The Last Case of Benedict Fox (PC)

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Voto:

Nell’ormai lontano 2017 le fondamenta del panorama indie venivano scosse dall’arrivo sul mercato del celeberrimo Hollow Knight, un cult eccezionale che ha riportato i metroidvania nelle case dei videogiocatori. Questa rinnovata popolarità, infatti, ha indotto numerosi sviluppatori a creare opere sulla stessa falsariga, come Bloodstained: Ritual of the Night, Dead Cells, Ender Lilies: Quietus of the Knights, Blasphemous e altre ancora. Tutti prodotti di alta qualità e molti apprezzati dal pubblico.

A fine aprile, Plot Twist – uno studio indipendente polacco – ha deciso di dare il suo contributo al genere pubblicando The Last Case of Benedict Fox, un gioco che si inserisce a gamba tesa nel già ricchissimo parco titoli sopracitato facendo leva sulla sua accattivante estetica steampunk con influenze lovecraftiane. Gli appassionati come il sottoscritto hanno drizzato le antenne in men che non si dica ponendosi un quesito fondamentale: questo coraggioso esperimento regge il confronto con gli altri colossi dell’industria?

the last case of benedict fox scenario

Boston, 1925: la Grande Guerra è giunta al termine. Nonostante ciò, nuovi orrori vengono perpetrati nell’ombra da un’enigmatica società segreta nota come Primo Girone, dedita a pratiche occulte e a indagini sul cosiddetto “Vuoto” (una dimensione parallela di lovecraftiana memoria). A ostacolare queste oscure macchinazioni è una seconda organizzazione di fondamentalisti religiosi chiamata Ordo Ira Dei, una sorta di nuova Inquisizione.

Benedict Fox – il protagonista della storia – opera nel bel mezzo del suddetto scontro, in qualità di investigatore privato che è stato posseduto da un Compagno, una mostruosa creatura tentacolare e incorporea – proveniente dal Vuoto – che solo il poliziotto può vedere e sentire. Sulle prime, il racconto non rende chiare le cause della loro fusione, ma catapulta immediatamente il giocatore in un caso assai difficile e intricato: l’efferato duplice omicidio di una facoltosa coppia all’interno della loro villa, reso ancora più complesso da quel che sembra un misterioso rituale interrotto sul più bello. Le vittime sono Marie Anne Floyd e James; quest’ultimo, in vita, era un noto scienziato coinvolto in controversi esperimenti. Benedict è l’unico in grado di scoprire la verità sulla morte dei coniugi, poiché capace di esplorare i loro ricordi attraverso i poteri extrasensoriali donatigli dal Compagno.

the last case of benedict fox villa

Entrare nelle menti contorte della coppia significa farsi largo nel Limbo, un mondo onirico fatto di visioni distorte, incubi e mostri demoniaci. Approfondire la psiche di James e Marie, insieme al loro rapporto travagliato, è un’idea certamente non originale, ma comunque affascinante. Complotti, intrighi amorosi e molte altre sottotrame arricchiscono una narrazione davvero densa. Tutto ciò è sia un pregio che un difetto: i risvolti delle vicende sono sì stuzzicanti, ma un impianto investigativo così stratificato mina – a volte – la comprensione generale, dal momento che non è sempre semplice ricollegare ogni indizio.

Si ha la sensazione che gli sviluppatori abbiano voluto imbarcarsi in qualcosa di troppo grande per loro, a maggior ragione se consideriamo la messa in scena assai anticlimatica del finale e un mancato approfondimento di tutte le influenze lovecraftiane di cui Plot Twist si è fregiata. Nonostante ciò, la parabola di Benedict Fox coinvolge e cattura il giocatore aggrappandosi a temi profondi come la sindrome dell’abbandono, la sete di conoscenza, il significato della speranza e la solitudine. Elementi che mi portano a promuovere – con riserva – la componente narrativa.

the last case of benedict fox limbo

Sin dai primi minuti, il gioco si presenta con due anime ben distinte: una investigativa, più vicina a titoli come Agatha Christie – Hercule Poirot: The First Cases, e una prettamente esplorativa. In altre parole, il giocatore alterna immersioni nelle menti di James e Marie – due enormi mappe in cui rinvenire manufatti e prove – a momenti in cui ricollegare gli indizi trovati all’interno della villa. I due Limbo offrono subito varie strade da percorrere, porte da sbloccare, puzzle da risolvere e zone segrete. Gli autori, insomma, sono riusciti a costruire dei dungeon molto estesi e arzigogolati; ciò comporta lati positivi e negativi.

