Hideo nasconde qualcosa – Come Metal Gear Solid 2 ha sfidato il mondo otaku

hideo nasconde qualcosa

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Non ho paura che il pubblico si arrabbi. In un sequel devi soddisfare le aspettative del pubblico, ma in un certo senso devi anche andare contro di esse… e ingannarle – Hideo Kojima

Il sottoscritto e Fabio Di Felice, giornalista videoludico e saggista romano, siamo concordi nel definire Hideo Kojima “un intoccabile” nel panorama del gaming contemporaneo. Un’etichetta carica di rispetto e, al tempo stesso, di aspettative per quello che un game designer del genere può e sa creare. Aspettative. È questa una delle parole chiave del saggio Hideo nasconde qualcosa, scritto proprio da Di Felice e pubblicato da Ledizioni per la collana Loading, diretta da Francesco Toniolo. Quest’ultimo inquadra la raccolta come una serie di libri agili e accessibili, ma anche capaci di scavare in profondità per far emergere ciò che il videogioco ha da offrire. Un faro di notevole importanza per la game culture del nostro paese, dunque, dato che in qualche modo va a raccogliere la preziosa eredità di Ludologica, la prima collana di studi videoludici in lingua italiana, fondata da Matteo Bittanti e Gianni Canova e purtroppo chiusa nel 2016.

Quando si vuole parlare di Kojima in un libro, anche il verbo “scavare” ricorre spesso, dato che si parla di uno degli auteur – come ama chiamarlo Nicolas Winding Refn – più geniali mai esistiti, un artista a tutto tondo che spesso ha sfidato il medium videoludico. Proprio per questo motivo, Fabio Di Felice si fa regista e commentatore di una di queste sfide, la più grande e memorabile di tutte: Metal Gear Solid 2, l’opera con cui il buon Hideo ha dimostrato al suo pubblico di essere una massa perfettamente controllabile; l’opera con cui ha voluto far accettare la sua impronta autoriale in maniera perentoria e definitiva. Ecco quindi che assistiamo a un incontro di boxe su carta, una battaglia generazionale che vede in un angolo un abile visionario e nell’altro la subcultura otaku, celebre per essere uno dei movimenti più controversi e divisivi del mondo pop. Il motivo dello scontro? Un inganno orchestrato a regola d’arte da Hideo Kojima stesso, un’arma a doppio taglio con cui ha consapevolmente messo a rischio la sua intera carriera.

hideo kojima metal gear solid 2

Per comprendere la portata dell’argomento che il saggio affronta, viene in aiuto Stefania Sperandio – responsabile editoriale di SpazioGames – con la sua stimolante prefazione. La giornalista lancia un quesito, ovvero “qual è il momento in cui inizia un videogioco?“. Una domanda che permette di riflettere e capire che l’esperienza ludica che tanto elettrizza noi videogiocatori nasce ancor prima di poter premere il tasto “Start” sul controller. Sono infatti le notizie, i trailer, il passaparola, il chiacchiericcio su Internet ad alimentare le nostre fantasie su un prodotto tanto atteso (paradossalmente facendoci giocare in assenza del gioco).

In altre parole, quando aspettiamo con ansia l’uscita di una nuova killer app, ci chiediamo anche “cosa farò in questa avventura? Chi impersonerò?”. Dubbi che possono trovare risposta oppure no e che generano catene di discussioni, what if e interazioni di svariata natura, oggi moltiplicate esponenzialmente grazie alla rete, strumento tanto potente quanto insidioso. Uno sviluppatore può scegliere di accontentare la nostra curiosità prima del lancio, ma soprattutto può decidere quanto raccontare della sua creazione.

Agli albori del Duemila, prima dello strapotere dei social network, quel mattacchione di Hideo è voluto andare oltre: forte della sua posizione in Konami, ha imbrogliato miracolosamente tutti. “In Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty torneremo a vestire i panni di Solid Snake? Certo!” affermavano all’epoca i fan in trepidante attesa, ma solo perché il papà di Metal Gear li aveva indotti a crederlo. Quello che compreranno il 13 novembre 2001 non è il blockbuster che i trailer hanno promesso per anni. Da questo evento si snoda Hideo nasconde qualcosa, un ricco saggio che narra come si è giunti a una provocazione di tale entità, uno scherzo che alcuni potrebbero definire una vera e propria truffa (e non avrebbero tutti i torti).

