
Questo era l’isola: una trappola avida di sangue. Un mondo meraviglioso, incontaminato, che tra le sue rocce, i ginepri, le querce, i sugheri, le scogliere e quel mare infinito nascondeva una violenza inimmaginabile. Era solo una trappola, la più bella che Tom avesse mai visto.
Prima doppiatore e attore teatrale, ora divulgatore e scrittore di romanzi: Giovanni Pizzigoni, in arte GioPizzi su YouTube, non è nuovo a cambiamenti radicali della sua figura sul web e, investendo tutto sé stesso nell’attività da romanziere, è inevitabile che certe trasformazioni coinvolgano anche i suoi libri. Quello che caratterizzava i lavori precedenti – Carne Sprecata, Rapaci e Verranno dalle pianure – era un approccio cinematografico, con un focus particolare sui dialoghi e l’azione. La bibliografia di Pizzigoni è stata composta finora da racconti corali che vedono molteplici personaggi agire parallelamente per poi incontrarsi. Una comfort zone da cui il recente Tra poche ore è buio, uscito a febbraio per Mondadori, prende le distanze, segnando un mutamento coerente con i suoi predecessori.
In passato era possibile riscontrare uno schema narrativo ripetuto e continuo, mentre ora, lontano da ogni tipo di fantapolitica, GioPizzi si lancia nel genere giallo con una sfida in mente, ovvero raccontare qualcosa di reale e cronologicamente vicino a noi: l’Italia degli anni Novanta. Un periodo storico, quest’ultimo, intorbidito da scandali e matasse complesse come crisi finanziarie, multinazionali che nascono e muoiono, Tangentopoli e Mani pulite. Come se il tutto non fosse già abbastanza complicato, la ciliegina sulla torta è rappresentata dall’ambientazione di questa avventura inedita: la remota ed esotica Sardegna. Abbiamo quindi tra le mani un thriller investigativo immerso da capo a piedi nel folklore sardo in cui riecheggiano dichiarate influenze dalla prima stagione di True Detective; un libro che dipinge un mondo primitivo, isolato e fuori dall’ordinario. Non resta quindi che salpare alla sua scoperta.

È il 1995 e nell’isola fittizia di San Giorgio, Sardegna del Sud, il celebre imprenditore Ettore Visconti è stato brutalmente assassinato: il suo corpo seviziato è stato inchiodato in cima a una cala, la testa mozzata su una pietra. L’uomo era uno degli esponenti più importanti della SERIN, ex compartecipata specializzata in idrocarburi a un passo dal fallimento ed esperta nel portare avanti “l’odiosa narrativa della brava azienda che ci tiene tanto all’Italia solo per ottenere altri miliardi dai contribuenti“. Si scatena il panico sull’isola, soprattutto presso il Poseidon, un resort extralusso dall’aura dorata e immacolata, edificato proprio dalla SERIN per ospitare i suoi dipendenti ricchi da far schifo.
Massimiliano Costa, l’Amministratore Delegato della società, chiama a raccolta le forze dell’ordine per risolvere il macabro caso: una sparuta squadra di carabinieri, con a capo l’imbranato Capitano Marelli, giunge sulla scena del delitto insieme ai due protagonisti: Tommaso Rovi – detto Tom – e Paride Rinaldi. Il primo è un impacciato reporter milanese alla ricerca dello scoop del secolo, il secondo è un ROS dei carabinieri dall’addestramento ferreo, così come ferrea è la sua plot armor. La soluzione pare elementare: il colpevole è qualche sardo che ha voluto vendicarsi della SERIN. Quest’ultima infatti ha da poco licenziato decine di membri sardi dello staff, così da assumere degli immigrati a pochi spicci. Un gesto, unito allo sfruttamento intensivo del territorio e delle risorse dell’isola, che ha causato rabbia, indignazione e proteste violente da parte della popolazione che si è sentita tradita due volte: prima per la colonizzazione forzata e poi per l’oltraggio ai poveri lavoratori.
Una spirale di odio reciproco e frustrazione, un equilibrio delicato tra invasori e invasi che tanto ricorda il genocidio in Palestina (siccome sappiamo benissimo che gli interessi di Israele sono prettamente economici e territoriali, mai religiosi). Tuttavia è lecito chiedersi: i motivi delle ataviche ostilità tra SERIN e sardi sono davvero legati solo alla terra e alle classi sociali o c’è dell’altro? Anche su questo indagano Rovi e Rinaldi, per capire fino in fondo in che rapporti sono l’azienda e i locali, in una fiction assai verosimile che tiene conto di equilibri economici e geopolitici. Fattacci davvero macabri e impensabili sono sotto il loro naso e, strano ma vero, i risvolti tendono verso una storia dell’orrore.