In primis, è intrigante vedere come le due ambientazioni – la villa e il subconscio – si influenzano a vicenda: scoprire segreti nel Limbo porta a svelarne altrettanti all’interno del mondo reale. Oltretutto, i molteplici enigmi da risolvere e le aree sono legati a doppio filo con la trama: questi elementi di gameplay, infatti, non sono altro che metafore utili a comprendere lo sviluppo della storia e l’evoluzione dei personaggi coinvolti. Per orchestrare tutta questa lore è stato sfruttato un sistema ripreso dai soulslike: tutti gli oggetti e i collezionabili sono dotati di descrizioni dettagliate; ricollegarle chiarifica la maggior parte degli eventi chiave. In questo senso, i già citati puzzle – di vario genere, mai frustranti o banali – mi hanno fatto sentire come un vero detective: si passa da rompicapo cifrati a minigiochi con carte dei Tarocchi (i più belli in assoluto, peccato per il numero esiguo).

Il risvolto negativo di tutto questo ben di dio è il generale senso di oppressione che porta con sé. Mi spiego: dopo i primissimi passi all’interno dei vari percorsi offerti, si viene bombardati non solo da lunghe missioni secondarie legate a indagini extra e manufatti da trovare, ma anche da tantissimi tipi di passaggi chiusi, rebus irrisolvibili o cose da ricordare. Pensate che dopo appena tre ore di playthrough, se si decide di imboccare una specifica strada durante le esplorazioni, è possibile capitare in una zona assai remota del Limbo che non ha nulla a che fare con la missione principale. Ciò genera confusione e una leggera labirintite (menomale che le shortcut e le quest sono ben gestite). A peggiorare il tutto, l’impossibilità di personalizzare la mappa con indicatori per tenere traccia dei luoghi già esplorati e la totale assenza di suggerimenti o aiuti da parte del gioco quando non si sa dove andare o cosa fare con certi indizi. Delle pecche che ammazzano il coinvolgimento e bloccano l’utente in tediose sessioni di disperato backtracking in cerca del percorso giusto per proseguire.

the last case of benedict fox mostri

Anche dal punto di vista del gameplay si segnalano alti e bassi. Una nota di merito va alle impostazioni relative alla difficoltà, adattabili a tutte le esigenze. È possibile, per esempio, giocare con l’immortalità attivata o, viceversa, decidere di farsi uccidere dopo un solo colpo ricevuto. Più nello specifico, i livelli disponibili sono tre: Rilassante (tutti i nemici infliggono lo stesso danno e muoiono con un singolo attacco a meno che non sia previsto diversamente ai fini della trama), Predefinito e Impegnativo. Non solo: chi detesta gli enigmi può disabilitarli completamente, mentre chi ama l’esplorazione può renderla ancora più ardua (eliminando i pochi aiuti visivi forniti).

A questo proposito, attraversare i vasti corridoi del Limbo significa farsi largo tra schiere di bestie abbastanza variegate. Per difendersi, il protagonista può sferrare un attacco leggero e uno pesante, saltare, schivare, parare e soprattutto sparare con una tanto potente quanto utile pistola lanciarazzi che si ricarica dopo ogni combo.

I problemi gravi di The Last Case of Benedict Fox riguardano proprio tutto questo sistema di combattimento: le animazioni sono molto legnose e i comandi di tastiera e controller poco responsivi; inoltre, i controlli di default risultano spesso scomodi da utilizzare. Si spera in un aggiornamento che permetta almeno di riassegnare i tasti a proprio piacimento. In altre parole, bisogna spendere qualche ora per abituarsi, prima di poter padroneggiare il personaggio.

the last case of benedict fox poistola

Non finisce qui: credetemi quando vi dico che questo metroidvania presenta uno dei peggiori sistemi di doppio salto mai concepiti, basato sull’uso esclusivo di un rampino che riesce ad aggrapparsi alle superfici corrette circa una volta su cinque (se l’input viene registrato correttamente). Inutile quindi provare a saltare per evitare gli scontri, non funzionerà mai.

La goffaggine del nostro Benedict, purtroppo, diventa fastidiosa in boss fight specifiche in cui è necessario fuggire da mostri giganti, evitando ostacoli: la poca responsività del movimento costringe il giocatore a numerosi, frustranti tentativi. Aggiungo che i colpi nemici mandano in ragdoll il personaggio nove volte su dieci, facendo perdere il controllo di combattimenti ed esplorazione in più occasioni. Non si capisce se questo effetto molto molto brutto sia una scelta di design o semplicemente un errore di programmazione.

In ultimo, la mancanza di frame d’invincibilità dopo aver subito danno permette a chiunque di stun-lockarci e di condurci a morte certa, specialmente quando ci si trova a lottare in ingestibili spazi stretti.

the last case of benedict fox cutscene

Morire significa venire esiliati dai vari dungeon e ricominciare da uno dei tanti portali di teletrasporto, detti Ancoraggi, che si “schiudono” nel corso dell’avventura. Questi ricaricano la salute, le risorse e permettono di conservare i punti esperienza – aka Inchiostro – ottenuti uccidendo i mob. Qui si inserisce un’altra meccanica presa direttamente dai soulslike: recuperare l’Inchiostro perduto in caso di game over è possibile solo tornando sui propri passi per eliminare l’ultimo nemico che ci ha ucciso. Peccato che dai titoli FromSoftware non sia stata ereditata qualche trovata di design per limare i già citati boss: pochi, insipidi e con gimmick viste e riviste.

