Quattro ragazzini entrano in una banca

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Quattro ragazzini entrano in una banca: uno ha due enormi orecchie a sventola, uno è rosso di capelli e grassottello, la terza è una ragazzina che sembra pronta a rifilarti un pugno dritto sul naso e l’ultimo, con gli occhiali, si nasconde timidamente dietro agli altri tre.

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Sembra l’inizio di una barzelletta da ricreazione, ma “Quattro ragazzini entrano in una banca” è tutt’altro che un fumetto per bambini; s’incanala infatti in quel filone di fumetti, graphic novel, serie tv e film che, scritti oggi ma ambientati negli anni ottanta, hanno come target di riferimento chi quell’epoca l’ha vissuta, almeno di riflesso, e che hanno per protagonisti una proiezione di quello che il loro pubblico era a quell’epoca: bambini.

Il paragone con una delle più note produzioni Netflix degli ultimi anni è così facile che ce lo risparmieremo, anche perché, usando le parole di Marco “Raistlin” Ricompensa – responsabile della supervisione italiana dell’opera di Matthew Rosenberg e Tyler Boss – quando la sostanza di un’opera c’è, è necessario disfarsi della “rassicurante coperta di Linus narrativa” per renderle giustizia. E così, anche in questo caso, mettere su pagina – o su uno schermo – dei ragazzini non vuol dire raccontare favolette; i nostri eroi pre-adolescenti possono mettere la migliore maschera da duri che hanno e farci strada nel loro mondo.

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Non conosco molte persone – imberbi e non – che se rispondendo al citofono si trovassero davanti quattro malviventi grossi e armati, reagirebbero con la glaciale fermezza della piccola Paige, dodici anni e faccia tosta da vendere. Tutto comincia proprio con l’incursione di una banda di criminali a casa dell’impavida ragazzina, che cercano di convincere il padre di lei – ex “collega” dei quattro delinquenti – a partecipare a una promettente rapina in banca. Paige coinvolge i suoi tre migliori amici in un’assurda e pericolosa missione per cercare di capire qualcosa di più su quest’organizzazione e sul passato di suo padre, ma tutti e quattro sembrano non aver capito fino in fondo la pericolosità del pasticcio in cui si stano cacciando: è solo un’intrigante novità tra i tanti giochi che ormai gli sono venuti a noia, e i quattro amici decidono, non senza qualche timore, di intraprendere la strada del crimine con la stessa serietà con cui solo i bambini sanno giocare.

Il risultato è prevedibilmente disastroso, ma questa combriccola di sfigatissimi nerd – no, non i nerd socialmente accettati di oggi, proprio i nerd degli anni ottanta, quelli che venivano chiusi negli armadietti delle scuole perché indossavano un paio di occhiali da vista! – è sorprendente e tutt’altro che sprovveduta, tanto che probabilmente la loro astuzia avrebbe fatto comodo alla vera banda di criminali.

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L’aspetto che più colpisce dell’opera di Rosenberg e Boss, è sicuramente la narrazione “visuale” della storia: l’intreccio è indissolubile dal progetto grafico che lo accompagna, o meglio, che lo rende possibile. Le soluzioni della messa in scena sono spesso una carrellata di souvenir vintage: iniziare a leggere un capitolo significa ritrovarsi nel bel mezzo di uno dei giochi – rigorosamente icone degli anni ottanta – con cui i quattro ragazzini trascorrono il tempo insieme. Si passa così dal tirare per l’iniziativa contro un drago in Dungeons & Dragons al ritrovarsi senza monetine per continuare a giocare a un Arcade in sala giochi, conoscendo i nostri “eroi” attraverso i loro avatar, seguendo le loro aspirazioni attraverso i loro movimenti e le loro scelte nei diversi giochi di ruolo.

Le strizzate d’occhio alla cultura pop di quegli anni sono tante, ma gli autori giocano anche con l’arte, montando ad esempio le sezioni di dialogo serrato in composizioni mosaicate molto efficaci che ricordano la serialità di Warhol. Non mancano poi riferimenti alla Settima Arte, con un’infinità di richiami a locandine di film cult dell’epoca, la maggior parte delle quali raccolta nella splendida e ricca sezione finale, una miniera d’oro per tutti i cinefili che potrebbero passare ore a esaminare tutte le citazioni esplicite o velate.

L’accattivante grafica pop dall’indiscutibile gusto retrò favorisce al meglio l’immersione (a tratti nostalgica ma mai stucchevole) nel mondo che ci viene raccontato, che molti ricordano ma che non tutti hanno vissuto, senza internet, né smartphone o computer a colori.

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La delirante successione di eventi che travolge la vita della piccola Paige, nonostante risulti decisamente estrema, non perde credibilità grazie a una struttura narrativa più che solida e al fatto che, in fondo, quel che succede è solamente un gioco. La percezione che il lettore ne ha, grazie anche a una scelta coloristica pop, surreale, con tinte piatte e saturate al massimo, è quella di un videogioco, di un sogno, di una realtà distorta da una visione ancora infantile e semplicistica del mondo, e perciò estremamente credibile data l’età della nostra eroina.

Il mondo che ci raccontano Rosenberg e Boss è estremamente intimo, personale e pubblico al tempo stesso: vive nei ricordi dei pomeriggi di giochi e noia con gli amici, con il desiderio che qualcosa di eccezionale accadesse, altrimenti bisognava trovare il modo di inventarselo, ma vive anche nel ricordo collettivo di quegli anni, iconici anche per chi li ha vissuti solamente di striscio. Una storia che, a leggerla, si ha l’impressione di averla già vissuta.

Un ringraziamento speciale a Panini Comics




IndianaJuls Articoli
Appassionata di arte, illustrazione e letteratura, si è lasciata trasportare nel meraviglioso mondo del fumetto... e ora non può più farne a meno! * arte * fumetto * illustrazione * letteratura * GdR

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