
Se come il sottoscritto oggi vi ritrovate con le ginocchia che fanno strani rumori quando vi alzate, qualche capello in meno e tante responsabilità sul groppone, allora ricorderete con nostalgia le ormai defunte sale arcade. Chiudendo gli occhi forse vi tornano ancora in mente le luci al neon, le code demenziali per pochi minuti di gioco, il principio della monetina per prenotare il cabinato e un forte odore di tabacco. Se avete vissuto quell’epoca, capirete da soli l’importanza di un ritorno come quello di Fatal Fury, una serie che per gli appassionati dei picchiaduro è rimasta dormiente fin troppi anni: basti pensare che ne sono passati oltre 26 dall’ultimo capitolo canonico. In questo lungo periodo il panorama è cambiato in maniera radicale, portando il genere a evolversi, ma allo stesso tempo a rinchiudersi in una specifica nicchia.
L’annuncio di un nuovo Fatal Fury è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Per una persona cresciuta a suon di “Power Wave”, l’eterna rivalità tra Capcom e SNK, e le… ehm… personalità (sì Mai Shiranui, sto pensando proprio a te) di certi personaggi, era un ritorno molto atteso. Anche se in questi anni noi che amiamo il genere abbiamo avuto pane per i nostri denti, l’assenza di un rivale come Fatal Fury si è fatta sentire, e non poco. Eccoci quindi arrivati a City of the Wolves, che si è visto protagonista di un bel po’ di hype (da parte dei fan), ma anche di tante controversie. Proprio per questo, parlando da un punto di vista personale, le aspettative erano direttamente proporzionali al timore di un potenziale flop, ma al di fuori di qualche sbavatura Fatal Fury: City of the Wolves si è dimostrato un ritorno (quasi) trionfante.
Poche storie, qui si picchia duro
Ribadiamo subito la solita regola che riguarda i picchiaduro: in questi giochi, la trama è essenziale quanto un frigorifero al Polo Nord. Esagero? Forse, ma se avete un po’ di esperienza in merito non vi sarà difficile darmi ragione. Ovviamente non mancano eccezioni, basti pensare a quanto fatto dalla serie Mortal Kombat che ha reso la narrazione una delle sue caratteristiche principali. Da un titolo classico come Fatal Fury ci si aspetterebbe un approccio portato più al gameplay che allo storytelling, giusto? Beh, non proprio. La serie SNK è tra le poche che negli anni passati ha cercato di offrire un racconto più diretto ma anche più coerente rispetto ai suoi rivali. Non parliamo di una qualità paragonabile ai titoli moderni, però siamo comunque su un buon livello. Infatti, molti personaggi sono diventati iconici proprio per le loro backstory: Geese Howard, i fratelli Bogard, Joe Higashi, sono solo alcuni dei nomi che hanno contribuito alla fama del titolo.
Una delle principali differenze rispetto a un rivale come Street Fighter (per fare un esempio) è la coerenza della sua narrazione. Fatal Fury non si frammenta in mille spin-off e storie alternative, ma umanizza ogni singolo personaggio rendendolo facile da seguire e comprendere lungo tutti i titoli principali, e anche City of the Wolves mantiene questa coerenza narrativa. Il gioco ci offre un’evoluzione netta della storia di Mark of the Wolves, tornando a South Town per riprendere i punti in sospeso dell’ultimo capitolo e concludere finalmente qualche arco narrativo. Tuttavia, come per qualsiasi picchiaduro, i veri punti di forza sono da ricercare nel gameplay.
La vecchia scuola fa ancora scuola
Parlando di combat system, la creatura di SNK è sempre stata molto diversa rispetto alle sue rivali 2D dell’epoca. Se con Street Fighter abbiamo visto la nascita delle combo e con Mortal Kombat una loro evoluzione verso la spettacolarità, con Fatal Fury si è sempre puntato a rendere tutto più strategico e ragionato. Si tratta di un picchiaduro che ha sempre punito il button mashing e la scarsa voglia di imparare a fare zoning (che per i meno esperti è la tattica che consiste nello sfruttare a dovere le distanze tra il giocatore e il proprio avversario). Infatti il gioco è tra i pochi ad aver introdotto un sistema su due livelli, dove il giocatore deve imparare a sfruttare due piani di combattimenti diversi. Per spiegarmi meglio: nei picchiaduro 2D classici il gioco si svolge su una linea retta d’azione, dove il giocatore si muove avanti, indietro e in alto; con il sistema di Fatal Fury questo movimento si espande introducendo la profondità di campo, imponendo al giocatore di calcolare bene ogni frame delle mosse e decidere come schivare o attaccare il proprio bersaglio (e qui torna il discorso sullo zoning).