A migliorare leggermente l’impianto ludico ci pensano i tre NPC che accompagnano Fox nelle sue indagini. Il primo a fare la sua comparsa è Harry, un vecchio amico che vende potenziamenti e oggetti utili all’esplorazione. La valuta con cui pagare si accumula scoprendo indizi o trovando collezionabili; i giocatori più attenti vengono dunque premiati. I consumabili donati da Harry sono quattro, un armamentario tutto sommato accettabile:

  • Un dispositivo che permette di pietrificare temporaneamente il detective per evitare di rimanere feriti.
  • Una bomba fumogena per svanire dalla vista dei nemici e coglierli di sorpresa.
  • Le spille Kogai, strumenti ottenibili dopo alcune ore, da usare per congelare gli avversari e, all’occorrenza, aprire porte speciali come se fossero dei normali grimaldelli.
the last case of benedict fox fabbro
La schermata del Fabbro dedicata al potenziamento delle armi.

Gli altri due personaggi sono il Fabbro – il nome parla da sé – e la Tatuatrice, una donna dalle capacità sovrannaturali che permette di migliorare le abilità tramite un semplice skilltree da completare con l’Inchiostro raccolto. Quest’ultimo non è farmabile: le bestie, difatti, lo droppano solo dopo essere state uccise per la prima volta; ciò significa che ogni area ha una quantità limitata di punti esperienza da ottenere. Una scelta peculiare ma comprensibile, dal momento che impedisce al giocatore di potenziarsi troppo in fretta.

Molto carina l’idea di infondere in Benedict i nuovi poteri attraverso dei tatuaggi magici ben visibili sul suo corpo; peccato invece per l’eccessiva linearità del sopracitato skilltree, scarno e senza possibilità di personalizzazione. Alcune skill di movimento permettono di navigare in zone secondarie delle due mappe e fortunatamente, accumulando sempre più potenziamenti di questo tipo – come un’irrinunciabile scivolata ad esempio – si aggira parzialmente la grave legnosità dei comandi analizzata in precedenza.

the last case of benedict fox tatuaggi
Rendere visibili i progressi del player è un’ottima trovata.

A livello tecnico, l’opera di Plot Twist riesce a difendersi bene grazie a un buon uso di Unity: i modelli e le texture sono dettagliati e il colpo d’occhio generale è veramente notevole; tutto merito di una pregevole direzione artistica a metà strada tra il gotico e il cartoon che ricorda vagamente la mano di Tim Burton. Ottima l’illuminazione così come l’environmental design: le ambientazioni sono immersive, diversificate e particolareggiate. Insomma, gli artisti che hanno curato l’estetica e il comparto grafico meritano più di un applauso. A rovinare in parte il lavoro è un doppiaggio inglese altalenante e al risparmio, castrato da performance attoriali mediocri e dimenticabili.

Le performance su PC sono nella norma, segnalo tuttavia occasionali bug nella progressione e un problema serio che si presenta dopo diverse ore di gioco continuative: uno stuttering abbastanza pesante durante i combattimenti e i cambi di location (l’unico modo per risolvere la cosa è riavviare l’applicazione). Analisi più approfondite mi hanno portato a determinare che si tratta di un errore nella compilazione degli shader: ogni volta che un qualsiasi modello 3D viene inquadrato dalla telecamera per la prima volta, i suoi shader vengono compilati in tempo reale. In parole povere, sbloccare troppe aree di seguito porta questo calcolo a diventare esponenziale, causando grossi rallentamenti.

Non temete: gli sviluppatori, al momento della stesura di questa recensione, stanno attivamente raccogliendo i feedback dei giocatori e hanno confermato l’arrivo di molteplici patch correttive, utili sia al comparto tecnico che al gameplay.

the last case of benedict fox buio

The Last Case of Benedict Fox può essere completato al 100% in circa 17 ore, senza troppe difficoltà e con tanto, tanto backtracking fino all’ultimo pixel. Nonostante si tratti di un metroidvania con problemi che palesano un polishing insufficiente o la carenza di playtest adeguati, voglio promuoverlo ugualmente per il coraggio dimostrato dai suoi creatori che non hanno esitato a farsi spazio in un mercato aggressivo e ricco di competitor agguerriti. Quest’avventura investigativa con un pizzico di Lovecraft non può certo dirsi un caposaldo imperdibile del genere, ma è sicuramente un buon punto di partenza per uno studio indipendente che ha dimostrato di avere cuore e ingegno.

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Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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