Monitor

Rai Cinema continua a produrre interessanti opere prime.

Voto:

Le opere prime sono sempre delle mine, delle bombe ad orologeria pronte ad esplodere, delle quali quasi nessuno desidera occuparsi. Rischiose, al limite tra la perdita produttiva e l’inosservanza spettatoriale, molto spesso si rivelano fucine di nuovi talenti, permettendo a cineasti emergenti di far notare il proprio valore e potersi cimentare in opere che, altrimenti, resterebbero solamente progetti a lungo riposti in polverosi cassetti. E così arrivano in soccorso meccanismi cineproduttivi il cui unico scopo è quello di fornire un primitivo appiglio economico produttivo e sbocco distributivo ad opere di tal genere; una di queste esperienze è il premio Solinas che, in collaborazione con la sezione cinema della Rai, ha premiato lo IED (storico istituto attivo nell’istruzione in ambito audiovisivi) con la produzione del lungometraggio di Alessio Lauria e la sua successiva distribuzione nel sito dedicato alla promozione di queste opere prime, RaiCinemaChannel.it, all’interno del quale ci sono ottimi prodotti come La Santa di Cosimo Alemà (regista di numerosi videoclip nazionali) ed Aquadro, di Stefano Lodovichi (a Novembre al cinema con la sua opera seconda, In fondo al bosco).

Monitor si inserisce all’interno di questo preciso quadro produttivo, mostrandosi da subito come progetto a basso budget ma dalle potenzialità elevate. Proseguendo il percorso iniziato idealmente dal secondo episodio della prima stagione di Black Mirror (uno dei capolavori della serialità britannica contemporanea), Monitor descrive un mondo utopico, meglio aggettivabile come distopico, in cui la vita ruota attorno a pochi elementi distintivi, tutti riconducibili al mondo lavorativo. Grandi aziende, mete predestinate del volere di ognuno, le quali garantiscono un servizio facoltativo e gratuito di ascolto-aiuto in cui persone anonime (i monitor del titolo), nascoste dietro uno schermo, interagiscono con i dipendenti fornendo aiuto psicologico e psicoanalitico, permettendo al contempo all’azienda di monitorare le abitudini dei propri dipendenti. Paolo è un monitor prossimo alla promozione, molto abile nel suo lavoro e primo nella graduatoria dell’azienda; quando uno dei suoi pazienti-dipendenti gli racconta del tentato suicidio di un collega, il ragazzo vede sfumare la sua promozione in un batter di ciglia. Dovrà fare di tutto per scoprire di chi si tratti ed impedire che ciò riaccada.

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Lauria ci accompagna con la macchina da presa lungo i corridoi che costituiscono l’ossatura architettonica dell’azienda, scivola lentamente lungo i locali serali, si avvicina curiosa alle lavatrici che affollano la zona lavanderia, soffermandosi sulla monotonia sia architettonica che vitale dell’azienda stessa. Le giornate si ripercorrono uguali tra loro, i monitoraggi permettono di svelare dinamiche comuni sia nella vita attuale che in quella della finzione scenica, la freddezza dei cromatismi utilizzati nella fotografia si disvela come sentimento che permea le relazioni, sentimento in cui Paolo sembra sguazzarvi meglio di chiunque altro. Apatico, assente dalla vita amicale (il rifiuto di uscire per festeggiare la proposta di promozione con gli amici è dimostrativo di ciò) e lontano dalla vita affettiva, sembra essere predestinato alla sua vita di monitorante, così come sembrerà poi predestinato alla futura promozione a supervisor. L’unico barlume di gioia, o per lo meno un sentimento a lei molto simile, proviene dal tentativo di vincita dei cinquecentomila crediti (altro tributo alla serie inglese di cui sopra) che potrebbe essergli portato da un gioco a premi basato su codici (altro importante elemento della pellicola) stampati sui tappi del tè freddo.

Michele Alhaique (anche regista di Senza Nessuna Pietà, qui nei panni di Paolo) si ritrova ad interpretare un personaggio primariamente freddo, i cui sentimenti verranno stemperati unicamente dalla conoscenza di Elisa (Valeria Bilello), una ragazza conosciuta in sala di monitoraggio, con all’attivo una vita familiare difficile ed un temperamento aspro che ne ricalca le vicende. Paolo lentamente scivola in una spirale che lo porta a distaccarsi dalla sua iniziale freddezza, la quale pare trasudi dall’ambiente stesso; immerso in un surreale ed imperituro crepuscolo del quale nessuno pare accorgersi, il seme del cambiamento viene gettato nel momento in cui Paolo si rifugia in lavanderia, sfruttandola come luogo di lettura e seguendo le orme dei pomeriggi di Elisa narratigli durante i monitoraggi; accortosi dello sbaglio che sta commettendo, viene redarguito anche dal suo capo (un sempre in gamba Claudio Gioè), il quale gli rammenta come i dipendenti siano unicamente dei codici. Solamente codici, trattati alla stregua degli uomini-macchina di Tempi Moderni di Chaplin. I toni freddi della fotografia, la freddezza mostrata dai personaggi interni alla narrazione filmica, il distacco con cui i superiori trattano i “monitorati” sono sintomatici di un mondo in cui i subalterni sono abbandonati al loro ruolo sociale, sopraffatti dai propri superiori ed immersi in pratiche dal sapore dispersivo, le quali permettono di evadere da questo mondo artefatto stile Truman Show.

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Il soggetto del film è degno di menzione, le scenografie mostrano una attenzione ed una dedizione particolare nel tratteggiare l’usuale distopia che permea la pellicola, così come la fotografia, la quale ricopre gli oggetti, i personaggi e le architetture presenti in Monitor di tinte e cromatismi utili ad immergerci nella tetra malinconia che attanaglia il mondo descritto. Il ritmo, tuttavia, è piuttosto dilatato, sopratutto nella parte centrale, mostrando le corde di una sceneggiatura che in alcuni momenti pare maggiormente congeniale ad un mediometraggio che ad un lungo e la regia, lenta ed attenta a soffermarsi sui silenzi e le lunghe pause dei personaggi, ne accentua la percezione. L’utilizzo della colonna sonora è accorto e limitato unicamente ad alcuni punti, sottraendo ulteriore ritmo ma permettendo alla vicenda di scorrere nel giusto verso. E’ proprio questo Monitor, un gioco di sottrazioni, in cui Lauria da maggior spazio ai personaggi che alla vicenda, permettendo allo spettatore di immergercisi e, allo stesso tempo, di perdervi ogni cognizione spazio-temporale annessa.

La vicenda scorre privandosi di guizzi non necessari, permettendo alla narrazione di fluire lentamente e allo spettatore di immergervisi, privandolo tuttavia della curiosità necessaria a continuare la visione, la quale si protrae senza fornire appigli narrativi efficaci nella seconda parte. Paolo è il prototipo dell’uomo moderno di un futuro non troppo lontano e nemmeno troppo inverosimile, il quale vive unicamente per il suo lavoro, allontanando ogni qualsivoglia emozione che possa distoglierlo dallo stesso; allo sfumare della promozione, difatti, sfuma anche la sua freddezza e Paolo diventa un uomo, si lascia andare, libero dalle costrizioni sociali in cui è immerso. Libero (forse), finalmente, di amare.

Come funziona? Voi scrivete tutto?

Potete guardare Monitor gratuitamente qui




Fulcho Articoli
Cinefilia o cinofilia? Non ancora riesco a distinguere. So solo che amo il cinema, con tutto me stesso e non posso vivere senza. Toglietemi tutto, ma non la mia pellicola.

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