
Nell’universo dei videogiochi, già di per sé sfaccettato e variopinto (al punto da rendere limitante qualsiasi definizione univoca che possa raccogliere tutte le esperienze caratterizzate dall’interazione) è emersa, riempiendosi a velocità galoppante, una nuova nicchia: quella dei “cozy games“. Una semantica confusamente generica che esprime il bisogno crescente di un certo tipo di giocatori di godere di esperienze rilassanti, dove videogiocare può somigliare a una sessione di giardinaggio o a una lunga passeggiata nel bosco.
Se già esistevano titoli, o modi particolari di fruirne (si pensi ad esempio a Animal Crossing), che evocavano questo tipo di esperienza, oggi negli store digitali si accumulano prodotti nati con questo intento. Melobot – A Last Song di Anomalie Studio si pone come un ibrido, che avvalendosi di meccaniche inusuali per questo genere si allontana dal solco tracciato da molti dei suoi simili, tradendo tuttavia la sua origine sperimentale nel sottile confine che separa opere ludicamente più strutturate da quelle che possono entrare pienamente nel grande sottobosco “cozy”.
Il mondo può essere ancora salvato
Pescando a piene mani dal calderone dell’ambientalismo, precisamente da quel filone dell’etica della responsabilità che noi esseri umani dobbiamo necessariamente sviluppare riguardo questo tema così attuale, Melobot sceglie solo in parte la distopia come siamo abituati a vederla rappresentata, traslandola verso la fantascienza. In questa linea temporale l’umanità, viaggiando nello spazio, ha scoperto che la flora di alcuni pianeti possiede proprietà musicali, e che grazie a queste è possibile estrarre da alberi e piante una sorta di materia oscura. Come ampiamente prevedibile questa condotta porta all’annichilimento di interi ecosistemi, e spetta al giocatore riparare i danni attraverso la musicoterapia, restituendo alla natura lo splendore di un tempo.
Impersonando un piccolo robot dotato di strumenti musicali, siamo inviati dall’unico umano rimasto (corrotto dalla materia nera e costretto a sopravvivere all’interno di una capsula) a correre ai ripari. Il Wall-e in versione menestrello dovrà vedersela inoltre con le AI che originariamente erano state messe a guardia degli impianti di estrazione, in un’impresa che lo vedrà suonare, combattere quando necessario e raccogliere le testimonianze di un mondo passato. Filtrando gli avvenimenti attraverso gli occhi malinconicamente rassegnati del mandante della nostra missione, si giungerà a un finale prevedibile ma non per questo meno struggente.
Capsule, alberi e chitarre
Come accennato, il protagonista ha il compito di suonare varie melodie per curare la fauna presente sui pianeti, ed è qui l’idea brillante di Anomalie Studio: avvolgere le dinamiche di un action-adventure open map con quelle di un qualsiasi rhythm game. Ogni tasto del controller è una nota, ogni pianta ha la sua melodia da indovinare e suonare bene per essere curata, venendosi a delineare una struttura da rompicapo musicale, in cui è presente anche l’esplorazione dei biomi che visitiamo con la nostra navicella (che funge da hub principale). Man mano che si risolvono i puzzle sonori, la sentinella dell’area noterà un abbassamento del livello di produzione di materia oscura e verrà a darci la caccia, in combattimenti che rappresentano le fasi action dell’avventura.
Le crepe strutturali forse si notano proprio a partire dalle fasi di combattimento, in un’opera che vuole risultare rilassante banalizzando al limite le componenti d’azione e quelle ruolistiche, ma il cui relax ed i momenti migliori vengono interrotti proprio da queste. Troppo per essere cozy, troppo poco per essere altro. Indovinare la melodia corretta e suonarla al momento giusto, venire a conoscenza delle piante che popolano il mondo, osservare gli scenari con la crescente malinconia di qualcosa che non c’è mai stato sono gli aspetti migliori della produzione e sarebbero bastati, con qualche aggiustamento in termini di varietà, a traghettarla verso i titoli di coda.
L’idea di base è geniale e mi piacerebbe vederla riprodotta magari con un seguito, a patto che si scelga un punto verso il quale convergere: più complessità nelle melodie da imparare eliminando dall’equazione un albero della abilità francamente inutile e due tasti da utilizzare nelle fasi action; oppure optare per la via della complessità ludica che tra le altre cose a mio avviso porterebbe a godere molto di più delle fasi di calma.
Un peccato considerato che nella fase esplorativa, una volta imparate le melodie da suonare, l’interazione di queste negli ambienti (semplici nell’architettura, ma disegnati con cura) porta effettivamente uno stato di relax totale, dove si ha la sensazione costante di aiutare e prendersi cura di un essere vivente mentre la musica diegetica e quella extradiegetica si mescolano armoniosamente.
Ho giocato a Melobot per circa 5 ore e 30 su Xbox Series X, cercando di ottenere il massimo punteggio dalla cura di ogni pianta, e sono incappato solo in un’occasione in un crash, ma con molta probabilità la ragione è la caratteristica del quick resume presente nella console.
Anomalie Studio esordisce con un’opera audace, ma alcune leggerezze in fase di design non permettono alle idee più riuscite di brillare come dovrebbero, consegnandoci un prodotto sicuramente originale ma che necessita di aggiustamenti per dire seriamente la sua. Il messaggio sotteso arriva comunque, in maniera delicata e vagamente poetica: se vogliamo cambiare qualcosa, abbiamo il dovere di cambiare prima noi stessi.
Special thanks to Microids and Neonhive
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