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Questo non è un libro sulla carriera di Hideo Kojima“, Di Felice lo mette subito in chiaro. Sono infatti ben calcolati i frangenti biografici relativi all’artista giapponese; molto più spazio è invece dedicato all’approfondimento del contesto storico, sociale ed economico in cui un capolavoro come MGS2 viene concepito e dato in pasto al pubblico. Si va alle radici della sua genesi, attraverso un viaggio che a più riprese dimostra quanto sia stato rivoluzionario un autosabotaggio da manuale.

A differenza di altri prodotti (italiani e internazionali) dedicati al game designer nipponico che ho avuto il piacere di leggere, quest’ultimo è davvero completo e dettagliato come lo era l’ottimo Metal Gear Solid. L’evoluzione del serpente del compianto Bruno Fraschini (talentuoso scrittore a cui Hideo nasconde qualcosa è dedicato). Invece di soffermarsi solo su Kojima o sulla trama dei suoi giochi, accompagnando gli aneddoti con curiosità dozzinali, Fabio Di Felice tira in ballo fattori cruciali come la vita privata del protagonista – per quel poco che ci è permesso conoscere – lo stato dell’industria videoludica dell’epoca e molto altro.

Ho il piacere di citare, per esempio, due bellissime parentesi sull’insostituibile Yoji Shinkawa e sul poco conosciuto Motosada Mori, consulente militare per la saga di Metal Gear. Andando a memoria, non credo di aver mai letto in un saggio italiano approfondimenti così minuziosi. Il già citato Shinkawa ha ricevuto un notevole tributo nel libro fan-made A Yoji Shinkawa Book di Tarak Chami, ma raramente è stato oggetto di ulteriori analisi esclusive.

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Artwork di Yoji Shinkawa per Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty.

E se parliamo della vita privata (blindata) di un giapponese doc, sorprende sentir discutere dei coniugi Kojima e dell’infanzia del loro secondogenito con grande trasporto e con l’aggiunta di piccole curiosità (cosa che, in parte, fa anche il documentario Connecting Worlds). L’immersione nella lettura e nel Giappone di ieri e oggi è garantita quindi da una scrittura assai vivida; sembra di essere lì a seguire di persona il folle Hideo nelle sue avventure. Personalmente uno dei punti più alti è proprio tra le prime pagine: la morte di Kojima senior, Kingo; un frangente commovente arricchito da alcuni inserti provenienti dall’autobiografia del game director, Il gene del talento e i miei adorabili meme.

Di conseguenza, Hideo nasconde qualcosa è sì un saggio, ma con uno stile moderno e scorrevole, come se un amico ci stesse raccontando una storia condita di momenti salienti e colpi di scena. Un volume che ricorda i video-saggi del bravissimo Nick Robinson, in arte Babylonian su YouTube. Non è un libro “pettinato” e di stampo accademico, ma un prodotto accessibile a tutti come dovrebbe essere, in un mondo dove c’è un disperato bisogno di educazione al videogioco.

A questo proposito, fa molto piacere ritrovare alcune delle tappe fondamentali della storia videoludica e della cultura pop in generale come l’Atari shock del 1983 o l’esplosione di popolarità di anime e manga tra gli anni Ottanta e Novanta. Momenti che ci ricordano che l’industria del videogame e dell’intrattenimento non era supportata e socialmente accettata come oggi, bensì un insieme di reietti, “di outsider che si uniscono alle fila di un mercato fatto di gente sempre più talentuosa, sempre più arrabbiata, con la voglia di dimostrare al mondo di esistere“.

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Hideo Kojima poco prima dell’annuncio mondiale di Metal Gear Solid 2, durante l’E3 del 2000.

Non mancano ovviamente parti più retoriche che servono da coordinate per orientarsi nel discorso generale: l’evoluzione del Giappone durante il suo miracolo economico, il nuovo accademismo nipponico, uno studio della corrente del postmodernismo e tanto altro. Il lettore viene aiutato ad avere un quadro completo e chiaro della diatriba tra Hideo Kojima e la sua fanbase, composta in gran parte da otaku, un altro fenomeno sociale e subculturale sviscerato con dovizia di particolari (per esempio, dedicando un paragrafo alla vicenda di Densha Otoko).

Quegli stessi otaku che scappano mentalmente dalla crisi economica in Sol Levante che, personalmente, ho sondato nell’approfondimento su Cure di Kiyoshi Kurosawa. Rifugiarsi nei videogiochi e in prodotti collaterali, scegliendo inconsapevolmente o meno di vivere nella finzione, è un rischio che spesso e volentieri porta a non riuscire più a distinguere la realtà dal virtuale, dalla fiction. Inserito in queste dinamiche, è chiaro come Metal Gear Solid 2 sia riuscito a manipolare le aspettative di gran parte del pubblico; un processo replicabile con difficoltà, ma comunque possibile (a patto di accettarne le conseguenze).

