Chiamatemi Anna

Chiamatemi Anna recensione

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Il nuovo progetto targato Netflix intitolato Chiamatemi Anna (Anne with an E in originale) è un adattamento del famoso romanzo per ragazzi della scrittrice canadese Lucy Maud Montgomery Anne of Green Gables, conosciuto ai più come Anna dai Capelli Rossi.

Dopo il famoso anime del 1979 e una miniserie del 1985, Netflix tenta un approccio più maturo, da alcuni definito eccessivamente drammatico e oscuro, io invece lo definirei semplicemente più ricco: Anna viene adottata per sbaglio da due fratelli anziani, che in realtà cercavano un ragazzo che li aiutasse con la fattoria. Giunto alla stazione dei treni per prelevarlo, Matthew (R.H. Thomson) si imbatte invece in una vivacissima ed entusiasta ragazzina dalle trecce rosse e ne rimane subito affascinato; Marilla (Geraldine James) inizialmente dimostra ostilità, ma Anna riesce a conquistarne il cuore in poco tempo.

La serie si compone di numerosi flashback sulla sua vita prima dell’arrivo alla fattoria di Green Gables, alcuni particolarmente destabilizzanti: non mancano infatti gli abusi e le violenze fisiche da parte degli altri bambini dell’orfanatrofio o della famiglia adottiva che ha preceduto Matthew e Marilla. Anna trova il suo modo per superare il dolore immergendosi nel mondo dei libri e sviluppando una fantasia fuori dal comune; le sue esperienze negative l’hanno resa una ragazzina molto pratica, in grado di affrontare e risolvere alcune situazioni meglio degli adulti che la circondano. La vita di Anna non è facile nemmeno dopo essere stata adottata: i compagni di scuola, con l’eccezione di Diana Barry (Dalila Bela), la trattano in modo sprezzante e persino la comunità di Avonlea la respinge in quanto la percepisce “diversa”: Anna detesta i suoi capelli rossi e le sue lentiggini, quando a noi è chiaro che la sua bellezza sta proprio nella sua unicità.

Intorno a lei c’è una società sospesa tra tradizione e modernità, tra chi pensa che il destino delle donne sia di diventare mogli e madri e chi invece si occupa di tematiche femministe e progressiste. A tal proposito, l’unica critica che mi sento di muovere a questa produzione è il tentativo degli autori di svecchiare questo romanzo del 1908, raccontando alcune problematiche dell’epoca (la nascita del movimento femminista e gli abusi sui minori) con un tono eccessivamente moderno. Il linguaggio forbito di Anna, adatto al momento storico in cui si sviluppa la vicenda, stona spesso con il modo in cui sono scritti i dialoghi: sembra quasi che gli autori abbiano voluto offrire al pubblico più giovane un’alternativa a 13 Reasons Why, dimenticando che l’oppressione del genere femminile e i metodi duri nell’educazione dei bambini erano semplicemente consuetudine di quella società.

La rivisitazione di una delle eroine maggiormente conosciute da più di una generazione è sicuramente drammatica rispetto al passato, tuttavia la giovanissima Amybeth McNulty riesce a sostenere i passaggi più difficili con un mix perfetto di innocenza e trasporto emotivo, sempre con l’ottimismo e la vivacità che contraddistinguono il personaggio; c’è molta attenzione nella fotografia dei paesaggi e dei personaggi stessi, valorizzati da frequenti contrasti e giochi di luce che conferiscono loro un alone di mistero e allo stesso tempo un senso di serenità conquistata nel tempo. La serie ha infatti questo punto a suo favore: un grande lavoro di introspezione per quanto riguarda i Cuthbert, grazie alla scelta di raccontarne il passato tramite flashback, rendendoli così due personaggi interessanti ed emotivamente pieni di sfumature.

Le interpretazioni dei protagonisti principali sono assolutamente lodevoli, soprattutto quella di Geraldine James nei panni di una Marilla dura e poco incline a lasciarsi andare alle emozioni, tuttavia dotata di una grande bontà d’animo che le permetterà di amare Anna come se fosse sua figlia. Anche l’attore scelto per interpretare il ruolo del giovane Gilbert è carismatico e affascinante quanto basta e noi attendiamo impazienti la seconda stagione per vedere come gli autori sceglieranno di sviluppare la storia tra lui e Anna.

Nel complesso la serie risulta molto godibile, già a partire dalla sigla (ormai vanto di tutte le produzioni targate Netflix), accompagnata dal brano Ahead By A Century dei Tragically Hip. La storia e i personaggi coinvolgono suscitando in noi sentimenti di rabbia e di tenerezza a seconda delle vicende narrate e sebbene le reazioni fortemente emotive della protagonista potrebbero infastidire i telespettatori meno pazienti, Chiamatemi Anna riesce nel suo tentativo di divertire e commuovere allo stesso tempo.




La sigla della serie:




Princess_Leia Articoli
Classe 1990, appassionata di cinema, musica, serie tv, letteratura e quando il Dio Denaro lo permette, anche viaggiatrice compulsiva! - Books, records, films, these things matter. Call me shallow but it's the fuckin' truth -

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