
A solo un anno di distanza dal Nosferatu di Robert Eggers, e a pochi giorni dall’uscita su Netflix del Frankenstein di Guillermo del Toro, le recenti trasposizioni cinematografiche di romanzi gotici ottocenteschi continuano con l’arrivo nelle sale di Dracula – A Love Tale (in italiano Dracula – L’amore perduto) firmato dal regista francese Luc Besson (Léon, Il quinto elemento, Lucy).
Atmosfere cupe, mostri inquietanti, protagonisti in preda a dubbi esistenziali e storie d’amore tormentate: mescolando questi ingredienti base e aggiungendo un po’ di sapori in base al contesto geografico, sociale e politico dello scrittore in questione, si ottiene un’amalgama che ha contribuito a creare alcune delle storie gotiche più celebri e amate dell’Ottocento; e mentre Eggers e del Toro mantengono la formula vincente come base dei film sopracitati, Besson decide invece di modificare la ricetta a modo suo, un po’ come quando si cerca di creare un nuovo tipo di lasagna o un nuovo tipo di tiramisù. Come in questi ultimi esempi, i risultati possibili di un simile esperimento che coinvolge un grande classico sembrano solo due: uno stravolgimento vincente, o un fiasco disastroso.
La realtà, come spesso accade, è una via di mezzo: l’esperimento vampiresco di Besson riesce per metà, perché pur snaturando un po’ la storia principale con l’aggiunta di elementi comici preponderanti e la resa di un Dracula a metà fra un Casanova e un protagonista dannato da young adult, l’intreccio riesce a seguire un filo narrativo interessante dando effettivamente alcune svolte originali a una storia ormai conosciutissima e già rivisitata in molte salse.
La base resta quella già usata dall’omonimo film di Coppola del 1992: il conte rumeno Vlad Dracula (qua interpretato da un ipnotico Caleb Landry Jones), dopo aver perso la sua amata moglie (Zoë Bleu) durante una guerra contro i turchi, rinnega Dio e diventa così il primo vampiro della storia, passando i suoi successivi quattrocento anni alla ricerca di un’eventuale reincarnazione della sua amata. Il film alterna quindi flashback sul passato di Dracula, che vanno dal Quattrocento al Settecento, con il presente narrativo ambientato durante la Belle Époque tra la Romania e Parigi.
Per chi è un po’ a digiuno sulla storia classica di Dracula e le sue successive rivisitazioni novecentesche, possiamo grossolanamente dividere le scelte narrative più ricorrenti in due filoni principali. Il romanzo originale di Bram Stoker e la maggior parte delle prime interpretazioni filmiche tendono a trattare la storia come un vero e proprio racconto dell’orrore, dove il conte Dracula rappresenta l’archetipo gotico del mostro eretico e i protagonisti principali devono trovare il modo di sconfiggerlo barcamenandosi tra scienza e religione, in un dibattito che ha molto anche di esistenziale; invece trasposizioni filmiche più recenti, come appunto il Dracula di Francis Ford Coppola (1992), il Nosferatu di Robert Eggers (2024) e questo Dracula di Besson, danno priorità alla tormentata storia d’amore fra Dracula e la moglie, assente nel romanzo originale.

Quello che rende originale la “Love Tale” narrata da Besson è l’approccio, che cerca di essere allo stesso tempo comico e contemporaneo. Smorzando un bel po’ le atmosfere inquietanti e i toni horror, il regista francese sceglie di narrare i punti principali della storia in modo divertente e leggero, dando spazio a battute irriverenti e spavalderia là dove i personaggi tipici di un racconto gotico avrebbero dato vita a soliloqui tormentati e azioni dettate dalla paura; parallelamente, l’amore che Dracula prova per la moglie mantiene un carattere tormentato e ossessivo pur perdendo qualsiasi connotazione inquietante o grottesca. Questo vampiro centenario non è più granitico e freddo, ma ha un volto molto espressivo, che spazia dal disperato all’iroso all’innamorato con facilità e convinzione, rendendolo molto più simile al protagonista vampiro di uno young adult che non a un mostro seriamente inquietante e sanguinario.
Il tentativo di umanizzare Dracula risulta credibile solo per quanto riguarda la meravigliosa performance di Caleb Landry Jones, che resta la parte migliore del film, perché dal punto di vista narrativo ci sono dei problemi di fondo. Purtroppo, quest’amore che “attraversa gli oceani del tempo” e che dovrebbe essere il protagonista assoluto del film non si percepisce mai veramente: i due soli momenti in cui vediamo Dracula e la moglie comportarsi di fatto come una coppia sono circoscritti all’interno di una camera da letto, dove quindi il loro rapporto si riduce a una componente carnale e irrealisticamente “perfetta” che poco si adatta al comportamento del vampiro durante tutto il film.
In assenza di momenti di vera complicità, lo spettatore si ritrova a dover parteggiare per una relazione che vorrebbe essere attuale e realistica ma che in realtà risulta banale e forzata, con un protagonista complesso ossessionato da una donna priva di spessore e fortemente idealizzata. Per tutto il film, la sola particolarità della moglie di Dracula che viene evidenziata da dialoghi e inquadrature è infatti la sua bellezza: persino durante la scena della sua morte, una delle prime del film, l’espressione che l’attrice assume ricorda più la fine di un amplesso sessuale che non la fine ingiusta e inaspettata di una vita breve.
In generale, il trattamento dei personaggi femminili non rende affatto giustizia a quelli originali e li semplifica all’osso: Mina è ridotta a semplice oggetto amoroso fatto per essere ammirato, privo di qualsivoglia personalità o scopo d’esistenza se non quello di essere trovata e amata; la sua amica Maria (una eppur bravissima Matilda De Angelis) rispecchia il suo opposto, ovvero la provocante e libertina femme fatale che qua ricorda un po’ una vampiresca Harley Quinn a metà fra pazzia e disperazione. Con queste premesse, più che aspettare con impazienza che i due innamorati si ricongiungano, quasi si spera che il povero Dracula dimentichi la vecchia amata e decida di voltare pagina.
In più, nonostante il focus sia la storia d’amore, e nonostante il punto di vista che il pubblico dovrebbe condividere sia quello di Dracula, il film perde troppo tempo (quasi metà della sua durata) a concentrarsi sui protagonisti originari della storia classica, Jonathan Harker, il dottor Dumont e Van Helsing, che in questa prospettiva della storia avrebbero avuto più senso come personaggi di supporto comico che come coprotagonisti. Ne esce fuori quindi un film sì principalmente romantico, ma poco convincente sia nelle sue stesse premesse che nella scansione del ritmo narrativo.
Malgrado quanto osservato di negativo, Dracula – A Love Tale resta una versione innocua della celeberrima storia, grazie all’inaspettato e gradevole genere comico e a un protagonista più che convincente. Se cercate una storia d’amore senza pretese, che potrebbe funzionare giusto su carta o nell’immaginazione di un’adolescente, e un sapiente uso di dialoghi irriverenti e tempi comici, avete davanti a voi il film perfetto. Se invece vi aspettate atmosfere horror inquietanti, dibattiti esistenziali e una storia d’amore adulta e tormentata, vi consiglio caldamente di leggere il romanzo originale per i primi aspetti e di guardare il film di Coppola per l’ultimo, conservando il Dracula di Besson per una serata più leggera.







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