La sospettata principale nonché capro espiatorio dell’omicidio di Visconti è Eris Caccialepre, una giovane testa calda che scompare misteriosamente dopo essere stata accusata senza prove incriminanti. Il giornalista e il ROS si impegnano per trovare anche lei. Il più coinvolto emotivamente è proprio Tom che, accompagnato dal commovente ricordo di un vecchio amore di nome Irene, agisce in maniera frenetica per salvare la ragazza. Nonostante i buoni propositi, inizialmente il reporter non è proprio un personaggio positivo: da polentone quale è, etichetta tutti i sardi come selvaggi e si dimostra un uomo immaturo, in pieno contrasto con il compagno di squadra Paride, analitico, spigliato e duro come il marmo.
Costa, dal canto suo, è un liberale di destra, il più detestato dalla popolazione sarda (di tradizione comunista e prevalentemente composta da operai, contadini e allevatori). L’amministratore delegato è un padrone paranoico che, dall’alto della sua fastosa reggia al Poseidon, deturpa la natura brulla e incontaminata. La reputazione della sua amata SERIN è in pericolo e già macchiata da grossi guai finanziari che rischiano di far colare a picco l’impero esotico che ha costruito. Pizzigoni inquadra così i due blocchi che si sono inevitabilmente creati dopo la colonizzazione dell’isola: “Erano due mondi distinti. Il secondo antico, aspro e selvaggio, indifferente alla violenza se non a quella che esprimeva per sua natura. La violenza del resort, invece, era diversa: era avida, crudele, umana […] Aveva modificato quella natura con piante di altri continenti, l’aveva stuprata con legni stranieri e calcestruzzo, acciaio, malta, vetro e aveva costruito lì una fortificazione perfetta, pulita e ordinata che nulla aveva a che fare con il mondo che aveva invaso“.
Il microcosmo sardo, benché organizzato secondo precetti tribali, è ben cosciente di sé stesso nonché abilmente amministrato dall’anziana matriarca Elianora, una Jana e Judikissa (capopopolo). Le janas nel folklore locale sono, per farla breve, delle “streghe”; creature a metà tra l’umano e il sovrannaturale che tipicamente abitano le zone più inaccessibili della Sardegna come grotte e montagne. Le leggende sul loro conto sono centinaia: alcune le dipingono come demoni spietati, altre come vampiri che banchettano col sangue, altre ancora le descrivono come povere disgraziate, destinate a vendicare qualche torto subìto. Non è chiaro quindi se molto di ciò a cui assistono i personaggi del libro sia spiegabile oppure no, un grande punto di forza.

Una sorprendente novità in Tra poche ore è buio è rappresentata proprio da capitoli di intermezzo, più o meno lunghi, che riportano i canti popolari di Elianora, dedicati al suo piccolo manipolo di fedelissimi seguaci, sulla falsariga dei poemi epici dell’antica Grecia e, perché no, del Decameron di Boccaccio (visto il loro utilizzo). Un modo intelligente e accattivante per addentrarsi ancora meglio nelle atmosfere e nel folklore sardi. Una scelta che arricchisce le pagine e dimostra nuovamente la dedizione di Giovanni Pizzigoni nello studiare e approfondire ciò che desidera narrare con trasporto e urgenza. A questo proposito, uno dei capitoli più interessanti descrive una memorabile battaglia tra tribù che culmina con l’edificazione dei primi nuraghi.
C’è quindi la voglia di costruire una cronistoria dell’affascinante Sardegna, dalle civiltà prenuragiche all’Età moderna, passando per il Medioevo e ovviamente romanzando dove serve con un pizzico di piacevole romanticismo per rendere la lettura appetibile e scorrevole. Come ci ricorda il celebre storico delle religioni Raffaele Pettazzoni, che GioPizzi ha esaminato a fondo, i sardi sono nati da spaventose tribù guerriere; sono un popolo preda di invasioni marittime di ogni tipo – persino da parte degli antichi Romani e della Corona d’Aragona – scongiurate attraverso sanguinolente guerre, riti propiziatori pagani e fede incrollabile nella propria religione politeista di stampo animista. Molto stimolante e interessante, a questo proposito, il Capitolo 59 che narra una versione rielaborata, ma comunque molto fedele, del conflitto tra Giudicato di Arborea e Martino I di Sicilia nel 1409.
Non stupisce dunque che anche la Sardegna di oggi sia abitata da gente orgogliosa delle proprie radici e della terra conquistata con tenacia, sudore, sangue e un pizzico di paura instillata nel cuore degli invasori. “Così resteremo, danzando e massacrando, distruggendo e amando” è il mantra che riecheggia nella storia sarda; “la risposta al dominio, all’odio, alla supremazia imposta con armi e inganno” è questa e sempre sarà così, di padre in figlio, fino alla fine del tempo. Questi legami saldi e indissolubili richiamano alla mente la mitologia giapponese che ci narra di Amaterasu e Tsukuyomi, dèi del Sole e della Luna, nonché fratelli inseparabili che si inseguono e si cercano per l’eternità. Un rapporto esemplificato anche dalla ricerca disperata di Tom per trarre in salvo Eris; la ragazza, nei sogni del giornalista – allucinati e sporcati dall’alcol – gli chiede “mi cercherai?“: un amore che vive nello sforzo, nella tensione, nella “malattia del doloroso bramare” propria del Romanticismo tedesco.