In City of the Wolves, tutto questo non solo rimane ma si evolve, introducendo anche nuove meccaniche. La prima tra tutte è il sistema REV che, a differenza dei classici picchiaduro dove è una barra “Super” a garantire finisher potenti, ancora una volta rende il gioco più strategico. Non esiste infatti un limite iniziale su quando eseguire certe REV Arts, dando così fin da subito la possibilità di sfruttare combo offensive potenti. Tuttavia, utilizzare male questa meccanica comporta un malus che rende l’utilizzo delle REV Arts limitato per un breve periodo di tempo. Per esempio, se deciderete di sfruttare in continuazione la stessa mossa speciale la barra REV andrà a surriscaldarsi, bloccandovi la possibilità di usare altre tecniche sia offensive che difensive, dal momento che il REV Meter è la chiave principale per tutto. Questo sistema dunque porta a un uso ragionato delle proprie abilità, punendo severamente la scarsa voglia di imparare.
Questa nuova meccanica, combinata con i vecchi sistemi come Just Defense, Parrying e anche un’evoluzione del sistema T.O.P. (adesso noto come S.P.G. ma con le stesse caratteristiche), rende City of the Wolves uno dei picchiaduro più validi di questa generazione. Un plauso va anche al roster di personaggi, che si dimostra vario e ben bilanciato. Molto apprezzabile, inoltre, il fatto che abbiano cercato di rendere accessibile un po’ a tutti il gameplay, con un sistema di controlli adatto anche ai neofiti. Un po’ meno apprezzabile il comparto online, dal momento che il netcode, pur essendo nuovo per la serie, non riesce assolutamente a tenere testa ai rivali: durante le mie sessioni ho fatto una fatica mostruosa a trovare partite che non avessero ping altissimi o disconnessioni frequenti. Purtroppo è un problema risaputo quando si parla di questo genere di giochi, ma è comunque doveroso sottolinearlo.
Purché funzioni
Al di là di questo, sotto il profilo tecnico Fatal Fury: City of the Wolves è sicuramente un titolo valido e si rivela una buona evoluzione dei prodotti SNK. Rispetto anche solo al più recente King of Fighters, il nuovo Fatal Fury sfrutta a dovere l’Unreal Engine 4 offrendo animazioni fluide e modelli ben caratterizzati. Lo stile grafico in cel-shading riporta alla mente titoli come Marvel vs. Capcom, contraddistinti da tanti colori da una componente stylish molto marcata. Ovviamente non siamo di fronte a un prodotto perfetto, poiché non mancano solite sbavature dell’engine come qualche sfondo poco dettagliato e alcune texture in bassa qualità, ma se dovessi racchiudere il tutto in una parola questa sarebbe: “funzionale”. Sì perché alla base, senza troppe pretese, Fatal Fury funziona comunque a dovere ed è un piacere da guardare. Preciso inoltre che non ho notato particolari cali di frame durante le mie 50 ore di gioco, anzi, il frame rate è rimasto sempre inchiodato ai 60 fps su PlayStation 5. Qualche picco di lag l’ho riscontrato nella modalità online, ma chiaramente lì il problema è dovuto sempre al netcode.
Anche per quel che riguarda l’audio il gioco si difende più che bene: in generale la OST di Fatal Fury ha ancora una sua identità, lasciando totale libertà a un genere molto particolare come quello house/electronic. D’altronde con una special guest come Salvatore Ganacci nel roster c’era da aspettarselo. Pur non essendo un grande fan del genere, persino io mi sono ritrovato ad apprezzare molti dei brani presenti nel gioco, per poi aggiungerle alla mia playlist. Sul doppiaggio invece c’è poco da dire: un lavoro ben svolto, sebbene lontano dagli alti livelli raggiunti da altri giochi simili.
Per chiudere, direi che Fatal Fury: City of the Wolves rappresenta decisamente un ritorno degno di nota per la serie. Pur non portando tantissime novità nel panorama, il titolo di SNK si dimostra una valida alternativa per chi ama il genere, e potrebbe rivelarsi una bellissima sorpresa anche per chi non ha mai giocato un Fatal Fury.
Special thanks to 4media and SNK
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