Ghostbusters (2016)

Voto:

Puntualmente, all’annuncio della realizzazione di un reboot o un remake cinematografico, nel pubblico si viene a creare una profonda spaccatura, capace di intaccare sia la promozione del film che il suo stesso risultato al botteghino: i detrattori si aggrappano al minimo difetto e bocciano in toto l’idea iniziale di rivoluzionare narrativamente e stilisticamente il prototipo originale, contrariamente agli ottimisti che, pur di contraddire qualsiasi discorso o argomentazione dei primi, si divertono a irritare i fan, scovando ogni dettaglio differente rispetto all’antenato filmico e decantandone lodi, all’apparenza nemmeno possedute. In questa assurda battaglia combattuta a colpi di flames e botta e risposta virtuali è difficoltoso restare nel centro, cercare di essere obiettivi di fronte all’effettiva ristrutturazione di un brand, quello di Ghostbusters, iconico e all’apparenza sacrale, che ha contribuito assieme ad altri titoli all’effettiva valorizzazione di un certo tipo di cinema tipico degli anni ottanta negli states. Paul Feig era cosciente di dover portare sulle proprie spalle il peso di un cambio di rotta radicale all’interno di una saga ferma ormai da circa vent’anni, i cui protagonisti originali sembravo tutto fuorché disposti a tornare al lavoro su di un possibile sequel; l’idea, allora, del reboot al femminile non è campata così in aria, il casting è oculato e le protagoniste provengono dal Saturday Night Live, al pari dei loro predecessori maschili, il restyling narrativo privilegia la commedia all’azione, permettendo a Feig di perseguire un percorso stilistico personale inedito all’interno del genere, lasciando tuttavia l’amaro in bocca per alcune scelte poco originali legate alla scrittura.

Abby ed Erin, amiche e compagne di studi di vecchia data, si sono allontanate l’una dall’altra dopo la pubblicazione di un libro sulle apparizioni, da loro redatto, in cui affermano l’esistenza dei fantasmi. Qualche tempo dopo Erin si avvicina al lavoro accademico e ad un approcio scientifico più serioso, ma il posto le viene revocato non appena il libro pubblicato anni prima torna nuovamente alla ribalta. L’ultima spiaggia per Erin consiste nel tornare a far gruppo con la propria amica, forti dell’arrivo nel loro laboratorio provvisorio dell’ingegnere Holtzmann e della dipendente alla metro Tolan, la quale le indirizza sul loro primo caso: un’infestazione nella metropolitana di New York che permetterà loro non solo di testare l’attrezzatura da acchiappafantasmi, ma fornirà il primo vero caso della sgangherata agenzia messa in piedi dal curioso quartetto newyorchese, coadiuvato da un assistente belloccio ma totalmente idiota, pronto ad ostacolare in tutti i modi la loro ascesa lavorativa.
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La New York di Ghostbusters, infarcita di fantasmi e altre presenze ectoplasmatiche, vuole fare il paio con l’originale pur proseguendo su un percorso totalmente differente; Feig ristruttura il brand e lo trasloca nella contemporaneità rinfrescando e svecchiando un impianto ’80s non senza difficoltà, con notevoli sbavature ed imperfezioni, oltreché cadute di stile dovute all’accumulo progressivo di gag all’interno di un’unica sequenza (non ci troviamo di fronte alla genialità delle gag a sequenza di David Zucker, e la scena nello studio del sindaco è l’esempio più eclatante), riuscendo tuttavia nell’obiettivo di rafforzare il lato commedia e, supportato da un reparto di special effects di più che buona fattura, di rendere piacevole un boccone che, in altre mani, sarebbe stato difficile da digerire. Se la regia resta quasi sempre anonima, al servizio di un quartetto scoppiettante (Melissa McCarthy, pur prorompente come suo solito, si vede rubata la scena in più occasioni dalle gag mimiche di Kate McKinnon), il comparto tecnico è di tutto rispetto: la coloratissima fotografia farà contenti gli spettatori più piccoli, unitamente alla ricomparsa in scena di alcuni personaggi simbolo del film originale, capaci di sferzare l’immobilismo di alcune scene e far tornare il ritmo in una pellicola spesso balbettante.

Riuscire a realizzare un sottotesto moralistico o perlomeno tentare un approfondimento psicologico dei personaggi e della società in cui operano in un blockbuster del genere è sempre difficile, Feig getta quasi subito la spugna, banalizzando alcuni aspetti legati al passato delle donne, spuntandola unicamente sul fattore femminista, dimostrandoci come un gruppo unito ed agguerrito come quello delle acchiappafantasmi, possa combattere contro una società che tenta di relegarle a ciarlatane, presenze secondarie nella società newyorchese, truffatrici non a causa della loro professione ma del loro status sessuale. Nessuna si fida, all’apparenza, dell’altra ed è anche questa la vera forza coesiva di Ghostbusters, poiché nel momento giusto ognuna saprà di poter contare sugli altri membri. Si tratta di riscatto da vite di soprusi psicologici senza fine, una rivincita per donne considerate di second’ordine.

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Il cinema estivo è fatto di commediole da strapazzo prive di filo logico, accozzaglie di battute senza capo né coda, il più delle volte di fattura infima: Ghostbusters è divertente, ben confezionato ed ha il merito di riunire in un’unica pellicola quattro pezzi da novanta della comicità al femminile americana. Riuscire a passare su alcune scivolate registiche e di scrittura grossolane non è troppo difficile ed al momento giusto, quando la luce in sala si spegnerà e le disturbanti sirene del veicolo su cui si muovo le quattro donne saranno spiegate, nell’attimo in cui sullo schermo appariranno i cammei che riempiranno il cuore di gioia in ogni fan agguerrito e lo score musicale salirà di livello, lì allora capiremo che non andandolo a vedere ci saremmo persi l’opportunità di rilassarci per un paio d’ore, tornare ad assaporare quel gusto che solo questa saga riesce a dare (capitoli più fortunati o meno), in un turbinio di colori e battute capaci di rendere Ghostbusters un lavoro non totalmente mancato.

Fulcho Articoli
Cinefilia o cinofilia? Non ancora riesco a distinguere. So solo che amo il cinema, con tutto me stesso e non posso vivere senza. Toglietemi tutto, ma non la mia pellicola.

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