Riassumendo, uno dei tratti distintivi di Tra poche ore è buio è questa voluta alternanza tra la freddezza delle indagini e del thriller, e l’energia grezza del folklore sardo; un tributo dichiarato al poeta Sergio Atzeni, definito da GioPizzi “il più grande autore contemporaneo del nostro paese“, in ricordo del suo splendido romanzo Passavamo sulla terra leggeri (non a caso, una rievocazione della storia della Sardegna). Questo leggero cambio di stile viene palesato anche dalle atmosfere spiccatamente bucoliche e rurali, selvagge. Non solo: i frangenti più poetici e altisonanti sono anche delle mise en abyme, espedienti narratologici che riproducono, riflettono e commentano i temi e le dinamiche fondamentali della storia. Un sistema di scatole cinesi utilizzato soprattutto nella letteratura più alta come quella di Shakespeare, basti pensare all’Amleto o alla tragedia di Macbeth di cui Pizzigoni è un grande estimatore.
Come sempre nulla è lasciato al caso, ogni parte del racconto è interconnessa e coerente; un aspetto che spinge il lettore a diventare lui stesso un detective, immergendosi in un gioco intellettuale con lo scrittore, pieno di chiavi di lettura e punti di vista alternativi sulle vicende. E a proposito di indagini, proprio come accade nella serie televisiva Miami Vice – tra svolte inattese e violenza inaudita – i toni si fanno via via sempre più oscuri, cinici e truculenti, oltre ogni aspettativa. L’ignoto, l’irrazionale e l’inconscio prendono dunque il sopravvento, in netta opposizione con la ricerca di senso e ordine propria degli investigatori e quindi del genere giallo. Un novello e razionalissimo Sherlock Holmes (Paride Rinaldi) mette insieme un puzzle per smascherare diaboliche macchinazioni, mentre la terra sarda pulsa di un calore antico e sanguinolento, quasi irriducibile a parole.
Il thriller, dal canto suo, ha una struttura classica che più classica non si può, tant’è che GioPizzi stesso ritiene il suo libro “un romanzo da ombrellone”. Personalmente non lo sottovaluterei così tanto poiché, nonostante alcune difficoltà iniziali nell’entrare appieno nelle vicende, il caso in sé e la sua soluzione non sono né il focus della storia, né le sue componenti più stimolanti. Il mistero a metà tra le deduzioni di Agatha Christie e l’avventura soprannaturale di Conan Doyle è bensì la chiave per scoperchiare un vaso di Pandora, un vortice inarrestabile di furia e morte.

Tra poche ore è buio nasce dalla fascinazione per la Sardegna e per il suo misticismo a metà tra cristianesimo e paganesimo, piuttosto che dalla voglia di costruire un altro thriller. È un romanzo costantemente puntellato con contrasti e antagonismi che attraversano personaggi e luoghi; d’altronde l’isola stessa, nella realtà storica, è fiorita da annosi conflitti generazionali.
Persino il lettore deve superare uno scontro interiore che gli chiede di lasciarsi alle spalle – non totalmente sia chiaro – il Giovanni Pizzigoni del passato, per abbracciare un autore ormai fuori dalla sua comfort zone, dopo aver rodato il suo stile e i suoi punti di forza. Un autore che centra il bersaglio anche questa volta, grazie a un cambio di rotta che apre a nuove, allettanti esplorazioni letterarie.
Presto, diffondendosi come un morbo nero, l’avidità invase la mente e il cuore dei capi di famiglia e di clan. E così fu ricchezza per pochi e odio per tanti. Non era più lo straniero dal mare, ma la terra a innescare dolore, violenza e morte. Fu fratello contro fratello, padre contro figlio, villaggio contro villaggio.
Un ringraziamento speciale a Mondadori



Commenta per primo
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e si applicano le Norme sulla Privacy e i Termini di Servizio di Google.