After The Hunt – Uno scontro generazionale senza vincitori

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Luca Guadagnino ormai sembra entrato in un filone produttivo veramente importante e soprattutto serrato. Con due film nel 2024 (Challengers e Queer), questo After The Hunt nel 2025 e Artificial previsto per il 2026, il regista palermitano è lanciatissimo e più prolifico che mai, impegnato in progetti inoltre quasi sempre agli antipodi di quelli precedenti.

After The Hunt è forse un ritorno alle origini per Guadagnino, dato che si parla di un dramma borghese in piena regola, ma rimane comunque un passo avanti nella sua filmografia, dove l’ibridazione tra i generi – in questo caso con il thriller – continua a essere un marchio di fabbrica.

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Tutto si svolge nel prestigioso campus di Yale e nei suoi dintorni, come anche nella casa della riverita professoressa di filosofia Alma Imhoff (Julia Roberts), ed è proprio in quest’ultima che inizia il film, durante una festa privata alla quale sono invitati anche il suo assistente Hank Gibson (Andrew Garfield) e la sua tesista Maggie Resnick (Ayo Edebiri). Già dalla prima scena si nota un triangolo morboso tra i personaggi – sebbene questa volta non sessuale o romantico (forse?) – che esplicita al pubblico le gerarchie di potere attraverso discussioni performative atte solamente a catturare l’attenzione della preda designata. Alma infatti è tra due fuochi: da un lato c’è il suo assistente che vorrebbe fare il salto di carriera e diventare professore, dall’altro la tesista che la segue come un’ombra e potrebbe a sua volta prenderne il posto.

Qualche giorno dopo, Maggie torna di corsa a casa della sua professoressa per parlarle di una cosa gravissima: sulla via del ritorno dalla festa, Hank avrebbe abusato di lei. La fredda reazione di Alma alla notizia, che non la porta subito a parteggiare per la ragazza, innesca una reazione a catena tra denunce e sospensioni, lasciandola ancora di più nel fuoco incrociato delle parti coinvolte, nonché dell’opinione pubblica. È qui che parte a tutti gli effetti il film, “dopo la caccia” avvenuta, nei postumi del fatto, esplorando le psicologie di personaggi di generazioni e forma mentis completamente diverse, che si trovano ad affrontare una situazione per cui nessuno sembra essere veramente pronto.

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Guadagnino affronta il materiale di Nora Garrett (al suo esordio come sceneggiatrice) in modo inedito, per la prima volta trattenendo il più possibile l’emotività, prediligendo invece la creazione di una tensione che cresce per tutta la durata della pellicola senza lasciare respiro allo spettatore, in cerca di una risoluzione che non sembra arrivare mai. A differenza dei film precedenti non c’è sentimento a guidare la messa in scena, ma una logicità fredda e analitica che segue quella della protagonista Alma, e che va pian piano a sgretolarsi insieme alle sue convinzioni sotto il peso delle conseguenze rappresentate.

Registicamente potrebbe sembrare il film più quadrato del cineasta, senza le acrobazie tecniche di Challengers o gli inserti sperimentali di Queer, ma in realtà nasconde delle sottigliezze d’inquadratura e di movimenti che non sono da meno. C’è un lavoro notevolissimo sui primi piani degli attori – tutti tra l’altro in forma smagliante – e sulle architetture urbane che si intersecano ai personaggi, come a sottolineare che gli spazi che si abitano contribuiscano a quelle nevrosi che la società (non solo americana, ma anche borghese e universitaria) provoca alle persone.

Guadagnino inoltre gioca con i titoli di testa in chiave metacinematografica, citando quelli della maggior parte dei film di Woody Allen non solo per l’ambientazione newyorkese o per alcuni rimandi a Crimini e misfatti. La storia personale di Allen infatti è divenuta dominio pubblico, ormai è ostracizzato dall’ambiente hollywodiano e colpito dalla cancel culture proprio come qui accade al personaggio interpretato da Andrew Garfield, ma il regista italiano non patteggia comunque per lui, non santifica le vittime e brucia i carnefici, bensì cerca di arrivare al nocciolo fondamentale della questione, che va al di là di qualsiasi implicazione individuale.

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Lo scontro generazionale nel film riguarda principalmente Maggie e Alma, e nonostante una leggera propensione del regista per quest’ultima (inevitabile, essendo della sua generazione), After The Hunt mostra pregi e difetti di entrambi i modi di concepire il mondo: il primo volto ad appiattire qualsiasi difficoltà, arrivando a pretendere qualsiasi cosa senza mai prendersi responsabilità e lamentandosi continuamente; il secondo propenso a sopportare di tutto senza lamentarsi, impegnandosi da soli ma arrivando perfino a non farsi curare le ulcere pur di non chiedere aiuto. Queste visioni della realtà però sono entrambe finalizzate a un unico obiettivo, comune un po’ per tutti i personaggi rappresentati: la realizzazione personale, sopra a tutto e tutti, anche ricorrendo a mezzi illeciti.

Ci sono in ballo una cattedra ambita sia da Alma (che deve riconfermarla) che da Hank (che deve fare finalmente lo scatto di carriera), le attenzioni di Alma ambite sia da Hank che da Maggie, e il sentirsi di nuovo desiderata di Alma che sguazza nelle lusinghe degli altri due. Tutti i personaggi vivono solo per sé stessi, per far brillare la propria luce in faccia agli altri e accecarli, per “vincere nella vita” in quel sogno americano individualista che oggigiorno sembra tornato più forte che mai. L’orologio che nel film ticchetta incessantemente, sovrapponendosi a qualsiasi altro suono diegetico, segna un tempo che tutti percepiscono in prestito, in procinto di scadere, per cui devono fare qualcosa altrimenti avranno “perso”.

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È una società superficiale, meschina, che Guadagnino riempie con forse fin troppe parole della Garrett, saturando la pellicola di azioni, dialoghi, dibattiti, e che forse poteva essere più snella e più digeribile, ancor più ambigua se lasciata in sottinteso in alcuni momenti chiave. Ma questa sua bulimia rispecchia comunque il bombardamento quotidiano che ci ritroviamo a vivere tramite i social, dove ognuno racconta la sua versione, ha i suoi riferimenti, parla solamente per sé, volendo un palco ma non un pubblico, sia perché questo non esiste sia perché è troppo incentrato a pensare a sé stesso. Dopo la caccia l’unica cosa che rimane è l’individuo, nudo, messo di fronte alla vacuità dei suoi comportamenti e delle sue convinzioni, senza nessun’altra sovrastruttura, neanche quella del film.

Un ringraziamento speciale a Eagle Pictures

Lorexio Articoli
Professare l'eclettismo in un mondo così selettivo risulta particolarmente difficile, ma tentar non nuoce. Qualsiasi medium "nerd" è passato tra le sue mani, e pur avendo delle preferenze, cerca di analizzare tutto quello che gli capita attorno. Non è detto che sia sempre così accurato però.

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