Tutti questi supplementi e filoni secondari, che con un effetto domino valorizzano la vicenda principale, si intrecciano in maniera solida e convincente e non mancano di citare eventi memorabili del passato come il terremoto di Kobe del 1995 che colpì anche gli uffici di Konami durante lo sviluppo del primo Metal Gear Solid. Konami che spesso si è lanciata in un gioco di “sgambetti e menzogne” nei confronti di Kojima, la sua gallina dalle uova d’oro. Un tira e molla che coinvolge anche la genesi del resto della saga di Snake, costellata di episodi a volte così incredibili da sembrare romanzati, come la nascita dei due giochi “rivali” Snake’s Revenge e Metal Gear 2: Solid Snake.

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Per riassumere, Hideo nasconde qualcosa è composto da tre capitoli – L’ingresso, L’inganno e La sfida – con relativi paragrafi. Il primo sintetizza con estrema passione e precisione l’ascesa di Kojima come auteur fino al trionfo mondiale di Metal Gear Solid; il secondo racconta ciò che precede storicamente la trappola a danno dei fan; il terzo capitolo, infine, contiene lo scontro vero e proprio, accompagnato da un rollercoaster di emozioni. L’annuncio di Metal Gear Solid 2 all’E3 del 2000 con un trailer di 9 minuti divenuto leggenda, il faticoso e intensissimo sviluppo – ostacolato persino dagli attentati dell’11 settembre – e l’hype colossale per l’arrivo nelle case dei videogiocatori nell’inverno del 2001 sono le tre fasi più intrattenenti di questa corsa forsennata, che si conclude con le inevitabili ripercussioni della più ignobile furbata del signor Hideo.

È dunque troppo facile e banale condensare il rapporto tra Hideo Kojima e appassionati pensando che il game director sia semplicemente una figura amata e odiata allo stesso tempo, che si diverte a fare il buffone su X e Instagram di tanto in tanto. L’opera di Fabio Di Felice non cade in questa insidiosa semplificazione, bensì scava con coscienza in questo legame che si è stratificato negli anni e che è colmo di contraddizioni. Viene offerta una prospettiva ben più ampia di quella che si può avere sondando il web. Per citare un esempio, il primo Metal Gear Solid – nelle sue decine di sfaccettature – non venne capito completamente come Hideo sperava. La critica al mondo otaku che lui stesso aveva inserito non aveva avuto effetto: il gioco si è invece trasformato in un ennesimo fenomeno di culto, apprezzato proprio da quegli otaku che dovevano essere bacchettati.

Un destino condiviso anche da Hideaki Anno e dal suo Neon Genesis Evangelion che, invece di “spronare i giovani giapponesi ad abbandonare la condotta di vita isolata degli otaku […] ha fornito alla community un altro mondo finzionale in cui abitare, e ha reso ancora più difficile la separazione tra reale e virtuale“. Davvero ironico se persino Di Felice sottolinea che “Metal Gear Solid 2 non vuole prendersi gioco del suo pubblico o del mondo otaku: come Evangelion prima di lui vorrebbe invece cercare di smuoverne le coscienze parlando la stessa lingua“.

Spesso e volentieri c’è un abisso tra quello che un autore vuole trasmettere e quello che poi l’audience recepisce; con Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty è accaduto proprio questo. Si è trattato di uno degli scontri più duri della storia videoludica, seguito probabilmente dal caos nato dopo i leak giganteschi di The Last of Us Parte II. I motivi di tutto ciò risiedono, per l’appunto, in un vizio dei giocatori: il rifugiarsi mentalmente nelle opere predilette, attaccandosi emotivamente a esse e perdendo di vista la realtà circostante. La scelta di vivere nella finzione.

In conclusione, l’opera di Fabio Di Felice – evitando agilmente di fossilizzarsi solo su vita, morte e miracoli dell’irreprensibile Kojima-san – riesce a trattare sapientemente di mediologia, digitalizzazione, sociologia e filosofia. Una bella boccata d’aria fresca per i game studies italiani che spero sinceramente possa essere d’esempio per future pubblicazioni nel settore, così da colmare un parziale vuoto che ristagna ormai da fin troppi anni.

Un ringraziamento speciale a Ledizioni

Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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