha, con i suoi quattro arti superiori.

Il codice delle creature estinte sorprende per la lucidità attraverso la quale riporta i deliri del dottor Spencer Black e per il rigore scientifico con il quale analizza ogni creatura che una volta (forse) camminava su questa Terra; riesce a ribaltare ogni certezza etica e scientifica del lettore, interrogandolo sui suoi metodi di studio del reale. Se siete in cerca di un’opera che metta in discussione l’esistenza di verità assolute e incoraggi il ragionamento facendovi rivalutare il vostro sistema di valori e i vostri metodi di giudizio, questa è sicuramente la lettura che fa per voi, ma sappiate che non guarderete mai più gli esseri viventi con gli stessi occhi!




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