Good Boy, un indie horror da cani

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Voto:

Perché il mio cane si ferma a fissare degli angoli vuoti? Perché abbaia all’improvviso? E perché a volte si spaventa senza un motivo apparente? Se avete un amico a quattro zampe e vi siete posti queste domande almeno una volta, Good Boy – lungometraggio d’esordio del regista Ben Leonberg – è un horror indipendente che potrebbe avere le risposte che cercate. Opera low budget divenuta un caso cinematografico dopo essere stata selezionata al SXSW Film & TV Festival e aver raggiunto un punteggio del 95% su Rotten Tomatoes, è approdata in Italia grazie alla XXIII edizione del festival Alice nella Città, che ne ha fatto il suo film d’apertura per la sezione Fuori Concorso.

Definito dal festival stesso “il film di genere più atteso dell’anno e già fenomeno di culto prima ancora della sua uscita in sala“, Good Boy è stato fortemente influenzato dai racconti di Stephen King – nello specifico The Shining e Carrie – e da Poltergeist del 1982, diretto da Tobe Hooper. Si tratta di una ghost story atipica, vissuta dal punto di vista di un bellissimo cagnolone che lancia allo spettatore un quesito terrificante: cosa potrebbe accadere quando perfino il nostro più leale protettore avverte qualcosa che noi non possiamo percepire?

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Todd (Shane Jensen) soffre di una gravissima malattia polmonare ed è costretto a passare molto del suo tempo in ospedale, seguito dallo sguardo vigile e apprensivo della sorella Vera (Arielle Friedman). Fortunatamente le giornate dei due fratelli vengono rallegrate dalla presenza costante e affettuosa del loro cane Indy, molto fedele al povero Todd. Dopo anni di sofferenze, quest’ultimo decide di mollare tutto e di traslocare nella vecchia casa di famiglia dove il nonno (Larry Fessenden) ha abitato, insieme a un altro cane, fino alla morte avvenuta in circostanze misteriose. Nonostante le proteste di Vera, preoccupata per la salute cagionevole del fratello e per la brutta nomea dell’abitazione, Todd è irremovibile e trova in questa nuova casa nel bosco una pace mai provata prima.

Dopo pochi giorni, tuttavia, l’uomo comincia a notare strani comportamenti da parte di Indy. Il cane infatti, fin dall’inizio, è assai intimorito dal luogo in cui i due si sono trasferiti; un timore che lo porta a fissare il vuoto o ad annusare ossessivamente le stanze della villetta come se fosse in cerca di qualcosa che il padrone non può vedere. Come se non bastasse, il sopracitato nonno non sembra esattamente un tipo raccomandabile, data la sua passione per gli animali imbalsamati e per il collezionismo di grottesche videocassette piene zeppe di film dell’orrore. C’è decisamente qualcosa che non va e solo Indy, tormentato da macabre visioni, è riuscito a capirlo.

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Good Boy, sceneggiato dal regista stesso assieme ad Alex Cannon, nasce come un cortometraggio e – sarò sincero – sarebbe stato meglio se fosse rimasto tale. Nei suoi 73 minuti, il film mostra la lotta del fedelissimo cane per proteggere il suo migliore amico da pericoli che paiono sempre in agguato, mettendo in scena un legame emotivo puro e sincero. Forse l’elemento più riuscito della pellicola, dal momento che Indy è il cane di Ben Leonberg anche nella vita reale. La macchina da presa si “abbassa al suo livello”, mostrandoci agilmente i suoi punti di vista con l’ausilio di soggettive, piani sequenza e movimenti interessanti e ben architettati. Peccato che l’attrattiva di tutta l’opera si riduca quasi esclusivamente a questo.

Con un mix tra The Sixth Sense di Shyamalan e una lettera d’amore per il suo bellissimo e bravissimo retriever, Leonberg vorrebbe rivoluzionare il concetto stesso di paura, ma finisce per girare un mero esercizio di stile, un prodotto con tanta forma e poca sostanza. L’estetica curata e messa in mostra da classici giochi di luci e ombre – tra lampadine sfarfallanti e sagome ingannevoli – non basta a sorreggere una storia che vorrebbe vivere di atmosfere ansiogene, ma che si regge in piedi solo grazie alla voglia di sapere dove il tutto andrà a parare (ovvero in un finale prevedibile, sconclusionato e con poco da dire).

Il difetto più grave sta nell’aver reiterato in continuazione gli stessi schemi narrativi, attraverso sequenze sempre simili tra loro e con poca fantasia. Potremmo sintetizzare così questa noiosa ripetizione: Indy viene irritato da un rumore molesto, comincia a investigare, si spaventa per delle strane ombre e tutto a un tratto viene colto da angoscianti visioni a metà tra la realtà e il fantasmagorico. Mescola tutto, copia e incolla. La sceneggiatura dunque risulta inutilmente annacquata e fallisce nel generare tensione. La coppia Leonberg/Cannon non ha saputo gestire gli eventi in maniera intrigante e, purtroppo, non ha nemmeno arricchito le vicende di sottotesti su cui riflettere.

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La mancanza di mordente si nota anche nella caratterizzazione di Todd, un personaggio statico, poco approfondito e lasciato a soffrire sullo sfondo con la scusa di rivolgere la macchina da presa sul cane. Ciò però non significa che si debba sottovalutare l’enorme lavoro che è servito – nell’arco di tre anni – per gestire l’animale sul set: Indy è un attore perfetto, molto espressivo, oserei dire magnetico. Per questo è un peccato vedere la sua breve parabola impallidire a confronto con altri prodotti affini. Il primo che viene subito in mente è senza dubbio Leone il cane fifone di John Russell Dilworth che, già nel 1999, raccontava l’orrore da un punto di vista inedito e intelligente con finezze, metafore e simbolismi di altissimo livello. Non sorprende sentirne parlare benissimo ancora oggi, specialmente attraverso video-saggi molto approfonditi.

In definitiva, cosa fiuta il nostro dolcissimo Indy? Ahimè l’odore di un fiasco. Good Boy è un piccolo progetto fieramente indipendente che si è sforzato di fare di necessità virtù, senza centrare appieno l’obiettivo, lasciandosi invece distrarre da un cane – questo sì – di eccezionale bravura. Si può dire dunque che in questo 2025 Alice nella Città ha aperto le danze zoppicando. Viene da pensare che l’inserimento in catalogo di un horror del genere sia servito solo ed esclusivamente per rimarcare il grande riguardo che la rassegna ha da sempre per il panorama indie. Una scelta senz’altro ammirevole, ma che lascia l’amaro in bocca per il potenziale sprecato. Indy non temere: ciò non intaccherà la tua promettente carriera da attore.

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Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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